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Una
discarica all'uranio
Di
Angelo Mastrandea - «Il Manifesto» 10 febbraio 2004
760
chili di uranio impoverito, 13.500 metri cubi di amianto, Pcb e altre
sostanze tossiche smaltiti illegalmente nell'Arsenale militare di La
Spezia. Il materiale radioattivo è stato poi trasferito al Cisam di
Pisa, ma le analisi confermano l'inquinamento del sottosuolo e delle
acque. Inquisiti due ammiragli. E domani l'ispezione della commissione
d'inchiesta sui rifiuti
La Spezia
C'era di tutto, in quella discarica abusiva
in piena zona militare e a un passo dal parco naturale delle Cinque
terre. Dalle macchinette del caffé alle «tubazioni contenenti
coibentazioni d'amianto», dalle lavatrici alle «coibentazioni
d'amianto sfuse», dai «beverini» alle «batterie al piombo e al
nichel cadmio», ai «condensatori e trasformatori contenenti Pcb e/o
Pct», come si legge nella perizia ordinata dal sostituto procuratore
spezzino Rodolfo Attinà e firmata dall'ingegner Tito Boeri. Rifiuti
legali mescolati a materiali illegalmente smaltito, tutto insieme a
formare un micidiale cocktail che ha inquinato anche terreni e acque. In
tutto 13.500 metri cubi di «rifiuti pericolosi» in un'area di 16.607
metri quadrati, che sono costati un avviso di garanzia con l'accusa di
«deposito/abbandono incontrollato al suolo di ingentissimi quantitativi
di rifiuti» per gli ultimi due direttori dell'Arsenale militare di La
Spezia, Dino Nascetti ed Ermogene Zannini. Ora si apprende che in quella
discarica a cielo aperto, separata dal centro abitato e dal porticciolo
di Cadimare da un muro divisorio di un paio di metri, c'erano anche
materiali radioattivi. 760 chilogrammi di uranio impoverito, per la
precisione, in gran parte contenuti nelle pale di elicotteri, dove il
metallo pesante viene usato come stabilizzatore per il suo alto peso
specifico, il resto in piccoli dischi di due centimetri di diametro e
mezzo centimetro di spessore che vengono inseriti nei segnalatori delle
navi. Erano lì da chissà quanto tempo, probabilmente accumulate negli
anni, un vero e proprio pugno nell'occhio per chi si affaccia dall'alto
della strada che conduce verso Portovenere, in uno dei luoghi
naturalisticamente più belli d'Italia.
Ma
com'è stato possibile che per anni nessuno se ne accorgesse? La
risposta è semplice: i militari non hanno mai permesso ad autorità
civili di verificare da cosa fosse composto quell'ammasso informe di
rottami e cosa contenessero quei bidoni stoccati uno sull'altro in file
di quattro. Tanto che è si è saputo solo mesi dopo l'inizio
dell'inchiesta e il sequestro dell'area, vale a dire pochi giorni fa,
che le pale di elicottero incriminate sono state trasferite alla
chetichella al Cisam di San Piero a Grado, Pisa, un'altra struttura
militare, per essere «lavate» lì. Per questo i parlamentari della
commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che domattina visiteranno
la discarica non le vedranno, anche se lo spettacolo che si troveranno
di fronte sarà appena meno inquietante.
Il sindaco di La Spezia Giorgio Pagano, diessino, specifica che lui non
vuole che i militari italiani vadano via da La Spezia, perché gran
parte dell'economia cittadina ruota attorno alla loro presenza, «però
cosa vogliono? Non dovevo denunciare la presenza di una discarica
abusiva?» D'altronde, se è vero che «su dieci chilometri di golfo la
città ha a disposizione appena 400 metri», quella della discarica
appunto, è altrettanto vero che «la città subirebbe un colpo grave se
i militari dovessero andare via tutti d'un botto», spiega il segretario
locale del Prc Aldo Lombardi, che dall'esperienza da segretario della
Camera del lavoro di Caorso ai tempi della centrale nucleare ha tratto
una grande esperienza nel campo e la tendenza a non disgiungere i
problemi ambientali da quelli occupazionali. Però, visto che
l'abolizione della leva e il ridimensionamento dell'arsenale hanno
ridotto di molto la presenza dei militari, «forse è giunto il momento
che alcune aree vengano restituite alla città». E soprattutto che ci
sia più trasparenza, per evitare scandali come quello della discarica
di Campo di ferro o come quello della «collina dei misteri» di Pitelli,
la cui vicenda ispirò addirittura una copertina del settimanale inglese
Business week.
I
risultati della perizia ordinata dalla procura spezzina sono infatti
inquietanti: oltre ai rifiuti visibili, in superficie, ve ne sarebbero
altri sepolti, con la «contaminazione diffusa dei terreni del
sottosuolo», dove sono finiti «materiali metallici di varia natura,
latte e barattoli di vernici e diluenti, fusti metallici vuoti o pieni;
batterie e pile, pneumatici, materiali contenenti amianto».
E
delle acque sotterranee, dove sono state rilevate grandi quantità di
ferro, alluminio e manganese. Analisi effettuate tre anni fa dall'Arpal
di La Spezia, invece, dimostravano un'anomala presenza di Pcb nelle
acque e nelle colture.