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E ora
tocca all'Iran
di Enrica Perucchietti
“Gli Stati Uniti non escludono nessuna opzione” ha dichiarato il
Premio Nobel per la Pace Barack Obama, in merito alla vicenda del
presunto complotto iraniano per uccidere l’ambasciatore saudita a
Washington.
Già, perché questa volta il casus belli è un fantomatico complotto che
per la Casa Bianca sarebbe stato organizzato nientemeno che dal governo
iraniano. E come nel caso della diffusione ufficiale della notizia della
morte di Osama bin Laden – anche se era la nona volta che un
Presidente o un alto dirigente governativo ne annunciava la morte! – i
Media hanno subito ribattuto come oro colato le conclusioni del
Pentagono in merito alla sicurezza nazionale. Senza batter ciglio la
notizia di un complotto che avrebbe coinvolto addirittura il Governo di
Teheran, è rimbalzato di quotidiano in TV, senza che nemmeno un
giornalista si fermasse un attimo ad esaminare l’assurdità della
notizia. Assurda perché per quanto si faccia di tutto per far passare
come un idiota Ahmadinejad, non è così folle da suicidarsi e
trascinare il Paese in una guerra che non potrebbe mai vincere. Al
massimo potrebbe scatenare un armageddon in stile Dottor Stranamore…
Secondo perché i conoscenti, famigliari, amici, colleghi di uno dei due
presunti terroristi, Arabsiar, ora rinchiuso nel carcere di New York,
sono rimasti sconcertati dalla notizia, dichiarando che costui “si
perdeva sempre le chiavi e il telefono cellulare. Non sarebbe stato
capace di eseguire un piano del genere”. Il presunto attentatore è
stato bollato con sincerità come un "opportunista" ma non
come un “killer calcolatore”. In primis perché non ne avrebbe avuto
motivo: venditore di auto di seconda mano in Texas, non era un fanatico,
né, a quanto pare, era in grado di organizzare un'operazione di tale
portata, che dall'Iran al Messico, fino a Washington, avrebbe avuto
ripercussioni mondiali. Ciò non esclude che possa essere rimasto
coinvolto in un piano internazionale più grande di lui, ma bisognerebbe
capire da chi sia stato orchestrato. Dal Pentagono o da Teheran? Perché
dobbiamo sempre credere a priori alla veridicità delle affermazioni di
Washington, quando la storia ci insegna che gli USA hanno mentito
all’opinione pubblica e agli alleati numerose volte soltanto a partire
dalla guerra in Vietnam? Forse perché l’America adotta ancora oggi la
pena di morte, tortura i prigionieri, controlla i propri cittadini in
barba alla privacy, prevede di inserire microchip sottocutanei nella
popolazione a scopo “terapeutico”, dimostrando di essere civile
quanto un leone affamato davanti a una gazzella azzoppata? O perché ha
in corso ben tre conflitti principali in Iraq, Afghanistan e Libia,
colpo di coda di un impero in declino che per continuare a sussistere
non può che continuare a espandersi?
Perché mai questo Paese modello di civiltà, moralità e democrazia “da
esportazione” dovrebbe essere più affidabile dell’Iran? Perché ci
hanno abituato ad avere timore dello straniero, degli arabi, dei
musulmani, dell’Islam in generale? Perché dopo aver trascinato anche
il nostro Paese in una guerra inutile quanto assurda contro i talebani,
radendo intanto al suolo l’Afghanistan in modo che non si possa
risollevare per i decenni a venire senza i miliardari appalti di
ricostruzione americano-europei, ora dovremmo sostenere senza battere
ciglio qualsiasi “opzione” Washington deciderà di attuare?
Ora, avendoci gli inquilini della Casa Bianca abituati negli anni a
prendere cantonate, a detronizzare vecchi alleati o a raccontare balle
di stampo geopolitico – come nel caso di quelle armi di distruzione di
massa che mentre faticavano a saltare fuori legittimarono però
l’invasione dell’Iraq – una maggiore meticolosità nelle indagini
sarebbe forse preferibile all’ennesimo conflitto “emotivo” in
Medio Oriente, che potrebbe – evidentemente – causare la Terza
Guerra Mondiale.
Va bene che ogni Paese oggi ha il suo bel da fare tra crisi economica e
crisi di governo, ma sdegnare il rischio di trascinare il mondo intero
nel caos – o peggio nella distruzione totale – per cecità o censura
mediatica imposta dall’alto o dalle mazzette è da scellerati. Meglio
disturbarsi di parlarne fino allo svenimento che trovarsi a cose fatte
in mezzo alle macerie. Anche perché il decennio post 11 settembre ci ha
abituato a fantomatici “attentati” sventati o effettivamente
consumati le cui cause erano invece da rinvenire in agenti provocatori
appartenenti all’intelligence americana – FBI, CIA, Pentagono. Nulla
di cui meravigliarsi: fa tutto parte della strategia geopolitica. Chi
c’è dentro lo sa benissimo, e non ne fa neppure segreto. Si chiamano
false flags le false operazioni che vengono pianificate per ottenere uno
specifico risultato: risollevare un Presidente in calo nei sondaggi (si
veda la voce, uccisione senza cadavere di Osama
bin Laden), giustificare un’azione bellica (Iraq, Afghanistan),
manipolare l’opinione pubblica (11/9), restringere la privacy dei
cittadini (Patriot Act), intimidire gli Stati non allineati con la
politica americana o addirittura rei di accordi con la Russia di Putin
(strage di Oslo).
Per riscrivere i confini del prossimo quanto imminente Nuovo Ordine
Mondiale, bisogna “sacrificare” qualche vita e qualche capro
espiatorio per manipolare l’opinione pubblica con i false flags e con
la guerra del terrore permanente che destabilizzi i cittadini. Peccato
che a prevedere quanto sta succedendo in questi mesi, settimane, giorni,
sia stato proprio il mentore di Obama, il vecchio stratega polacco
Zbigniew Brzezinski, che non ha mai nascosto le sue intenzioni belliche
al mondo da quando sosteneva il diritto degli USA a conquistare il
globo: semplicemente il mondo non si è preoccupato di ascoltarlo.
Quando Hannah Arendt parlava di “banalità del male”, includerei non
solo la censura più vile del giornalismo di Stato, ma anche il nostro
atteggiamento quotidiano di accidia: troppo pigri per approfondire le
notizie che non siano di mero gossip preferibilmente morboso, troppo
impegnati ad arrivare a fine mese e sbarcare
il lunario, ci siamo lentamente atrofizzati la coscienza critica,
accettando passivamente le “opzioni” più scellerate. Così,
sconvolti dall’eccidio dell’11/9 abbiamo accettato per il “nostro
bene” per la “nostra sicurezza” di inviare le “nostre truppe”
a invadere un Paese che non c’entrava nulla – l’Afghanistan –
per dare la caccia a un fantasma – Osama bin Laden – per poi
ampliare l’invasione all’Iraq dell’ex alleato Saddam Hussein, fino
alla Libia del Colonnello Gheddafi, che - almeno in Italia e Francia -
abbiamo molto, troppo recentemente accolto con tutti gli onori (e
baciamano).
Ma la memoria storica è più succinta della moralità dei nostri
regnanti, troppo concentrati in Bunga Bunga per ritagliarsi spazi per
governare. Ma mentre in Italia ci illudiamo ancora che esista qualche
differenza destra e sinistra, il caro Obama ci ricorda con le sue
promesse disattese punto per punto (e ci vuole una certa astuzia per
impegnarsi categoricamente nell’adempiere l’esatto opposto di quanto
promesso) che cosa significhi dipendere dagli assegni milionari dei
Gruppi di Potere: Banche, in primis, multinazionali del petrolio, degli
OGM, della Difesa, aziende farmaceutiche, studi legali, compagnie di
assicurazione. Già. Quando si contrae un debito col Diavolo, costui
presto o tardi passerà a riscuotere. Non ci saranno cortei angelici a
salvare i novelli Presidenti, perché di Faust ce n’è stato uno solo
e di Kennedy con “le palle” solo due, John Fitzgerald e il fratello
Robert: infatti sono stati uccisi entrambi per il proprio coraggio. Per
aver tentato almeno di ribellarsi a quel Governo Ombra che detiene
l’Agenda politica ed economica internazionale. Allora si trattava di
ribellarsi contro la Mafia che ne aveva facilitato l’elezione, di
richiamare le truppe dalla guerra in Vietnam, di far cessare gli
esperimenti nucleari, di abbattere il signoraggio. Invece il burattino
Obama predica bene e razzola l’opposto, costretto a ricambiare con
favori i soldi della (sua) campagna elettorale più dispendiosa della
storia. Ed è ora di concentrarsi sulla nuova: come fare se il popolo
degli indignados assedia Wall Street e accerchia le abitazioni dei
miliardari? Come fare se la disoccupazione invece di calare è salita
oltre il 9%? Si prepara una nuova guerra. La notizia della morte di
Osama bin Laden procurò a maggio un’impennata nel gradimento del
Presidente che prima del 2 maggio era in caduta libera. Coincidenze?
Manna celeste caduta sull’unto delle masse dei diseredati (traditi fin
da subito per il salvataggio “senza garanzie” delle Banche too big
to fail, troppo grandi per fallire)? E dire che a sollevare i primi
dubbi sul presunto omicidio dello Sceicco del Terrore (senza corpo da
identificare) era stato proprio il Governo di Teheran, che sicuramente
è di parte, ma forse tanto scemo non è…
Oggi ci troviamo a non tentare nemmeno di opporci a due guerre decennali
– Iraq e Afghanistan – che ormai sono diventate routine (per noi, un
po’ meno per coloro che là vivono sotto i bombardamenti dei droni, la
carestia, le epidemie), al più recente conflitto in Libia,
all’imminente invasione dell’Iran. A cui seguirà la Siria, già nel
mirino della Casa Bianca. Perché guarda caso, quando vengono resi noti
questi falliti attentati, i piani di conquista del Paese di turno - che
viene accusato di essersi reso colpevole di un peccato capitale o di
tradimento - esistevano già da mesi, se non da anni, sulle scrivanie
dei vari Presidenti americani. Proprio
come i piani di invasione di Iraq e Afghanistan che attendevano, a dirla
secondo Brzezinski, una “nuova Pearl Harbour” che compattasse
l’opinione pubblica verso il nemico costruito a tavolino con un false
flag appunto. E così avvenne allora, come forse sta per avvenire ora:
l’11/9 sconvolse a tal punto l’opinione pubblica da legittimare
l’intervento bellico. E la teoria della guerra preventiva stava
diventando storia. Una storia che il nostro ossimoro vivente, Obama che
stringe con una mano il Nobel per la Pace, con l’altra firma piani di
invasione, ha imparato molto bene.
Entrare in guerra contro l’Iran significherebbe ora dare l’avvio alla
Terza Guerra Mondiale, mandando in fumo i trattati di pace israelo
palestinesi e impegnando le truppe americane ed europee in un evidente
accerchiamento di Russia e Cina (che lo stesso Bill Clinton ha
recentemente definito “la nostra banca” avendo comprato la maggior
parte del debito americano) nella corsa alla conquista del Medio
Oriente. Ciò varrebbe come reazione non solo la chiamata alle armi e il
compattamento di tutto l’Islam, ma un’ipotetica reazione di Russia e
Cina. Obama sembra infatti intenzionato, applicando alla lettera la
teoria della guerra preventiva, a “perseguire” i responsabili. Ora,
si potrebbe anche involarsi ad accettare la veridicità di un ipotetico
coinvolgimento del governo iraniano nel complotto, se non fosse che il
nostro vecchio stratega Brzezinski il 2 febbraio 2007 davanti alla
Commissione Esteri del Senato USA mise in guardia da un “plausibile
scenario per una collisione militare con l’Iran”. Eccolo, di nuovo:
sempre lui. Novella Cassandra che parla e prevede fin nei minimi
particolari, dalla Pearl Harbour che fu l’11/9 come “occasione”
(citando Cheney e Rice) per oliare il motore dell’espansionismo
americano, alla prossima tappa in terra iraniana – che però
Brzezinski non vuole. Dunque? Soltanto un espediente per isolare sepre
più l’Iran a livello internazionale? Ma che cosa prevedeva questo
scenario? Ce lo ricorda Pino Cabras dal sito di megachip:
Includeva «il fallimento [del governo] iracheno nell’adempiere ai
requisiti [stabiliti dall’amministrazione statunitense], con il
seguito di accuse all’Iran di essere responsabile del fallimento, e
poi, una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati
Uniti che sarà attribuito all’Iran, [il tutto] culminante in
un’azione militare “difensiva” degli Stati Uniti contro l’Iran».
Nel 2007 la critica di Brzezinski puntava molto in alto, lamentando,
sull’Iraq, «il fatto che le principali decisioni strategiche vengono
prese in un circolo assai ristretto di persone, forse non più delle
dita della mia mano. E sono questi individui che hanno preso la
decisione iniziale di andare alla guerra». E nel caso dell’atto
terroristico ipotizzato, era la prima volta che una voce americana di
così straordinaria autorevolezza, considerava "plausibile"
che qualcuno, in seno agli apparati di governo statunitensi, potesse
organizzare un attacco contro gli Stati Uniti, in modo da attribuire poi
il tutto a qualche nemico esterno e provocare una guerra.
Ora il nuovo ombelico del terrorismo internazionale è l’Iran. Dieci
anni fa le montagne afghane. Poi è stata la volta dell’Iraq. Ora, non
c’è dubbio, è l’Iran – parola del Pentagono.
Se le accuse contro Teheran fossero confermate, si tratterebbe della
violazione della Convenzione Onu sulla protezione del personale
diplomatico, firmata anche dal governo iraniano. In tal modo gli Usa o
l'Arabia Saudita potrebbero chiedere l'estradizione del secondo presunto
terrorista coinvolto nella vicenda: quello sfuggito all'arresto. Se
Teheran si rifiutasse, il caso potrebbe finire al Consiglio di sicurezza
o alla Corte internazionale dell'Aja. Ma se ciò avvenisse, non
ricorderebbe un po’ il rifiuto del Mullah Omar di consegnare bin
Laden, seppure non corressero buoni rapporti tra i due? La ciclicità
degli eventi è evidente. Le conseguenze anche. Ma noi preferiamo
continuare ad aspettare una fantomatica catastrofe dal cielo piuttosto
che vedere che se la fine del Mondo dev’essere, sarà umana, fin
troppo umana.