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contango a Parigi
di
Eugenio Benetazzo - 1 luglio 2008
Dai corridoi delle sale di
negoziazione si sussurra che una prestigiosa banca francese per
recuperare le perdite non ancora definitivamente capitalizzate, prodotte
con sconsiderate speculazioni in obbligazioni strutturate, abbia
investito ingenti quantitativi di denaro (attraverso delle apposite
società veicolo) in contratti future al rialzo sul crude oil (leggasi
petrolio). A Parigi, perchè è lì che risiede la sede operativa della
banca, questa decisione è stata implementata in seguito al contango del
petrolio. Con questo termine, negli ambienti borsistici legati alla
compravendita delle merci, si suole identificare una singolare
condizione di mercato in cui i prezzi a pronti sono inferiori di quelli
a termine. In buona sostanza questo significa che acquistare petrolio
attraverso un contratto future che abbia consegna fisica a 3 mesi costa
meno rispetto ad una medesima fornitura che invece abbia consegna a 12
mesi.
Questa condizione di mercato è
piuttosto insolita, infatti nella prassi mercantile avviene il
contrario, almeno avveniva il contrario fino a qualche settimana fa: per
fare un esempio, immaginate un uragano che colpisce la costa atlantica
negli States, questo evento atmosferico inatteso compromette le
potenzialità estrattive di alcune piattaforme offshore e perciò causa
una impennata nel breve termine delle quotazioni in seguito ad una
momentanea contrazione dell'offerta che tuttavia nel medio/lungo termine
tende successivamente a stabilizzarsi e ad assorbire questo evento
occasionale. In questa eventualità, quindi, i prezzi a pronti sono più
elevati di quelli a termine (con scadenze molto distanti). Invece quanto
sta avvenendo recentemente è piuttosto inquietante in quanto, man mano
che si allontana la data di consegna (e quindi l'orizzonte temporale),
più il prezzo del greggio aumenta. Questa dinamica dei prezzi evidenzia
una sorprendente evoluzione dei mercati di approvvigionamento
petrolifero, non tanto sorprendente per chi da alcuni anni ha iniziato
ad occuparsi di informazione finanziaria (come il sottoscritto)
paventando l'imminente crisi deflativa che colpirà il sistema delle
economie globali a causa del peak oil.
Si aggiunga inoltre
l'impossibilità tecnica nell'aumentare le scorte strategiche,
semplicemente acquistando e ricevendo in consegna il greggio ai prezzi
attuali per consumarlo più avanti nel tempo: immaginate infatti, per
semplice analogia, di non poter fare scorte di generi alimentari in
vista di una carestia perchè il vostro frigorifero è già stracolmo di
altri beni alimentari e non avrebbe senso acquistare altro cibo perchè
non si saprebbe dove immagazzinarlo. L'incapacità di poter stoccare ai
prezzi odierni il fluido nero, per contingenze strutturali dovute ad una
piena saturazione, obbligano chi necessita di petrolio a tutelarsi sul
prezzo nel futuro stabilendo con largo anticipo i prezzi di consegna, e
quindi di fatto ricorrendo ad una ingannevole speculazione finanziaria.
Il peak oil è il peggior incubo
per la civiltà industriale del nuovo millennio, un incubo che si sta
trasformando in una drammatica realtà: il greggio si sta esaurendo. Ora
non per lanciare facili catastrofismi o iettature mediatiche ma sappiate
che il petrolio, così detto convenzionale, ovvero con basso contenuto
di zolfo e dalla elevata fluidità, sta terminando. Il peak oil (detto
anche il picco di produzione del petrolio) è un momento storico in cui
la capacità estrattiva (quindi l'offerta) non è più in grado di
soddisfare pienamente la domanda, vista in continuo aumento a causa
della voracità di due players globali affamati di qualsiasi genere di
risorsa, Cina ed India. Tanto per dare qualche cifra, solo
Quello di cui purtroppo pochi
sono a conoscenza è la criticità nel differenziale tra greggio
disponibile e greggio richiesto che comporterà un deficit petrolifero
giornaliero crescente anno dopo anno. Già nei prossimi due anni
l'offerta petrolifera è vista in discesa del 2/3 % contro un aumento
della domanda del 3/4 % creando un vero e proprio gap energetico dalle
conseguenze tutt'altro che immaginabili. Non da meno, delle circa 200
raffinerie sparse sul pianeta la quasi totalità è strutturata per la
raffinazione del greggio convenzionale, o come viene definito al Nymex
(la borsa petrolifera), il Light Sweet Crude Oil. Le recenti
esternazioni dell'OPEC confermano questa tesi ovvero incapacità ad
intervenire per aumentare la produzione: l'Arabia Saudita, lo swing
producer ovvero il produttore elastico, ha dimostrato pienamente questa
tesi. Anche i suoi grandi giacimenti sono in fase di esaurimento.
E proprio su questo sta puntando
la nota banca francese di Parigi ovvero che il fenomeno contango
consenta di realizzare ingenti profitti in conseguenza del continuo e
progressivo rialzo del greggio per una situazione strutturale del
mercato petrolifero. Certo questo istituto di credito non è l'unico ad
aver intrapreso questa strada di pura speculazione, andando quindi a
gonfiare le fila di tutti i grandi soggetti istituzionali che hanno
preso posizione rialzista sul petrolio a lungo termine. Numerose
proiezioni di borsa parlano ormai del prossimo target a 200 $ il barile,
mentre contemporaneamente assistiamo a patetici tentativi dei mass media
e di alcune farse politiche che sottolineano come il prezzo del petrolio
sia ormai una variabile impazzita a causa di istanze puramente
speculative. Forse. Ma dubito che l'intero scenario petrolifero mondiale
si possa rappresentare solo per la presenza di questi avvoltoi
finanziari.
In vero chi si sta posizionando
al rialzo con le scadenze a termine molto lontane sono anche numerosi
governi e corporations che necessitano del greggio per le loro
produzioni e quindi cercano quanto prima una sorta di polizza di
assicurazione sul prezzo del petrolio nel lungo periodo (i contratti
future sono nati originariamente per soddisfare proprio questa esigenza
e non per pura speculazione). Il picco di produzione del petrolio è
l'argomento mediaticamente più censurato al mondo in quanto una sua
diffusa propaganda provocherebbe preoccupanti ondate di sommosse o
tumulti popolari una volta conosciuto il destino che aspetta la
maggioranza delle persone nei prossimi decenni. Vi basti considerare i
suoi effetti in campo agroindustriale: tutt'altro colpito da
speculazione finanziaria per rincorrere le materie prime (commodity) con
la tecnica dell'arraffa arraffa.
Oltre un secolo fa la
popolazione mondiale si attestava ad oltre un miliardo di individui,
contemporaneamente una vacca da latte produceva circa 6/7 litri di latte
al giorno e la resa agricola di un ettaro coltivato a mais era di circa
20 quintali. Oggi la popolazione mondiale è sestuplicata, oltre i sei
miliardi, e casualmente lo stesso è avvenuto anche per la resa di una
montata lattea di una vacca e la resa agricola di un ettaro di terreno
coltivato a mais. Questa esplosione demografica è stata resa possibile
proprio grazie all'industria petrolifera, al greggio (abbondante ed a
buon mercato) ed al loro prezioso contributo che ha consentito l'avvento
e lo sviluppo su larga scala di attrezzature agricole (trattori,
mietitrebbie, spargiletame, pompe di irrigazione), fertilizzanti e
pesticidi che hanno assieme aumentato la fertilità dei terreni
agricoli, variabile endogena per l'attuale catena alimentare del genere
umano basata su quattro cereali (riso, mais, soia, frumento) e su tre
allevamenti di carne (bovini, suini e pollame). Anche a Parigi, grandi
amministratori di patrimoni bancari, pur non avendo esperienze di
business agroindustriale, stanno investendo sull'ultima fase di contango
delle quotazioni, ritenendo che questo processo di rialzo delle
quotazioni del greggio sia fisiologico, quasi strutturale ed ancora ad
uno stadio iniziale prima di arrivare a livelli di prezzo (forse 300 $
il barile) che innescheranno una lenta e progressiva sgretolazione delle
principali attività economiche umane. No oil, no party.
Eugenio Benetazzo
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