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Come
decenni di sciagurata gestione del credito ci stanno facendo precipitare
in un antistorico “Terzo Mondo” europeo.
La
tagliola del credito
(Parte II)
di Carlo Bertani
Parte II
Risultato:
qualsiasi finanziamento doveva passare al vaglio delle Amministrazioni
Locali, scatenando così gli appetiti delle forze politiche per il
controllo dei fondi. Spesso, i fondi non sono stati erogati proprio per
il mancato accordo fra le forze politiche sulla spartizione degli
stessi, che dovevano sempre essere bilanciati seguendo le locali logiche
clientelari di partito (diverse, oltretutto, da luogo a luogo).
Spesso, quei fondi che dovevano essere credito corrisposto alle imprese,
venivano gestiti solo dalle amministrazioni pubbliche (a tutti i
livelli) giacché le farraginose procedure per ottenere il credito
scoraggiavano chiunque non avesse a disposizione un ufficio tecnico e
finanziario. Strutture che, le amministrazioni locali, ovviamente
possiedono.
Si giunse addirittura, da parte italiana, a non utilizzare completamente
i finanziamenti a disposizione e l’UE[5]
(giustamente) dirottò quei fondi verso i paesi che li usavano: il
cosiddetto “miracolo economico” irlandese è nato proprio dai fondi
europei che l’Irlanda ha saputo attrarre, compresi quelli inutilizzati
dall’Italia.
Cosa è accaduto – in Italia – dove i fondi sono stati concessi?
Non è apprezzabile alcun segno d’incremento nell’imprenditoria
privata che possa essere messo in relazione con i finanziamenti europei:
chi riceveva quei fondi li destinava spesso alla costruzione di
capannoni che – sulla carta – sarebbero divenuti sedi di
fantomatiche aziende. Inutile ricordare che, ricevuti i fondi, le
aziende non sono mai decollate: recentemente, sembra che
D’altro
canto, cosa potevamo ragionevolmente attenderci da uno Stato che consegnò
– negli anni ’70, circa 700 miliardi di lire (dell’epoca!) nelle
mani di Nino Rovelli – per creare stabilimenti della SIR (Società
Italiana Resine) in Sardegna, capannoni costruiti e poi abbandonati
senza che avessero creato né reddito né occupazione? Il famoso
processo a Cesare Previti nasce da quelle vicende.
Ancora una volta il credito – come diritto all’esistenza, ed in
quanto tale bene di primaria importanza – viene confuso con una
lotteria, con i soldi piovuti dal cielo, in quel caso dall’Europa: chi
non sa riconoscere il valore sociale del credito, non è in grado di
maturarne il rispetto.
L’accesso al credito europeo avrebbe scardinato proprio quel sistema
medievale ed oligarchico che vige nello Stivale: piuttosto che venir
meno a quel consolidato principio, si preferì abbandonare tutto alle
ortiche. Si noti – a margine – la raffinatezza tutta democristiana
di concedere sì i fondi, ma con modalità che li rendevano a priori –
di fatto – inutilizzabili.
Dobbiamo, a questo punto, chiederci quali sono i vantaggi nel “mettere
il freno” alle potenzialità creative e produttive del paese, perché
si tratta – apparentemente – di una incongruenza che porta solo
difficoltà economiche.
Torniamo a
Tina Anselmi ed a quella sibillina frase: comprendere
“profondamente” il fenomeno P2.
Appena asceso al trono, la tessera P2 n° 1816[6]
Silvio Berlusconi inizia ad applicare molti passi del programma politico
della P2, tanto che Licio Gelli se ne compiace pubblicamente. Nei primi
mesi di governo nasce la legge n° 366 del 3 ottobre 2001, che
regolamenta in modo nuovo il mondo cooperativo[7].
Sostanzialmente, scompare la figura del socio-lavoratore, ovvero chi
fonda od entra in una cooperativa con un piccolo capitale (a volte,
puramente nominale) e presta servizio all’interno della cooperativa
ricevendo un salario che viene deciso dai soci stessi: è uno dei
capisaldi del movimento cooperativo, sin dalla sua nascita.
Il provvedimento sarà poi completato con il Decreto Legislativo n. 6
del 17 gennaio 2003 e, infine, con la cosiddetta “legge Biagi”, e le
cooperative riusciranno a sopravvivere sostituendo alla figura del socio
lavoratore quella del socio-CO.CO.CO, ma ormai il colpo è inferto[8].
Altri passi della legge sanciscono un diverso trattamento per i soci
“fornitori di capitali”, un differente peso nel voto delle
assemblee, e la possibilità (a quelle condizioni, quasi obbligata) di
trasformare la cooperativa in società per azioni od a responsabilità
limitata.
Per quale
ragione Berlusconi s’accanisce contro il movimento cooperativo?
Si potrebbe sostenere che ne è sospinto dal proprio DNA, come un ratto
avverte avversione per l’odore del serpente, ma c’è dell’altro.
Nella sezione riservata alle cooperative, all’art. 2 comma b, si legge
“prevedere, al fine di
incentivare il ricorso al mercato dei capitali, salve in ogni caso la
specificità dello scopo mutualistico e le riserve di attività previste
dalle leggi vigenti, la possibilità, i limiti e le condizioni di
emissione di strumenti finanziari, partecipativi e non partecipativi,
dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi;”
“Al fine di incentivare il ricorso al mercato dei capitali”, ecco
cosa vuole ottenere Berlusconi: se, nella seconda parte del comma si
concede l’emissione di strumenti
finanziari, non è quello il vero scopo.
Il sistema delle cooperative, per sua natura, è uno strumento che può
anche non far riferimento al credito: con l’elasticità concessa ai
soci di decidere in autonomia le quote da riservare ai salari ed alla
capitalizzazione, la cooperativa può creare capitale quando ne ha
necessità e destinare invece le risorse ai salari se non ci sono
necessità di capitalizzazione. Se, durante un esercizio finanziario, si
prevedono spese per l’acquisto d’attrezzature, scendono i salari,
all’opposto salgono. Questa elasticità non era prevista per le società
con dipendenti, ai quali bisognava corrispondere il salario sindacale,
ma ci si dimenticò che la cooperativa non poteva creare utili, se non
quelli reinvestiti nella cooperativa stessa.
L’ultima
“riserva indiana” che poteva esimersi dal controllo capillare del
credito cadde quindi quel 3 ottobre del 2001, anche se le successive
modificazioni resero possibile la sopravvivenza formale delle
cooperative: il danno economico per la nazione sarebbe stato troppo alto[9].
Ancora una volta il credito: non sia mai che qualcuno possa arrogarsi il
diritto di capitalizzare risorse e decidere in piena autonomia come ed a
chi destinarle; per fortuna il movimento cooperativo ebbe la forza
d’opporsi e di resistere, salvando il salvabile, altrimenti oggi
piangeremmo ben altre débacle
economiche rispetto alle già gravi condizioni nelle quali ci ha
trascinati il cavaliere da Arcore.
Tutto ciò fu tentato da un uomo che era organicamente inserito
nel mondo della P2, non da una persona che aveva ricevuto una tessera
per caso, perché quel mondo gestiva interessi finanziari enormi –
probabilmente legati alla mafia americana ed al traffico di stupefacenti
– ma non si trattò di una semplice associazione a delinquere, bensì
di un potentato economico interno allo Stato.
Dove trovare strutture finanziarie che siano nello Stato e – allo
stesso tempo – ne siano estranee?
Nel suo bel
libro “Il Pastore tedesco”, Angelo Quattrocchi delinea un ritratto
economico di quello che potremmo definire il “Vaticano s.p.a.”: un
quadro che fa tremare i polsi.
Le proprietà della Chiesa non passarono allo Stato Italiano nemmeno
dopo la resa dello Stato Pontificio, con un agguerrito Quintino Sella
Ministro delle Finanze, figuriamoci dopo. Il fascismo pagò la tangente
alla Chiesa ottenendo appoggio politico, ovvero chi benediva i cannoni
delle avventure del regime e metteva il bavaglio all’Azione Cattolica.
I democristiani erano – essi stessi – emanazione di quel mondo.
Bettino Craxi operò l’ultimo inchino Oltretevere.
Quel patrimonio immobiliare, mai tassato, mai indagato, mai osservato ha
generato nei decenni frutti enormi, ed è oggi il “nocciolo duro”
della finanza italiana, quel “nocciolo” che permette al cardinale
Ruini di sentenziare sull’incostituzionalità (PACS) di una legge di
uno stato estero. Notiamo che non si tratta di un legittimo giudizio
morale – ma giuridico – passato sulle teste di tutti, anche
dei non cattolici.
Il Vaticano
s.p.a. fa paura perché sa essere generoso ed inflessibile, come lo fu
– in diverse situazioni – sia con Calvi che con Sindona. Poi, il
regista di quelle operazioni, Marcinkus, sparì nelle nebbie di una
dimenticata parrocchia statunitense, grazie ai privilegi
d’internazionalità che solo
Il Vaticano s.p.a. fa tremare i polsi anche a Rutelli, che balbetta di
fronte ai PACS e s’allinea con il cardinale Ruini, terrorizza i DS che
s’affrettano a genuflettersi quando un gruppo d’universitari inscena
una pacifica ed ironica manifestazione contro il potente presidente
della CEI, ma spaventa anche Silvio Berlusconi quando deve far applicare
l’ICI alle attività commerciali della Chiesa. Difatti, nel
provvedimento sulla “competitività”, compare un misero comma che
solleva dal pagamento qualora l’attività commerciale della Chiesa sia
solo “parziale”. Un supermercato con una nicchia dedicata alla
Vergine può quindi essere considerato un “parziale” luogo di culto
(esentasse), a patto che a sentenziarlo sia l’autorità ecclesiastica.
Il Vaticano s.p.a. sa però di dover tessere una costante rete di
alleanze: Mediobanca, la potente (e quasi sconosciuta) Famija
Piemonteisa (la lobby degli interessi piemontesi nell’Urbe), le
banche. Lo fa perché da quell’intreccio – una simbiosi vantaggiosa
per la finanza e l’oligarchia industriale – nasce la ragnatela che
rende possibile il controllo finanziario del paese.
E siamo da capo. Incurante degli strali che giungono da mezzo mondo,
Antonio Fazio continua imperterrito sulla sua via: Berlusconi lo
sconfessa, ma invia subito il fido ministro Castelli a dire che
nell’attuale ordinamento non ci sono leggi che consentono di rimuovere
il Governatore. Della serie: ricordati che ti ho solo sparato a salve.
Ci si appella alla BCE per risolvere il problema, perché nello Stivale
non ci sono poteri istituzionali in grado d’opporsi alla santa
alleanza fra capitali e sacrestie; già Galileo, secoli or sono, chiese
aiuto ad Amsterdam contro lo strapotere dei cardinali (e lassù furono
pubblicate le sue opere).
S’accodano
in processione strani figuri della Lega Nord (gli stessi che tuonavano
contro
Che Fazio sia uomo legato a filo doppio agli ambienti ecclesiali non è
un mistero: è lui stesso a farne vanto, ed a tessere la sua strenua
difesa è soprattutto l’UDC ed il mondo cattolico più in generale. A
più riprese, importanti esponenti del partito di Follini hanno preso le
difese del governatore: D’Onofrio afferma che Fazio non ha commesso
nessun reato e che quindi non si vede perché se ne dovrebbe andare
(come se per sedere a palazzo Koch bastasse essere incensurati!), mentre
Tarolli ha distribuito tante, diverse copie di false Finanziarie da
provocare le dimissioni di uno stufo Siniscalco (che aveva chiesto la
sostituzione del governatore). Mastella – sull’altro versante –
“bacchetta” Tremonti per aver umiliato il governatore a Washington.
Perché tanta ostinazione? Poiché Fazio è il garante che la tranquilla
provincia bancaria italiana continuerà a rimanere tale: potrà fare il
suo ingresso nel Bel Paese anche qualche banca straniera, ma
l’impostazione di “cartello” (nel senso di procedure condivise)
non cambierà.
Noi italiani siamo così schiavi di questo sistema che non ci rendiamo
nemmeno conto dei presupposti sociali che lo reggono: avere accesso al
credito significa essere cittadini veramente uguali di fronte alla
legge, liberi d’interpretare la realtà in modo creativo e personale.
All’opposto, la privazione di risorse per sviluppare la propria
creatività porta alla negazione dell’individuo in quanto tale, e lo
tiene meramente in vita come soggetto che può solo produrre e consumare
a comando: un essere lobotomizzato oppure, se preferite, uno schiavo. La
negazione del credito ha quindi sull’essere umano gli stessi effetti
della segregazione, giacché costringerà chi è privo di mezzi ad una
vita non coerente con le sue potenzialità, che condurrà talvolta a
risposte violente.
Il concetto
di credito è quindi – socialmente – un’attestazione di stima che
impegna moralmente, ben diverso dalla carità che – psicologicamente
– può essere recepita in modo umiliante: non prevedendo un rapporto
fra soggetti paritari, quest’ultima può portare – soprattutto nel
caso dei finanziamenti clientelari – al classico “prendi i soldi e
scappa”.
A monte di queste scelte economiche (e, soprattutto, filosofiche) c’è
un pensiero che tutto cementa e sorregge: è il pensiero economico
cattolico, ben diverso da quello calvinista. Anche se
La concessione del credito come diritto collide prepotentemente con il
concetto di carità: laddove inizia il primo (proprio perché diritto)
termina il secondo (giacché concessione) umana o divina. Non potendo
negare uno dei fondamenti della dottrina, si è semplicemente azzerato
ciò che la poteva – intrinsecamente – negare.
Sappiamo che
Un secondo fattore giunse in aiuto all’Europa pre-capitalista:
terminato nel ‘500 il co-dominio arabo-spagnolo sull’Andalusia,
Isabella
Gran parte
degli ebrei andalusi sciamò in Europa, soprattutto nelle Fiandre, in
Germania e nell’est europeo e – non potendo radicarsi con la
proprietà immobiliare – per secoli divennero gli alfieri della
finanza[10].
Ancora oggi, i più importanti banchieri internazionali sono ebrei.
In Italia ciò non avvenne o in minima parte: accusati di deicidio
dall’imperante gerarchia cattolica, gli ebrei furono confinati nei
ghetti dove operarono soprattutto come artigiani, e quindi non poterono
esercitare l’importante funzione di circolazione del credito, come
avvenne invece in tutto il nord Europa.
Proprio quelle aree, seppur sfavorite dalle condizioni climatiche, sono
ancora oggi le più ricche d’Europa: i Paesi Bassi, l’area anseatica,
Queste considerazioni possono spiegarci perché l’Italia non ha mai
avuto un vero stato sociale, un welfare
al pari degli altri paesi europei. Si badi bene: non lo ebbe nemmeno in
anni lontani, quando il peso del debito pubblico era simile a quello che
avevano gli altri paesi europei. In Italia non è mai esistito un vero
sussidio di disoccupazione (1.000 euro il mese circa in molti paesi
europei), mentre si finanziano lunghissimi e costosissimi periodi di
cassa integrazione: perché? L’indennità di disoccupazione sarebbe un
diritto, la cassa integrazione viene erogata solo con il placet
delle autorità: ancora una volta il cittadino-suddito può attendersi
soltanto una forma d’assistenza che nasce dal caleidoscopio della
carità, questa volta elargita dallo Stato.
Come si
risolvono i problemi assistenziali nel Bel Paese? L’Italia è il regno
delle collette: con la parola “solidarietà” si raccolgono fondi per
mille diverse iniziative, dalla TV al calcio, dal volontariato alle
confraternite assistenziali cattoliche. Su tutto, un imperante ed
invasivo concetto di carità, che annulla ed offusca ciò che per un
cittadino europeo dovrebbe essere un diritto.
Qualcosa di simile sta avvenendo anche negli Stati Uniti – da sempre
sostenitori del credito e del capitale di rischio – e si trova traccia
di questo pensiero nel concetto di “assistenzialismo caritatevole”
di George W. Bush, nei suoi sempre più assidui legami con i gruppi
fondamentalisti americani, con i Battisti, addirittura con gli Amish che
non accettano nemmeno il progresso tecnologico.
E’ indubbiamente un segno di forte regressione, che nasce e si
sviluppa nella transizione americana verso la fase declinante, il lento
cedere lo scettro dell’economia (e del potere) alle economie
orientali. Una società vitale non ha bisogno di questi sotterfugi:
concede credito e sanzioni con lo stesso vigore.
Quando – invece – inizia la fase di decadenza, il concetto di carità
diventa il paravento grazie al quale stemperare e nascondere la paura
dei ceti dominanti di perdere il potere economico accumulato.
Noi italiani
non abbiamo mai vissuto nulla di queste vicende, sono per noi – popolo
di sudditi, e non di cittadini – soltanto saghe di paesi lontani,
perché il vento della Riforma s’arrestò alle prime balze prealpine,
in Val Pellice.
Che bella storia sarebbe – invece – raccontare di un paese normale,
dove se qualcuno ha un’idea si reca in banca e sottopone il piano
d’impresa all’attenzione dello staff economico, il quale decide se
vale la pena d’investire nell’idea oppure rinunciare, rimanendo però
con il timore che una banca concorrente fiuti l’affare e proponga una
partecipazione agli utili, una joint
venture, un finanziamento. No, purtroppo non accade, perché
l’Ufficio Fidi concede sulla base di precise tabelle, che sono a loro
volta decise dai Direttori, i quali s’accordano fra banche per
“omogeneità” di trattamento, fino ai consigli d’amministrazione
degli Istituti, che verificano attentamente che il “trend” sia
sempre sotto controllo. I Presidenti e gli Amministratori Delegati –
infine – guardano a Roma, dove ci sono Fazio ed il…
L’operazione è perfettamente riuscita: il paziente è morto.
Carlo Bertani
bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
[1]
[2]
Alla fine di giugno 2005 le sofferenze
al netto delle svalutazioni erano pari a 18,6 miliardi di
euro, Fonte: ABI.
[3]
Fonte: Capitalia.
[4]
Mentre BMW, Honda ed altre case automobilistiche presentano i primi
modelli d’auto funzionanti ad idrogeno, negli anni ’70
l’ingegner Massimiliano Longo costruì la prima automobile ad
idrogeno perfettamente funzionante, una Alfa Romeo 1300 GT che fu
presentata al Salone dell’Automobile di Torino del 1986. Sic
stantibus rebus.
[5]
“Non concederò capitoli di spesa qualora gli stessi possano
essere coperti grazie a finanziamenti europei” Carlo Azeglio
Ciampi – Ministro dell’Economia del governo Prodi - 1996
[6]
Il numero della tessera P2 di Silvio Berlusconi compare
nell’elenco originale sequestrato dagli inquirenti allo stesso
Licio Gelli: non si tratta, quindi, di nessuna “manipolazione” a
posteriori.
[7]
"Con una serie di emendamenti si è cambiato il sistema,
spaccando in due la cooperazione e creando quella di "serie A e
di serie B" con agevolazioni fiscali solo per la piccola
"riserva indiana" e lasciando quella cosiddetta
"lucrativa" senza tutela e senza più possibilità di
trasformarsi in società di capitali. Se si considera che sono circa
otto milioni le persone coinvolte nel mondo della cooperazione, se
ne deduce che l'idea base del Governo è che le cooperative sono un
escrescenza inutile della società." Dichiarazione del
capogruppo della Margherita in Commissione Finanze, Roberto Pinza.
Agosto 2001.
[8]
“Con questo articolo si rischia poi non solo di dimenticare ed
archiviare la grande tradizione cooperativistica laica e cattolica,
con una cultura solidaristica che va dalla Rerum
Novarum e Toniolo alle cooperative bianche e rosse nella
ricostruzione del dopoguerra, ma di insinuare un'idea sempre più
individualista e gretta della società, in base alla quale tutto ciò
che è solidarietà e mutualità va ridotto e mortificato.”
Dichiarazione dell’on. Antonio Rusconi, della Margherita. Agosto
2001.
[9]
“E’ un atto grave, senza precedenti,
finalizzato a colpire
una realtà imprenditoriale che ha dato un grosso contributo
allo sviluppo dell’economia italiana in generale, e della nostra
regione in particolare, dove la cooperazione è una realtà fatta di
44 mila posti di lavoro, 11 miliardi di fatturato e un milione e
mezzo di soci”. Giorgio Bertinelli, presidente della Legacoop
toscana, settembre 2001.
[10]
Per chi desiderasse approfondire il tema, segnaliamo gli ottimi
lavori teatrali dell’attore Moni Ovadia.