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Pure le
banche hanno una storia
Di
Paolo Rota da: «Historia» nr. 46 settembre 1961
Da
quanto esistono le banche?
Chi furono i primi banchieri?
Quali furono le prime operazioni bancarie?
L’uso di
conservare in luogo sicuro i propri risparmi e di ricorrere ad altri per
ricevere denaro a prestito, nei momenti di necessità, è antichissimo.
Nell’antica Grecia i
cittadini solevano affidare i propri averi nientemeno che ai sacerdoti i
quali li conservavano nelle tranquille solide mura dei templi, certi che
anche nei momenti di maggiore pericolo, nei duri tempi delle invasioni
straniere, quei piccoli o grandi risparmi sarebbero stati rispettati,
come erano rispettati gli stessi Dei. In epoche più progredite, però,
e dopo alcune penose esperienze dovute alla mancanza di rispetto dei
luoghi sacri da parte dei nemici vincitori, si sentì la necessità di
trovare alcuni privati cittadini che si occupassero non solo di
conservare o prestare danaro, ma anche, e principalmente, di effettuare
scambi tra monete di paesi esteri.
Sorsero così i primi antenati degli odierni banchieri: uomini attivi e
di provata onestà che avevano le loro rudimentali botteghe accanto ai
grandi porti o, più semplicemente, che nei giorni di mercato
esercitavano le loro funzioni nella pubblica piazza. Dette persone erano
chiamate «trapezisti» e, almeno alle origini, erano per la massima
parte stranieri, venuti schiavi in Grecia, che avevano acquistato la
libertà a costo di molte e dure fatiche.
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A
citare un Rothschild è proprio parlare di banche. A uno di questi
banchieri famosi capitò una volta di spiegare come si fa a essere
attivi negli affari. A lui pareva che per prima cosa di dovesse
nascondere quello che ci si proponeva di fare; poi, e si va nel più
difficile, bisognerebbe fingere dei progetti puramente immaginari. Da
ultimo, bisognava dire fuori dai denti quel che si vuole veramente fare:
con il risultato che nessuno ci crede. E questo modo è il modo migliore
per riuscire negli affari. E’ l’estremo dell’astuzia.
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Coloro
che dovevano intraprendere un viaggio si fidavano talmente di questi
rudimentali banchieri, da affidare loro talvolta anche l’inero proprio
patrimonio, sicuri come erano che, l’avrebbero ritrovato non solo
intatto, ma aumentato degli interessi maturati nel periodo della loro
assenza.
I banchieri romani, venivano chiamati «argentarii», o «nummularii»;
e avevano botteghe proprie in tutti i quartieri della capitale e spesso
anche succursali sparse un po’ ovunque per il vasto impero. Nessun
commerciante, uomo d’affari, piccolo o grande proprietario, infatti,
nei tempi dell’antica Roma pensava di poter tenere il denaro al sicuro
in casa; tutti sapevano che, solo dando i propri capitali ai banchieri,
ne avrebbero potuto ricavare un buon interesse. Quando un Romano doveva
pagare somme rilevanti, poi, aveva l’abitudine di portare dal proprio
banchiere di fiducia il cliente e tramite il banchiere effettuava
pagamenti ed affari d’ogni genere.
Nel Foro, sotto gli archi dei templi di Giano e di Castore, sorgevano,
in età imperiale, vere e proprie banche; e tanto era considerata la
professione dei banchieri, che ben presto si sentì la necessità di
porre l’intera categoria sotto l’alta protezione d’una divinità: fu
scelto non si sa bene per quale misteriosa ragione, il dio Mercurio,
l’alato nume che tutelava contemporaneamente i ladri ed i bambini.
Nel
Medio Evo, prima ancora che sorgessero i primi grandi banchieri che per
secoli legarono il loro nome alla storia di re e nazioni, esistevano
molti «campsores», ossia cambisti: vale a dire funzionari che si
occupavano di cambiare rapidamente i tipi di moneta in uso in un
determinato paese, con quelli in corso altrove: veri antenati dei
moderni cambiavalute, preziosissimi per rendere più agevoli e semplici
i commerci ed i rapporti tra stato e stato.
Più
tardi, con il nome di «campsor» si indicò anche il banchiere vero e
proprio; mentre il nome «banca» deriva certamente dai banchi o tavoli
sui quali i «campsores» posavano il denaro necessario per svolgere la
loro attività. Banchi coperti di panno verde, sui quali facevano spicco
le borse ben ricolme ed i registri con i nomi dei vari clienti.
L’attività di quei banchieri, però, era in parte limitata dalle
leggi della Chiesa, per la quale chi prestava denaro, chiedendo
interessi, era considerato peccatore. Gli imperatori Costantino,
Teodosio, Valentiniano, Arcadio, però, a poco a poco, con disposizioni
sempre più liberali, resero legale «l’usura» (così si chiamava
l’interesse); e quando si giunse al XII secolo non esisteva in Europa
banchiere che non facesse dell’usura la propria principale fonte di
guadagno.
I primi banchieri genovesi, pisani, veneziani, fiorentini che appunto
nel XII e nel XIII secolo iniziarono la loro attività, portando le loro
sedi sin nella lontana Inghilterra, in Francia, in Spagna, si dedicarono
tutti indistintamente al traffico del danaro; ossia dell’usura. Ma ben
presto le loro pretese divennero eccessive, gli interessi richiesti
parvero addirittura passibili di pena, e, nel 1291, il re Filippo IV
espulse dalla Francia, i banchieri italiani; nel 1240 Eduardo III li
cacciò dall’Inghilterra, ove poterono far ritorno solo dieci anni
dopo, sotto l’egidia del pontefice; per essere, però, nuovamente
espulsi dopo poco tempo.
I
banchieri fiorentini, tra gli altri, quelli che maggiormente si
distinsero per abilità, intraprendenza, capacità organizzativa. Le
grandi famiglie di commercianti, quali i Bardi, i Peruzzi, gli stessi
Medici, costituirono vere e proprie società familiari, riunendo il
capitale posseduto da ogni membro fino a formare colossali aziende, che
divennero, nel volgere di pochi decenni, arbitre della storia; non solo
commerciale ma spesso anche politica di mezza Europa. Avevano succursali
in tutta l’Europa, in Africa, in Asia Minore: sovvenzionavano guerre,
lotte tra famiglie rivali, commerci in grande stile con i più lontani
paesi dell’Oriente. (…)
Quando, nel secolo XIV, per la ben nota vicenda, il re d’Inghilterra
rifiutò di pagare ai banchieri fiorentini Bardi e Peruzzi la favolosa
somma di 1 milione e 365.000 fiorini
d’oro che doveva loro, nel crollo che seguì l’aspra contesa furono
travolte infinite altre compagnie fiorentine: quelle degli Acciaiuoli,
dei Corsini, dei Bonacorsi e via dicendo; ma tanto ricca e tanto
industriosa era in quel tempo la gente toscana, che nel volgere di pochi
anni la città si risollevò dal crollo pauroso e i suoi abili banchieri
ripresero il loro posto di preminenza nel mondo.
La compagnia di Lorenzo e Giuliano dei Medici fu costituita nel 1461,
con un capitale di 12.000 fiorini d’oro. Nel 1475 furono in grado di
prestare ad Edoardo IV d’Inghilterra ben 30.000 fiorini d’oro e
divennero, poi, banchieri e sovvenzionatori dell’arciduca d’Austria
e del duca di Borgogna.
Nel
secolo XV un po’ ovunque, per tutta l’Italia, fiorirono ricche e
stimate compagnie bancarie: a Venezia il famoso Banco Soranza, seguito
da quello di «Casa Priuli», e dal Banco Pisani, per non citare che i
maggiori. A Genova ricordiamo il grande Banco di San Giorgio; a Milano
quello di Sant’Ambrogio sorto nel 1593; a Napoli il «Banco di
Napoli», il più antico istituto di credito d’Europa, e, in
seguito, i diversi «Monti» (Monte di pietà, di Sant’Egidio, dello
Spirito Santo, dei Poveri) sorti come opere di carità per venire
incontro alle necessità degli strati più poveri della popolazione
partenopea, dopo la cacciata degli Ebrei ad opera di Pietro da Toledo
nel 1540: Ebrei che, malgrado i loro difetti, arrecavano tanti vantaggi
a tutti i cittadini.
Nel secolo XVII sorse a Siena il «Monte dei Paschi»; mentre nel
secolo XIX si costituirono molte banche che ancor oggi prosperano in
Italia: le «Banche Popolari» create a cominciare dal 1864; la «Banca
Commerciale Italiana» nel 1894.
E ora una curiosità: volete sapere quando ebbero origini le cambiali,
«croce e delizia» dei nostri tempi?
Secondo l’opinione più
corrente le «lettere di cambio» o «cambiali» furono un’invenzione
italiana del Medioevo, allo scopo di rendere più facile ed agevole la
circolazione del danaro.
La più antica cambiale che si conosca risale al lontano 1207 e in essa
così si legge: «Nell’anno 1207 Simone Rubens banchiere dichiara di
aver ricevuto L.34 in danari di Genova, con 32 danari di quali, Simone
Rubens, fratello di lui, deve dare in Palermo 8 marchi di buon argento a
colui che presenterà questa carta».
Il
primo protesto noto, invece, risale al 1384 e venne elevato da un notaio
genovese contro un tal Antonius Laurentius. Ma prima di lui e,
principalmente, dopo di lui quanti non onorarono il pagamento di una
cambiale?