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Tanzi
nostri
Andrea
Cinquegrani – tratto dal mensile:«La Voce della Campania»
Arriva
da lontano, la storia del maxi "buco". E passa attraverso la
svendita del colosso SME, e prima ancora si ferma sull'altro bubbone
delle casse italiane, la Federconsorzi. Poi tocca il crac Italtel.
Bidone dopo bidone, la Voce é in grado di ricostruire uomini e passaggi
della Tanzi-Bond.
Partiamo da un nome, Mario Mutti. Pedigree universitario made in Usa,
subito in rampa di lancio, è un manager nato. E parte alla grande, ai
vertici del colosso Dow Chemical e responsabile degli affari della
multinazionale in Spagna. Quindi, il ritorno in patria, dove a questo
punto il suo destino comincerà a correre su diversi binari. Uno porta
direttamente al settore agro-alimentare, prima alla Polenghi Lombardo,
poi breve parentesi in Milupa, quindi alla Federconsorzi, il gigantesco
carrozzone parapubblico destinato a rappresentare - negli anni seguenti
- forse il più grosso scandalo economico targato prima (e anche
seconda) repubblica).
Tutto auto sportive e testi sacri (porterà sempre l'impronta del clima
opusdeista respirato in Spagna), si getta comunque sempre più a
capofitto negli affari. E' Tanzi - nel frattempo maturato sotto le
protettive ali vaticane e soprattutto dc, da Colombo, a Pomicino, per
trovare il suo nume in De Mita - la sua stella polare, con la quale
costruisce il suo futuro. Chiamato Parmalat.
Proprio
Mutti, infatti, organizza lo sbarco del marchio di Collecchio in piazza
Affari: l'operazione, destinata a dare un imprinting decisivo
all'azienda parmense, nasce attraverso l'incorporazione, nel nascente
gruppo Tanzi, di una creatura di casa Mutti, il suo scrigno, la
Finanziaria Centro Nord.
Piantate queste solide radici, il rampante Mutti può diversificare a
ampliare il suo orizzonte. Sul versante economico, va alla grande, con
la vice presidenza di un altro big, Standa, passato dal gruppo Ferruzzi
a quello Berlusconi. Lavora in tandem col fratello di Silvio, Paolo.
Venduta a sua volta la Standa, il Cavaliere pensa bene di destinare
Mutti - per la sua esperienza già maturata in Spagna - alle attività
estere di Fininvest, dove la nascente iberica Telecinco rappresenta la
punta di diamante (finita poi nel mirino del giudice Garzòn).
Sul fronte politico Mutti è altrettanto dinamico. Inizia sulle sponde
del patto per l'Italia di Mario Segni per poi passare a Forza Italia, ai
primi vagiti. Il suo 'core', però, si chiama Gladio, e la sua regione
preferita la Sardegna. A questo punto entrano in campo due legami. Il
primo è con Riccardo Riccardi, vicino a Francesco Cossiga e presidente
di Meliorbanca, il gruppo finanziario che fa capo alla Gallo & C.,
oggi sotto inchiesta per il clamoroso crac del gruppo Ambrosio che ha
portato una voragine da oltre 1000 miliardi di vecchie lire nelle casse
dell'ex Banco Napoli. Il secondo è con un altro equilibrista della
finanza, Giuseppe Gennari. E qui arriviamo ad una svolta. Con
Fedit-Federconsorzi al centro di un colossale intrigo.
Tanzi in quel periodo - siamo nella seconda metà degli anni '80 -
voleva 'allargarsi' e mirava all'acquisto di Kraft. "Il patrimonio
Federconsorzi comincia a far gola a molti - raccontano a piazza Affari -
già si pregusta il grande affare, si sente odore di svendita, e gli
appetiti crescono". Ci pensa Mutti, che prova a tirar dentro Tanzi
per dar vita ad una vera e propria holding alimentare. L'operazione non
va in porto e Mutti ci riprova, questa volta con Gennari, anche lui
socio nella Finanziaria Centro Nord. La manovra è complessa, perché
Gennari punta dritto al cuore della Banca dell'Agricoltura, rilevando il
13 per cento di azioni dell'istituto detenute dalla Federconsorzi.
Negli
anni seguenti, comunque, andrà in porto la svendita del patrimonio
Federconsorzi a una misteriosa SGR. L'operazione ha dell'incredibile, si
tratta, della "vicenda fallimentare più eclatante della storia di
questa repubblica per la dimensione economica del crac che ha visto
ridursi una patrimonialità di 6500 miliardi a poco più di 2000".
A denunciarlo, il 24 gennaio 1996, in un'interrogazione rivolta alla
presidenza del consiglio e ai ministri della Giustizia e
dell'Agricoltura, è un agguerrito gruppetto di parlamentari, capeggiati
dal diessino Carmine Nardone, oggi presidente della Provincia di
Benevento. Viene sottolineato con parole di fuoco che "con
premeditazione si sia voluto far fallire la Fedit per abusare del suo
ingente patrimonio e attuare strategie di mercato agroindustriale
realizzabili solo se si fosse eliminata la Fedit medesima".
Ma cosa c'era dietro SGR, la Società Generale Realizzo dal sintomatico
nome? Quell'interrogazione è illuminante. SGR era - incredibile a
dirsi, per un tale affare - "l'unico acquirente disponibile a
rilevare i beni Fedit"; inoltre, dal favoloso acquisto avrebbero
tratto beneficio una serie di società "dismesse dalla Fedit e
improvvisamente rifiorite dopo l'acquisizione fallimentare".
Ciliegina sulla torta, tutta la complessa e arcimiliardaria operazione
è passata senza uno straccio di inventario dei beni FeditŠ
Sullo scandalo Federconsorzi ha avviato - alcuni mesi fa - una maxi
inchiesta la procura di Potenza. Un'inchiesta che potrebbe riservare
sviluppi clamorosi. E che potrebbe collegarsi ai crac dei gruppi
Cragnotti e Tanzi.
FIO FISVI
Passiamo in rapida carrellata alcuni elementi in comune. Cominciamo
dal caso Sme, la svendita dell'altro colosso alimentare pubblico del
Sud. In quella maxi operazione entrano in scena parecchi protagonisti:
dal gruppo De Benedetti, alla cordata Berlusconi, fino a Giovanni
Fimiani, che presenta l'offerta più alta (oltre 600 miliardi di vecchie
lire), ma ha un curriculum fitto di cambiali da 5 milioni andate in
protesto. Le sue accuse - asso nella manica di Berlusconi nella querelle
Sme - sono però finite in flop, archiviate. Allora, a vincere l'asta -
si fa per dire - fu il misterioso gruppo Fisvi, lucano, capeggiato dal
leader delle coop bianche locali, Saverio Lamiranda, spalleggiato -
tramite laute fideiussioni - dalla Banca Mediterranea (ex Popolare di
Pescopagano, crocevia d'interessi pomiciniani, dal gruppo Ambrosio all'Icla),
poi passata sotto il protettivo ombrello della Banca di Roma, sempre
solerte nel tamponar falle arcimiliardarie.
Ecco cosa scriveva la Voce oltre dieci anni fa, nel numero di novembre
1993. "Oltre alle banche, Lamiranda sembra aver trovato alleati
anche tra i privati. Il perno dell'operazione, infatti, è Calisto Tanzi
che, attraverso due società, Ec&P e Itc&P, controlla quasi il
20 per cento della finanziaria". Ovvero Fisvi, la fortunatissima
acquirente del cuore di Sme, con ogni probabilità molto amata all'ombra
del Vesuvio, visto che l'altro istituto di credito a largheggiare in
garanzie è proprio il Banco di Napoli, che presta fideiussione per la
bellezza di 50 miliardi di vecchie lire (di undici anni faŠ). Insomma,
una bella operazione tutta di marca dc, dai basisti di Ciriaco De Mita e
Angelo Sanza (fra l'altro, entrambi sponde politiche di Tanzi), agli
andreottiani.
Itc&p
sta per Intesa Tanzi Cagnotti & partner, legati da un cordone
ombelicale non solo per via del pallone, ma anche per i business
lattiero-alimentari e la capacità di volare con disinvoltura da un
paradiso fiscale all'altro, dalle Cayman all'Ecuador, dal Venuezuela a
Tortula. La Itc&p, infatti, aveva in dote il 2 per cento della
Cagnotti & partners, la società attraverso cui l'ex magnate della
Lazio ha poi portato a segno il colpo Cirio (che sta svenando - come
Parmalat oggi - migliaia e migliaia di risparmiatori).
Ma torniamo all'accoppiata Mutti-Tanzi. A fine anni ottanta Mutti fa
ufficialmente il suo ingresso nel cda di Parmalat, e nel frattempo
continua le imprese di 'ventura', a bordo della Afim, controllata
insieme alla moglie e ai figli, Miguel e Maximiliano, in onore dei
trascorsi spagnoli. Un salto e siamo alla solite soglie del 2000. Quando
si gioca la grande 'partita'. Ecco insieme, d'incanto, tutti i
protagonisti. Vediamo. Dalle patate passiamo ai telefoni: ovvero, dagli
affari alimentari a quelli informatici. E' nel 1999 che Mutti entra in
affari con l'ex numero uno di Italtel, Salvatore Randi, per rilevare da
Telecom e Siemens Italia una costola dello stesso gruppo, Italtel
Sistemi. Un gruppo che non naviga in ottime acque finanziarie, ma che può
comunque contare su un committente generoso e d'eccezione, Telecom
Italia, allora capitanata da Roberto Colaninno, il miracolato ragioniere
del gruppo d'Ivrea, che punta molto su una controllata brasiliana.
Ed ecco, subito, un'altra magia: Mutti partorisce Tecnositemi, frutto
del matrimonio fra Italtel Sistemi e una sua creatura, Tecnoeudosia.
Nella neo formazione, però, fanno capolino altri soci 'eccellenti': in
primis il gruppo Parmalat e il gruppo Gallo, quello di Meliorbanca (e
dell'affaire Banco Napoli).
Un buco, si vede, tira l'altro. Anche il colosso Italtel, a questo
punto, entra di diritto nel crac parmense. Un gruppo del casertano per
anni ai vertici nella hit industriale, oggi praticamente scomparso. Di
chi le colpe? Sarà in grado la magistratura di ricostruire -
responsabilità per responsabilità, dolo per dolo - il martoriato
itinerario di tante storie e vite aziendali