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Telecom
e le storie d’Italia
Michele
Altomeni - 6 Ottobre 2006
Prima
parte: la svendita dello Stato
Poco meno di sei mesi fa, il 15 aprile, ho scritto un
articolo intitolato “I parassiti del paese diviso”. Era una sorta di
commento al risultato elettorale. In sintesi diceva che la vittoria del
centrosinistra era certamente un risultato positivo, ma non c’era
molto da festeggiare. Riporto qui la parte finale.
…Cominciamo da Prodi,
ricordiamoci chi è, da dove viene. Lui e il suo circondario, i vari
Monti e Padoa-Schioppa (un nome che avete sentito poco, come spesso
succede per gli uomini di vero potere), legati a doppio filo alle grandi
banche d’affari, come
Dicevamo, la borghesia sta per presentare il conto. Il paese è alla bancarotta, l’intera economia occidentale è alla bancarotta. In queste fasi il grande capitale raschia il barile, mette il malloppo al sicuro e poi da l’ultima spallata alle colonne che sorreggono il tempio, mandando a morte Sansone e tutti i filistei. Poi rimaterializza il malloppo da qualche altra parte, ricostruisce un nuovo tempio e ricomincia il gioco. Che ruolo giocherà il nuovo governo in tutto questo? Quello della Goldman Sachs, o quello dei cittadini che chiedono sicurezza, un lavoro decente, uno stato sociale capace di rispondere ai bisogni essenziali, un ambiente più sano? Questa è la vera divisione del paese, non quella emersa dalle urne. Il voto non è stato il completamento di un lavoro, è solo l’inizio. Sono contento che si possa iniziare il lavoro, ma non festeggio, perché è tutto ancora da fare. E ora che Berlusconi è in panchina, i veri avversari si chiamano Paolo Mieli, Luca C. di Montezemolo, De Benedetti, Tronchetti Provera, Merloni, Della Valle….
In questi sei mesi cosa è successo? In primo luogo, quel
Padoa Schioppa che pochissimo avevano sentito nominare è diventato
ministro dell’economia e sta imponendo una finanziaria che, nonostante
gli sforzi di Rifondazione, rimasta isolata in questa battaglia, non
segnerà certo quella svolta che in tanti si aspettavano.
Lasciamo da parte la finanziaria, e veniamo invece ad un altro fatto di
attualità che ci può essere utile a proseguire il discorso iniziato ad
aprile: la vicenda Telecom.
Un po’ di storia
Per capire il presente è sempre
utile un po’ di storia. Purtroppo, lo sappiamo, viviamo in un paese
senza memoria. E i mezzi di (dis)informazione non ci aiutano certo a
ricordare.
Telecom, questo almeno dovremmo
ricordarlo, una volta si chiamava SIP, ed era una grande azienda
statale, una vasta infrastruttura realizzata con i soldi dei
contribuenti. Poi Regan e Tatcher, per conto di altri, fondarono una
nuova religione, il Neoliberismo, che venerava il dio Mercato. In base a
questa religione la proprietà pubblica e la gestione pubblica dei
servizi era peccato mortale. Ma il buon dio Mercato dava a tutti i
peccatori la possibilità di redimersi e rientrare nelle sue grazie. Il
sacramento purificatore si chiamava Privatizzazione. In breve tempo il
nuovo credo si diffuse dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti al resto
del mondo, amministrato dai custodi del culto: Banca Mondiale, Fondo
Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, Unione
Europea…
La nuova religione arrivò anche
in Italia e subito i governi che si alternarono al potere la
abbracciarono con fervore, quelli di destra come quelli di sinistra. Il
sacro verbo di Maastricht, con i suoi santi parametri, indicò la via
della redenzione e, pezzo per pezzo, una parte dello Stato fu liquidata
in un clima di estasi mistica. I pochi eretici che provarono a sollevare
obiezioni furono azzittiti senza difficoltà. Il dio Mercato avrebbe
messo fine a tutti i mali del paese, dal malgoverno alla corruzione,
perché il Mercato è santo e bello, infallibile e giusto. Cittadini,
consumatori, utenti avrebbero finalmente vissuto in un paradiso
terrestre di prezzi bassi ed efficienza, sotto la tutela della santa
trinità che accanto al dio Mercato vede l’impresa, venuta a redimere
i peccatori con la forza vivificatrice dello spirito santo della
concorrenza.
Fu una stagione epica e non furono pochi i vati che ne cantarono le
gesta. Pochi furono invece gli storici che ricostruirono la realtà dei
fatti.
Breve digressione
Prima di arrivare a Telecom è
bene ripercorrere dall’inizio la storia delle privatizzazioni in
Italia.
Siamo nel
Il 23 maggio la mafia fece
saltare in aria Giovanni Falcone e la sua scorta. Poco dopo Borsellino
seguì la sua sorte. Altre bombe esplosero qua e là.
100 giorni dopo l’arresto di Chiesa e pochi giorni dopo la strage di
Capaci, il 2 giugno 1992, al largo di Civitavecchia, su un panfilo
denominato “Britannia”, di proprietà di Sua Altezza
Goldman Sachs è un elemento
cruciale di questa storia e in generale nella storia delle
privatizzazioni italiane, dove ha ricoperto alternativamente il ruolo di
acquirente o di advisor.[2]
Romano Prodi è stato consulente della Goldman Sachs praticamente ogni
volta che è rimasto fuori da incarichi pubblici: tra le due sue
presidenze dell’IRI, e dalla caduta del suo primo governo alla nomina
alla Commissione Europea. All’epoca due giornali londinesi (Daily
Telegraph e Economist) gli chiesero conto di questo legame, oltre che di
quello con Unilever (di cui era stato ugualmente consulente) e dei lauti
compensi percepiti da queste società. Ricordarono la procedura di
privatizzazione della Bertolli, ceduta dall’IRI di Prodi al consorzio
Fisvi e poi rivenduta alla Unilever con
Tornando al Britannia, al
piacevole party marino partecipò anche il finanziere
ungherese-americano George Soros che oggi si spaccia per filantropo e
scrive libri che criticano il neoliberismo, ma
allora si divertiva e arricchiva lanciando attacchi speculativi
alle valute di alcune nazioni.
Di quella crociera i giornali diedero informazioni vaghe, e alcuni dei
protagonisti si affrettarono a liquidarla come un semplice ritrovo di
piacere. Draghi negò per due anni la sua partecipazione, finchè non la
ammise di fronte ad una commissione parlamentare.
Cosa ha a che fare la crociera
sul Britannia con la nostra storia? Sarà un caso, ma pochi mesi dopo, a
settembre, Moody’s[3]
declassò i BOT italiani. Allo stesso tempo George Soros lanciò un
attacco speculativo alla Lira attraverso una massiccia svendita della
valuta italiana[4].
Questi fatti provocarono un crollo del valore della moneta del 30% a cui
Subito dopo la massiccia svalutazione iniziò il valzer delle
privatizzazioni. In pratica, gli acquirenti stranieri, poterono
beneficiare di uno sconto del 30%, un vero affare! Accorsero in branchi
le iene per avventarsi sul cadavere dell’economia nazionale e
spolparne le ossa.
Alcune procure, tra cui quelle
di Roma e Napoli, aprirono delle inchieste sulle responsabilità di
quella svalutazione e indagarono sul legame con la crociera sul
“Britannia”. Non ne venne fuori nulla.
Per la cronaca, i due massimi responsabili della lira erano in quel
momento Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini, rispettivamente
governatore e direttore generale della banca centrale, diventati poi
presidenti del consiglio dei due governi tecnici che diedero un grande
impulso alle privatizzazioni (mentre tagliavano con l’accetta la spesa
pubblica). Presidente del Consiglio era Giuliano Amato, mentre
Romano Prodi governava lo smantellamento dell’IRI.
A poco più di un mese dalla
crociera, a metà luglio 1992, l’appena insediato governo Amato, avvia
la prima privatizzazione della serie, quella dell’Efim, un gruppo di
un centinaio di società e migliaia di posti di lavoro. Alla fine
dell’estate il governo trasforma in società per azioni i grandi enti
pubblici, a partire da Enel, Eni, Ina ed Iri. Un anno dopo va all’asta
il Credito Italiano, per continuare con maxi privatizzazioni durante
tutti gli anni Novanta, tra cui Telecom ed Enel, passando per un mare di
aziende sparse un po’ in tutti i settori, a cominciare dall’agroalimentare
(Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Galbani, Ferrarelle, Peroni, Moretti,
Perugina) che finisce in mano a società olandesi, inglesi o americane.
In mani straniere cade anche buona parte del sistema bancario e molte
altre aziende dei settori strategici.
Nel 2000 l’Eni è già in avanzata fase di privatizzazione. Manca solo
il ramo “immobili”. La fetta più consistente viene acquistata dalla
Goldman Sachs (no?!) per circa 3000 miliardi delle vecchie lire. Ma non
basta, perché la stessa banca acquisterà anche gli immobili della
Fondazione Caripalo, di Unim, Ras e Toro.
Torniamo a Telecom
In quegli stessi anni la vecchia
SIP divenne Telecom e nel 1997 fu messa sul mercato dal governo Prodi
(ma no?!). Bisognava fare cassa, e in fretta, lo esigeva l’Unione
Europea, quindi non si poteva badare tanto per il sottile. Così le
azioni furono vendute per un prezzo irrisorio, tant’è vero che appena
un anno dopo le stesse azioni valevano sul mercato cinque volte di più
(+ 514 %).
Si fece una campagna martellante per invitare i piccoli risparmiatori ad
acquistare azioni di quella che doveva diventare una public company (una
società con capitale diffuso tra piccoli soci). I piccoli risparmiatori
che in quegli anni cominciavano ad appassionarsi alla nuova lotteria
nazionale della Borsa comprarono l’85%.
Ministro del Tesoro era Carlo
Azelio Ciampi. Direttore generale Mario Draghi. Al vertice di Telecom
stava Guido Rossi, che dopo la dimissioni di Tronchetti Provera è
tornato su quel trono. Dopo la privatizzazione la presidenza passò ad
un uomo della FIAT, mentre Guido Rossi polemizzava con D’Alema,
accusato di avere messo l’impresa in mano ai poteri forti.
Con l’azionariato diffuso basta un piccolo pacchetto di azioni per
controllare la baracca. Quel pacchetto è composto da una cordata
guidata dalla finanziaria di casa Agnelli (Ifil)
Altra breve digressione
Sempre nel 1997, ma prima della
privatizzazione, Telecom compra il 29% di Telekom Serbia, pagando 878
miliardi di lire. Cinque anni dopo, caduto Milosevic, rivenderà la
quota a Telekom Serbia per 378 miliardi, con una perdita del 57%. Il
Polo su questa vicenda ha fatto un gran casino, che non ha portato a
nulla.
Saldi e ribassi
Dalla privatizzazione di Telecom
il governo ricava 11,8 miliardi di euro.
Nel 2001 ENEL (società pubblica) acquista Infostrada, una società più
piccola di Telecom, e la paga 11 miliardi di euro.
Da dove viene Infostrada? In sostanza è la vecchia rete telefonica
interna delle Ferrovie dello Stato, che il governo Prodi vendette ad
Olivetti (De Benedetti) per 700 miliardi di lire (35 milioni di euro) da
pagarsi a rate in 14 anni. Olivetti
la vendette subito alla tedesca Mannesman per 14 mila miliardi di lire
(7,5 miliardi di euro – venti volte il prezzo di acquisto) in una
unica soluzione. Chi ha fatto la stima del valore della rete pubblica?
Il manager delle Ferrovie Lorenzo Necci provò ad opporsi, ma fu
“invitato” a vendere senza tante storie. Non capì il consiglio e
dovette pensarci la magistratura: fu incriminato sulla base di
intercettazioni telefoniche (!?), fece qualche mese di carcerazione
preventiva e poi fu assolto.
Nel frattempo arriva al governo
D’Alema e comincia l’era Colaninno, che attraverso Olivetti dà la
scalata a Telecom. Ancora una volta ci furono pesanti irregolarità per
tenere basso il prezzo delle azioni attraverso una vendita occulta, ma
Colaninno controlla al 51% una società fantasma,
Dalla Telecom fu scorporata
Per l’acquisto la “Otto” ottiene i soldi da Dario Cossutta, figlio
di Armando, alto dirigente della Banca Commerciale, che è anche socia
della “Otto”.
Le società che avrebbero dovuto
pagare le tasse per le plusvalenze spariscono nel nulla, forse in
qualche paradiso fiscale…
Dopo un po’ i rapporti tra Colaninno e De Benedetti si guastano.
Colaninno pensa di poter giocare in proprio.
Tronchetti Provera diviene amministratore delegato di Pirelli nel 1992.
Nel 1995 ne diviene primo azionista e nel 1999 acquista
Vendendo pezzi di Pirelli ottiene i liquidi che gli
permetteranno, il 28 luglio 2001, insieme ad Edizione Holding (Benetton),
attraverso Olimpiadi, di rilevare il 100% della partecipazione della
Bell in Olivetti, pari a circa il 23% della società che controlla
Telecom Italia. A fine settembre entrano in Olimpia anche Unicredit e
Banca Intesa.
Nonostante Tronchetti Provera
spezzetti e venda una parte delle sue proprietà i debiti di Telecom
raggiungono livelli stratosferici.
Alla fine del 2002 Emilio Gnutti, socio di Colaninno ai tempi della
scalata a Olivetti, ritorna nel colosso telefonico. Hopa entra in
Olimpia con una quota del 16%.
Nel 2003 Olivetti viene
disciolta in Telecom. Nel 2005 Telecom Italia lancia un'Opa da 14,5
miliardi di euro sulla controllata Tim. L'offerta si chiude il 21
gennaio con la fusione che ha l'obiettivo di contenere con i profitti di
Tim il debito della capogruppo.
Nel frattempo qualcosa nell’alleanza con De Benedetti si guasta.
A gennaio del 2006 Emilio Gnutti lascia Olimpia ed esce definitivamente
dal gruppo per motivi di salute e perché viene travolto dallo scandalo
della scalata ad Antonveneta. Il 7 settembre Tronchetti Provera incontra
Rupert Murdoch per discutere un possibile accordo. Pochi giorni dopo, ad
un anno e mezzo dalla fusione, Tronchetti annuncia in cda lo scorporo di
Tim, probabilmente per venderla e ridurre il debito di Telecom Italia
salito nel primo semestre
Epilogo
L’epilogo è cronaca delle
ultime settimane. Dopo l’annuncio dello scorporo Prodi rilascia
dichiarazioni indignate affermando di avere parlato con Tronchetti
Provera delle prospettive di Telecom senza che l’imprenditore
accennasse a tale ipotesi (sembra quasi dire “non erano questi i
patti!”). Subito il presidente della Telecom consegna alla stampa un
documento su carta intestata della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, fattogli avere da Angelo Rovati, consigliere di Prodi, che
prevede lo scorporo della rete fissa e, forse, una sua riacquisizione da
parte dello Stato (Cassa Depositi e Prestiti formata da Ministero del
Tesoro più le Fondazioni Bancarie). Di fronte all’insorgere di alcuni
partiti e testate giornalistiche che accusano Prodi di ingerenza, il
presidente del consiglio dichiara di non sapere nulla del piano e Rovati
conferma assumendosi tutte le responsabilità del documento. Nel casino
generale Tronchetti Provera rassegna le sue dimissioni ed al suo posto
torna Guido Rossi.
Alcuni giornali affermano che in
quei giorni, tra Presidenza del Consiglio e Ministero dell’economia si
stava trattando riservatamente per la nomina alla direzione generale del
Tesoro di Claudio Costamagna, finanziere internazionale, amico di Prodi,
recentemente incaricato da Rupert Murdoch proprio per la trattativa con
Tronchetti Provera. Lo scoppio della polemica blocca la nomina di
Costamagna al Ministero.
Al di là della collaborazione con Murdoch, Claudio Costamagna ha
lavorato fino a pochi mesi fa a Londra per
Nella stessa sede di Londra
lavorava un altro amico di Prodi, Massimo Tononi, che per
Dato questo quadro non sono in pochi a sospettare che in realtà il
piano di Rovati sia farina di Costamagna e Tononi, ossia di Goldman
Sachs.
Cirino Pomicino, assieme ad altri deputati, firma una interrogazione al
Governo in cui chiede se sia vero che dopo l’annuncio dello scorporo
di TIM da Telecom (che tanto ha fatto arrabbiare Prodi), alcune banche
creditrici abbiano comunicato a Tronchetti che non avrebbero più
sostenuto l’indebitamento; se sia vero che il piano presentato da
Rovati (e di cui Prodi disse di non sapere nulla), sia stato in realtà
predisposto da Goldman Sachs; se sia vero che il sottosegretario Tononi
sia ancora dipendente della stessa Goldman Sachs (in ogni caso lo è
stato almeno fino all’insediamento del governo).
Prospettive e
interpretazioni
Non sarà facile salvare Telecom.
La strategia di cedere la rete fissa sembra perdente. Chi investirebbe
una fortuna per comprare oggi una infrastruttura che richiede grandi
investimenti per essere ammodernata (Fastweb ha un fibra di molto
migliore) e che rischia di essere soppiantata in breve tempo dal
tecnologie più moderne (wireless)? In questa ottica la
rinazionalizzazione rischia di essere l’ennesima manovra di
“pubblicizzazione” delle perdite dopo che Telecom ha incassato gli
utili. Ma anche la vendita di TIM rischia di essere fuori tempo rispetto
alla prossima era degli operatori virtuali che, si dice, ne dimezzerà
il valore nei prossimo cinque anni. Le licenze UMTS scadono nel 2007 e
da allora chiunque, con un capitale
non eccessivo, potrà diventare operatore virtuale (vendere
propri cellulari, proprie SIM, propri servizi…). Coop ha già
annunciato che lo farà.
Rispetto alla possibilità di vendere TIM, tra i possibili
acquirenti si è parlato anche della Carlyle, la cui sezione italiana è
presieduta da Marco De Benedetti (figlio dell’ingegnere, che di TIM è
stato anche amministratore delegato). Non sarà che De Benedetti e Prodi
si sono arrabbiati con Tronchetti Provera perché invece è andato a
trattare con Murdoch?
Sempre tra i possibili
acquirenti di TIM o di pezzi di Telecom, come partner di Carlyle o in
proprio, si è fatto anche il nome di Mediaset, anche se Berlusconi si
è affettato a smentire. La cosa curiosa è che a metà aprile 2006, su
Libero (giornale molto vicino a Berlusconi) è apparsa la notizia di una
possibile fusione tra Mediaset, la prima Tv commerciale del Paese, e
Telecom Italia, primo gestore telefonico fisso e mobile e primo Internet
provider italiano. All’epoca fu Telecom a occuparsi delle
smentite di rito.
Questo tipo di fusione, come
quella con Murdoch, vanno nella direzione di quella che sembrerebbe la
nuova frontiera delle comunicazione mobile:
[1]
Carlo Palermo, Il quarto potere – Editori Riuniti
[2]
Soggetto che viene incaricato dalla parti per valutare un
patrimonio, una società ecc.
[3]
Un centro privato di analisi che stabilisce il rating, ossia calcola
i rischi dei titoli offerti sul mercato finanziari. In pratica dà i
voti alle economia nazionali stabilendone la maggiore o minore
affidabilità.
[4]
Alla manovra
sull’Italia, ne seguirono altre, su Tailandia, Malaisia (dove
Soros fu processato e condannato), Indonesia, Singapore. Queste
operazioni ridimensionarono la corsa delle cosiddette “tigri
asiatiche” che iniziavano a dare fastidio al dominio economico
statunitense.
[5]
Di questa società
lussemburghese avvolta dal mistero, fanno parte anche Gnutti
(ricordate la vicenda BNL-Unipol-BancadiLodi-Fiorani-Consorte?),
Antonveneta, Interbanca, Chase Manhattan, San Paolo, Lucchini,
Mediobanca ecc. All’epoca il presidente del Consiglio D’Alema
interviene per garantirne personalmente la trasparenza. Due
giornalisti di Repubblica scoprono che tra i soci fondatori di Bell
compare una società chiamata Oak Fund, con sede alle Cayman.
Tradotto Oak Fund significa Fondo Quercia. Risulta un fondo gestito
in esenzione fiscale, in un paradiso vietato dalla legge italiana,
da soci anonimi con quote al portatore. Sarà un caso!?