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Dalle
urne spunta una teocrazia
Massimo Fini – www.gazzettino.it
- 8 febbraio 2005
Visto su www.comedonchisciotte.luogocomune.net
Non è ancora
finito lo spoglio delle schede che gli sciiti, forti di un suffragio
vicino, se non superiore, al 70%, che li porterà ad avere nel nuovo
parlamento iracheno 150 seggi su 275, cioè la maggioranza assoluta,
presentano già il conto: chiedono che la prossima Costituzione e, di
conseguenza, la legislazione sia fondata sulla Sharià, la legge
coranica, e che quindi l'Iraq diventi una Repubblica teocratica sul
modello iraniano.Tutti i saggi religiosi, gli iman e la maggioranza del
popolo domandano all'Assemblea nazionale che l'Islam sia nella prossima
Costituzione permanente e la fonte della legislazione. Occorre rifiutare
qualsiasi norma contraria all'Islam» si legge in un proclama reso noto
nella città santa di Najaf dallo sceicco Ibrahim Ibrahimi
rappresentante del grande ayatollah Mohammed Ishaq al-Fayad che è uno
dei cinque componenti del "Consiglio supremo dei dotti", di
cui fa parte anche l'ayatollah Al Sistani, e che rappresenta in pratica
il gruppo dirigente di quell'Alleanza irachena unita, che ha stravinto
le elezioni. Una sorta di campana a morto per gli americani che avevano
molto pompato in questi mesi il "grande ayatollah" Alì Al
Sistani considerandolo un "moderato".
Ora, Al Sistani era un "moderato" nel senso che capiva bene
che non c'era alcun bisogno di essere un estremista, armi in pugno, alla
Moqtada Al Sadr, dal momento che gli sciiti avrebbero vinto a redini
basse le elezioni. Adesso che le elezioni sono alle spalle la
"moderazione" di Al Sistani diventa molto più problematica.
Anche volesse
essere ligio alle promesse fatte a suo tempo agli americani, avrebbe
molte difficoltà a mantenerle senza rischiare grosso, politicamente e
personalmente, perché effettivamente la volontà della maggioranza dei
religiosi e della popolazione sciita, cioè di coloro che fra poco
avranno in mano, almeno formalmente, il legittimo potere in Iraq, è per
una Repubblica teocratica di tipo iraniano (del resto sciiti iracheni e
sciiti iraniani sono la stessa gente, sono della medesima pasta).
Ora, se si pensa che nelle more della prima Guerra del Golfo gli
americani fecero di tutto per scongiurare questa ipotesi, mantennero
addirittura in sella Saddam Hussein, che pur, col suo attacco al Kuwait,
era stato il principale responsabile del conflitto, dandogli anzi
licenza di "gasare" sciiti e curdi iracheni con quelle
"armi di distruzione di massa" che a suo tempo gli avevano
fornito per combattere l'Iran khomeinista, si capisce in quale cul de
sac gli Stati Uniti siano andati a cacciarsi.
Se si oppongono all'ipotesi teocratica, contro la volontà della
maggioranza degli sciiti, trionfatori al vaglio del voto, dimostrano nel
modo più plateale che le elezioni del 30 gennaio erano solo una farsa
che non aveva lo scopo di portare una vera democrazia (in cui la volontà
della maggioranza, per quanto sgradita, dovrebbe essere legge), ma solo
quello di legittimare l'invasione e l'occupazione. Se non si oppongono
avranno in Iraq una teocrazia molto vicina politicamente proprio a
quell'Iran che oggi è da loro considerato il primo della lista dei
Paesi dell'"asse del male" perché, circondato da Stati che ce
l'hanno, vuole anch'esso munirsi di armi atomiche (mentre l'Iraq di
Saddam Hussein era nemico giurato dell'Iran khomeinista e
postkhomeinista). In quanto ai sunniti l'idea di avere sulla testa gli
odiati avversari sciiti non li convincerà certamente ad abbandonare la
guerriglia, al contrario.Ma c'è di più e di peggio. Una Repubblica
teocratica irachena può andare ancor meno bene ai curdi che sono
musulmani all'acqua di rose e sono innanzitutto curdi. Se sinora sono
stati buoni e alleati leali degli americani è perché si illudevano di
ritagliarsi all'interno del nuovo governo iracheno una fetta di potere
sufficiente a fare del proprio territorio una sorta di "zona
franca" semiindipendente.
Una Repubblica
teocratica esclude questa ipotesi e scatenerà le loro mai sopite, e
sacrosante, voglie secessioniste. E il secessionismo curdo provocherà,
a sua volta, la reazione armata della Turchia che teme il contagio ai
milioni di curdi che vivono nel suo territorio e sotto il suo tallone di
ferro (per decenni fra l'Iraq di Saddam Hussein e i vari governi turchi
c'è stato un patto leonino per bastonare, insieme, i curdi, le truppe
dei due Paesi avevano licenza di invadere i confini altrui per inseguire
e massacrare gli indipendentisti curdi, iracheni o turchi che
fossero).Gli americani, a questo punto, non potranno che intervenire a
favore della Turchia, il loro vero, grande, alleato nella regione,
cercando di tagliar le unghie ai curdi iracheni che si andranno così ad
unire alla guerriglia sunnita e a quella internazionale sotto il comando
di Al Zarquawi.
Se le cose dovessero andare davvero così - ed è molto probabile - gli
americani col loro intervento in Iraq avrebbero raggiunto questi
formidabili risultati: 1) creare in Iraq una zona franca in cui accorre
tutto il terrorismo internazionale; 2) mettere al posto di una dittatura
una teocrazia, il che, dal punto di vista democratico, non è il
massimo; 3) avvicinare l'Iraq all'Iran cioè al Paese che considerano
attualmente il loro nemico principale o, peggio, porre le basi per
l'unificazione, in un vicino futuro, fra l'Iran e l'Iraq sciita; 4)
scatenare l'indipendentismo curdo che può mandare a fuoco non solo la
Turchia ma l'intera regione.E tutto questo al prezzo, per ora, di 120
mila morti iracheni, di più di 1500 soldati americani uccisi e di un
discredito e di un isolamento internazionale, per aver aggredito uno
Stato sovrano senza nessuna credibile giustificazione, che nessuna
propaganda può occultare.