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Dopo essere stati
contatti dall'Associazione Carlo Bortolani onlus, pubblichiamo per
diritto di replica, "Il punto sul caso Montanari" della
giornalista Valeria Rossi de "Il Ponente".
Noi non sappiamo dove sta la Verità. Sarà
però nostra premura approfondire la realtà dei fatti, per fare maggior
chiarezza in questa triste storia, che indirettamente va a colpire la
Ricerca Scientifica, quella Vera.
La redazione
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Il punto sul "caso
Montanari"
8/09/2009 - tratto dal sito
dell'Associazione Carlo Bortolani onlus - www.bortolanionlus.it
In attesa di depositare in Tribunale le denunce a carico del Sig. Stefano Montanari, pubblichiamo l’interessante inchiesta di Valeria Rossi, giornalista ed editrice della rivista on line Il Ponente (www.ilponente.com) dal titolo: “Il punto sul “caso Montanari” e sul microscopio elettronico”.
4 Settembre 2009 di VALERIA
ROSSI – Dopo la pubblicazione dell’intervista al dottor
Montanari e il successivo colloquio con Marina Bortolani, che mi ha
portato a togliere la suddetta intervista dal giornale, ho cercato di
raccogliere quanto più materiale possibile per fornire una panoramica
completa dei fatti.
Ho scambiato telefonate e mail con la Onlus Carlo Bortolani, con lo
stesso dottor Montanari e con altre persone direttamente coinvolte nei
fatti, l’ultima delle quali è stata Sonia Toni, ex moglie di Beppe
Grillo tuttora in ottimi rapporti con lui, che ha curato una lunga serie
di conferenze del dottor Montanari e promosso la pubblicazione di alcuni
suoi libri.
Premetto che la verità in tasca non l’avevo prima e non ce l’ho
neanche oggi: ma avendo pubblicato e successivamente
“s-pubblicato” un’intervista su questo tema, ritengo di dover
comunicare ai lettori almeno i fatti – comprovati da testimonianze o
documenti – di cui sono venuta in possesso.
Da questi emerge che la decisione
di donare il microscopio elettronico all’università di Urbino è
stata motivata principalmente da due fattori:
a) l’utilizzo di questa apparecchiatura dalla Nanodiagnostics srl
anche per scopi commerciali (analisi a pagamento) e non esclusivamente
per la ricerca, come era stato invece dichiarato nel corso della
raccolta fondi;
b) il fatto che la stessa raccolta fondi sia partita sulla base di
quello che potremmo definire “un equivoco” o più crudamente “una
manipolazione” del dottor Montanari ai danni di Beppe Grillo, scoperta
solo in un secondo tempo.
I fatti: il dottor
Montanari contattò Beppe Grillo, nel 2006, lamentando quello che
definì lo “scippo” del microscopio elettronico a quel tempo in uso
alla Nanodiagnostics, ad opera dell’Università di Modena.
Montanari sosteneva che questo microscopio era stato pagato, almeno in
parte, con suo denaro personale e che l’unica motivazione per cui si
era deciso il trasferimento era il fatto che le sue ricerche,
evidenziando la pericolosità delle nanoparticelle (prodotte in larga
misura dagli inceneritori), avessero infastidito qualche potere forte.
La motivazione poteva essere
credibile e non è escluso che, del tutto o in parte, fosse anche reale:
non fu reale, però, il racconto che Montanari fece a Grillo sul
fatto che pericolose nanoparticelle fossero state rinvenute, a
seguito delle sue ricerche, in una serie di diffusissimi e notissimi
prodotti alimentari.
Montanari disse a Grillo di aver scritto a tutte le aziende interessate
e di non aver mai avuto alcuna risposta. Grillo, indignato da questi
fatti gravissimi, invitò Montanari a partecipare ad una serie di
spettacoli in cui, oltre a dare direttamente spazio al dottore, mostrava
l’elenco dei prodotti incriminati e delle sostanze nocive che erano
state trovate al loro interno grazie alle ricerche dello stesso
Montanari e di sua moglie, la dottoressa Gatti.
Nel video che potete vedere qui sotto si vede e si sente chiaramente
Stefano Montanari che alla domanda: “Stefano, le ditte hanno mai
risposto?” esclama: “No, no, mai!”. (clicca
qui per rivedere il video)
Peccato che…sorpresa! Nel 2007, in un’intervista a
“Disinformatico” (che potete ancora leggere integralmente sul sito www.attivissimo.net
) il dottor Montanari afferma che la storia delle nanoparticelle
nei prodotti alimentari è stata manipolata e distorta nei contenuti.
Testualmente, afferma: “la cosa parte giusta, nel senso che
quello che è stato detto di base, all’origine di tutto c’è una
cosa quasi giusta. Poi, poi si è estrapolato e si sono dette delle cose
che assolutamente non corrispondono al vero, ma proprio minimamente“.
Montanari spiega (qui riassumo brevemente, ma consiglio la lettura
dell’intervista intera) che lui e sua moglie, la dottoressa Gatti,
hanno pescato a caso ed analizzato alcuni prodotti presi sugli scaffali
dei supermercati.
E specifica: “Attenzione, questo è fondamentale: di ogni
prodotto noi abbiamo esaminato un pezzo, uno , non di più, cioè non
abbiamo preso un lotto, due lotti, tre lotti, dieci lotti, come si
dovrebbe fare se si fa un controllo normale, di legge, eccetera e si va
a vedere che cosa c’è in tutti questi prodotti. Noi abbiamo preso una
scatola di quel tipo di biscotti, un barattolo di quell’omogeneizzato,
eccetera, e abbiamo esaminato. E abbiamo visto che in gran parte di
questi prodotti, non tutti certamente, ci sono queste polveri che noi
cerchiamo“.
In pratica si era trattato di controlli casuali, che avevano
sicuramente evidenziato un possibile problema di inquinamento ambientale
ma che non avevano e non potevano avere alcuna valenza
scientifica, visto che poter definire una prova
“scientifica” occorrono, come in parte ammette lo stesso Montanari,
campionature mirate, analisi protocollate e, ovviamente, la
pubblicazione dei risultati.
In assenza di tutto questo, Montanari non disponeva di alcuna vera
“prova” da poter presentare alle ditte produttrici… e infatti non
scrisse mai neppure una riga a queste ditte, come sostiene nella stessa
intervista, sbugiardando Beppe Grillo.
Ecco le sue testuali parole: “la
lettera che noi avremmo scritto a queste industrie: la lettera non
esiste, non abbiamo mai scritto niente a nessuna industria, mai. Mai
perché non abbiamo mai messo sotto accusa nessuno, cioè l’unico,
l’unico ente che abbiamo messo sotto accusa è lo Stato, cioè chi
legifera, chi non fa leggi per controllare questo tipo di inquinamento.
Noi non abbiamo mai scritto nulla a nessuno. Quindi se non abbiamo mai
scritto è chiaro che nessuno ci risponde. Non c’è lettera, non c’è
risposta“.
Eppure, nel video, si vede chiaramente Grillo che parla di queste
lettere e si sente altrettanto chiaramente Montanari che non solo non si
sogna di smentirlo, ma avvalora le sue parole ( “Hanno mai risposto,
Stefano?” “No, no, mai!”).
Inoltre Grillo, come si vede sempre chiaramente nel video, espone una
“lista nera” di prodotti senza che Montanari, presente sullo stesso
palco, si sogni di intervenire, di spiegare che si è trattato di
campionature casuali, insomma di specificare, come fa invece
nell’intervista, che “dare un elenco di prodotti da mettere
all’indice non ha nessun significato scientifico”.
E non è tutto qui, purtroppo.
Un altro dato di fatto è che non siano mai state prodotte le prove
(richieste più volte) del fatto che il primo microscopio elettronico
fosse stato pagato anche con i soldi dei due ricercatori.
Ma il dato di fatto ancor più eclatante è che il primo microscopio
elettronico (quello “scippato” , secondo la prima versione di
Montanari) sia lo stesso microscopio con cui la dottoressa Gatti
sta tuttora lavorando al progetto europeo DIPNA.
Sì, il microscopio è ancora in uso alla stessa ricercatrice: è con
quello che porta avanti le sue ricerche, e non con il secondo
microscopio, quello acquistato con la raccolta fondi.
Lo ammette, ancora una volta, lo stesso Montanari: “Il microscopio
ci è stato tolto ormai già dal giugno del 2006, è rimasto imballato
per nove mesi all’università di Modena, è stato riassemblato,
rimontato diciamo così, di nuovo a spese nostre, perché noi adesso con
quel microscopio portiamo avanti un altro progetto europeo“.
Dunque, il primo microscopio non venne mai realmente “sottratto”
alle ricerche della dottoressa Gatti, ma semplicemente “spostato”
dalla Nanodiagnostics di Modena all’Università di Modena.
L’unica cosa che, di fatto, veniva impedita a Montanari/Gatti era
l’utilizzo privato dell’apparecchiatura.
In conclusione, questi sono i
dati di fatto:
a) il dottor Montanari lamentò la sottrazione di un microscopio che in
realtà era ancora in uso a sua moglie per le proprie ricerche;
b) raccontò a Beppe Grillo la storia delle merendine inquinate e
permise a Grillo di basare, su questa “scoperta” che in realtà
non aveva alcun fondamento scientifico, una serie di spettacoli mirati
alla raccolta di fondi per un nuovo microscopio;
c) a raccolta terminata e microscopio acquisito, negò la validità
delle ricerche sulle merendine attribuendo a Grillo la responsabilità
di aver “capito male, perché non era uno scienziato”.
Mi risultano dunque questi i motivi principali (ne esistono altri
ancora, ma non posso scrivere un libro e quindi mi limito a quelli più
gravi) per cui si interruppe il rapporto tra Beppe Grillo e Stefano
Montanari, che oggi, in un’intervista rilasciata a Byoblu, si dichiara
molto stupito del fatto che la Onlus e lo stesso Grillo “non si
fossero più fatti vedere”.
Forse non c’era molto di cui stupirsi…
Si aggiunga che Stefano Montanari, in alcune occasioni, millantò
partecipazioni a progetti che in realtà non l’avevano affatto visto
tra i protagonisti. Per esempio nella sua biografia su
“consulente del progetto Nanopathology” della CE, circostanza
smentita dall’ufficio stampa della stessa Comunità Europea,
consultato da una docente universitaria in chimica:
From:
“ALEXANDRESCU Laura” < Laura.ALEXANDRESCU@ec.europa.eu >
To: (il nome del richiedente è stato
omesso per ovvi motivi di privacy)
Subject: RE: (Fwd) Re: DIPNA {REF RTD REG/G.4(2008)D/579365}]{REF RTD
REG/E.3(2008)D/593026} Date sent: Wed, 3 Dec 2008 15:30:59 +0100
Il Dr Montanari non ha alcun titolo a vantarsi di aver partecipato
ai 2 progetti finanziati…
Fin qui i fatti, comprovati,
che ho potuto raccogliere sulla storia del primo microscopio.
Quanto al secondo microscopio, acquistato grazie alla
raccolta di fondi fondata (mi si perdoni il bisticcio) sull’equivoco
si cui sopra, sarebbe rimasto probabilmente fuori dalla querelle
tra Grillo e Montanari se solo i due scienziati avessero prodotto le
prove del suo utilizzo a scopo di ricerca.
Purtroppo, come si legge sul sito della Onlus: “come più volte
sollecitato ai due dottori, rimaniamo in attesa di una reportistica sui
risultati e sulle scoperte scientifiche – confermate da pubblicazione
e da attestati della comunità scientifica – prodotti in questi tre
anni di possesso del microscopio. Ciò crediamo sia doveroso nei
confronti dei benefattori. E’ evidente che riferimenti a ricerche e
studi svolti prima dell’acquisto del microscopio in oggetto non sono
inerenti a tale ripetuta richiesta, ma, anzi, possono risultare
fuorvianti”.
In realtà, anche nell’intervista concessa al Ponente, il dottor
Montanari mi ha parlato di scoperte (”le nanoparticelle entrano nel
nucleo della cellula”, “le nanoparticelle passano dalla madre al
feto”) che in realtà appartengono ad un periodo precedente
l’acquisizione del microscopio. A dire il vero esse venivano già
citate dal professor Renzo Tomatis, (scomparso nel 2007) in alcuni
suoi studi. Ma senza voler entrare nel merito di “chi ha scoperto
cosa”, visto che qui non stiamo facendo discussioni scientifiche
né accademiche, se ne deduce comunque che queste scoperte non sono
dovute alla presenza del microscopio elettronico nella sede della
Nanodiagnostics.
Non risultano, peraltro,
pubblicazioni a nome Montanari e/o Gatti relative agli ultimi tre anni,
ovvero al periodo di permanenza del microscopio presso il loro
laboratorio.
Risulta invece che il microscopio è stato utilizzato per analisi
private a pagamento: lo si evince dai ricavi dichiarati, visto che la
mission principale della Nanodiagnostics sono appunto le analisi a
pagamento.
Il dottor Montanari, a questo proposito, rifiuta l’accusa di utilizzo
lucroso, ma dichiara, in un post sul suo blog: “quello che
facciamo per poter sopravvivere è cercare di vendere qualche analisi ai
privati che se lo possono permettere e per questo usiamo anche (non
sempre) il microscopio che, in qualche modo, cerca di contribuire al suo
stesso mantenimento, visto che né lei né altri si muovono e tutto ci
grava addosso“.
Queste spese di mantenimento del microscopio sono state indicate da
Montanari in 90.000 euro/anno; ma anche questo costo è stato
smentito dalla ditta produttrice, che invece le ha quantificate in circa
25/30.000 euro/anno.
Insomma: soltanto la
mancanza di chiarezza sull’utilizzo del macchinario – e
soprattutto la mancanza di pubblicazioni relative alle ricerche svolte
per mezzo di questo microscopio (e non di quello dell’Università di
Modena, pagato con fondi CE) - hanno indotto la Onlus Carlo
Bortolani ad affidarlo all’Università di Urbino.
Il resto sono opinioni, ipotesi, supposizioni.
Per esempio: può esistere una macchinazione o un complotto politico ai
danni di Montanari?
Ma certo che sì!
E’ risaputo, e ne abbiamo chiari esempi anche nella nostra provincia,
che chiunque lotti contro inquinamento, inceneritori e affini è
sicuramente malvisto ed è spesso soggetto a pressioni, ricatti e altre
piacevolezze simili.
Nessuno si sogna di negare che cementificatori e “inceneritoristi”
siano capaci di tutto e che spesso abbiano un potere politico ed
economico sufficiente a stroncare una carriera o a danneggiare
gravemente chi lotta contro di loro.
Purtroppo, in questo caso, la mia personale impressione è che i
presunti nemici di Montanari non abbiano neppure avuto bisogno di
entrare in azione, perché il dottore ha fatto tutto da solo.
Le dichiarazioni e controdichiarazioni, l’indubbia
strumentalizzazione del caso-merendine e il fatto di avere evidentemente
carpito la fiducia di Beppe Grillo, per poi dissociarsene a risultato
ottenuto, sicuramente gli hanno alienato diverse simpatie,
nonostante si tenda (la sottoscritta per prima) a tifare sempre di cuore
per chiunque sposi la causa ambientalista.
Tifare per chi lo fa in modo scorretto, però, diventa più
difficile; e anche ammettendo che il suo “non accorgersi che Beppe
Grillo aveva frainteso” fosse per una buona causa e che comunque
il fine giustificasse i mezzi, almeno a mio avviso, non è esattamente
l’esempio di limpida correttezza professionale che ci si
aspetterebbe da cotanta icona della ricerca italiana.
Per questo ritengo, personalmente, che il dottor Montanari abbia
commesso qualche errore di troppo e che questi errori giustifichino la
decisione di spostare il microscopio acquistato coi fondi dei cittadini
in altra sede.
Ancora oggi il dottor Montanari mi ha inviato alcune e-mail,
una delle quali attacca l’Università di Urbino accusandola di “essersi
schierata in più occasioni a favore di soggetti privati ed iniziative
di carattere “imprenditoriale” di dubbia validità. Prova ne siano
le recenti consulenze dell’Istituto di Botanica dell’Università e
del Prof. Orazio Attanasi, in qualità di docente dell’Ateneo, a
sostegno della realizzazione della centrale termoelettrica a cosiddette
biomasse nel Comune di Orciano di Pesaro, un progetto ritenuto altamente
pericoloso anche dall’IST – Istituto Nazionale per la Ricerca su
Cancro di Genova, chiamato a esprimersi da uno dei comuni
interessati.”
Purtroppo, sempre dalle testimonianze in mio possesso, risulta che fu lo
stesso Montanari ad indicare l’Università di Urbino come destinataria
nominale del microscopio.
Se sapeva che questo ente pubblico era complice degli inquinatori, per
quale motivo l’ha scelto?
E se non lo sapeva, come può oggi accusare (più o meno velatamente) la
Bortolani Onlus di complicità occulte con un Ente che NON è stato
scelto da loro?
Comunque, personalmente inviterei i lettori a separare nettamente
le due cose, anzi tre: la ricerca da una parte, la lotta contro
l’inquinamento dall’altra, la figura del dottor Montanari da
un’altra ancora.
Se una qualsiasi di queste non risulta limpida come tutti vorremmo, non
è necessariamente valido l’assunto secondo cui non valgono nulla
neanche le altre.
Non è così che funziona, e qualsiasi tentativo di virare
questa storia a favore di inquinatori e inceneritori sarebbe una
strumentalizzazione inaccettabile.
La lotta contro l’inquinamento si basa su ricerche scientifiche
fondate, validissime, alcune delle quali sicuramente attribuibili
anche alla dottoressa Gatti, con la collaborazione del dottor Montanari:
questo non va assolutamente messo in discussione.
Purtroppo sembra risultare che il dottor Montanari, perseguendo il
nobile scopo della ricerca – che personalmente voglio continuare
a credere fondato su puri ideali e non su speranze di
lucro personale – abbia manipolato un po’ troppo persone, dati
e fatti.
Quindi la mia, personalissima ed opinabilissima, opinione è che Beppe
Grillo abbia avuto fondati motivi per allontanarsi da questa figura e
che la Bortolani Onlus abbia altrettanto fondati motivi non per
“rubargli” il microscopio, ma per collocarlo in una sede in cui
possa essere utilizzato anche per altre ricerche e da altri scienziati,
in grado di garantire quei risultati scientifici e quelle pubblicazioni
ufficiali che fino ad oggi la Nanodiagnostics non ha prodotto, ma
a cui i donatori hanno assolutamente diritto.
Il tutto consentendo ugualmente a Montanari-Gatti di continuare a
far uso del microscopio per le proprie ricerche, come risulta
dall’atto di donazione.
Certo, non sarà comodo fare ogni volta 200 chilometri per utilizzarlo:
su questo il dottor Montanari ha sicuramente ragione. Però è
anche vero che questo disagio appare come il risultato della sua scarsa
trasparenza, e di questo non credo possa incolpare altri che se stesso.
Che poi qualche potere (politico od economico che sia) legato agli
inceneritori possa far festa, è fuor di dubbio: ma questa è la
conseguenza, mentre non c’è alcuna prova che possa farlo
ritenere la causa di quanto è successo.
Nota finale: ciò che ho pubblicato è il risultato di due giorni
di ricerche; ma non pretendo sicuramente, in due giorni, (per
quanto intensi) di aver sciolto tutti i nodi che compongono questa
intricata storia.
Il dottor Montanari avrà ampio diritto di replica, così come lo
avranno tutte le persone informate che vorranno partecipare alla
discussione, portando possibilmente fatti concreti: ma anche le
semplici opinioni saranno bene accette.
Come si sarà notato, in questo mio “punto della situazione” manca
la testimonianza diretta di uno dei principali interessati, e cioè
Beppe Grillo. In realtà avevo cercato di contattarlo tramite il meetup
savonese; ma la sua decisione, comunicata dal suo assistente, è quella
di “non rilasciare interviste su questa faccenda per non
alimentare ulteriori “rumors” fino a quando (a breve) farà un post
su questo argomento“.
Ed ovviamente – anche se un po’ a malincuore – non possiamo
che rispettarla.
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La
vera ricerca dà fastidio
Dottor Stefano
Montanari - Tratto da "Biolcalenda", nr. 8 di settembre 2009
Ad un lettore frettoloso potrebbe sembrare che quanto mi
accingo a scrivere siano fatti miei e basta. Ahimé, non è così.
Per ragioni che non descriverà di nuovo, essendo state già oggetto di
numerosi articoli e perfino di un libro, qualche anno fa noi - mia
moglie, la dottoressa Antonietta Gatti, ed io, intendo - fummo privati
dello strumento principe che ci permetteva di condurre ricerche intorno
ad una scoperta scientifica molto importante di mia moglie, vale a dire
certe interazioni delle polveri sottili ed ultrasottili con l'organismo.
Essendo in corso un progetto europeo che Antonietta dirigeva, restare
senza microscopio elettronico, ché quello era lo strumento, avrebbe
significato il fallimento di anni di lavoro e l'annullamento di un
utilissimo progresso scientifico.
Fu così che Beppe Grillo propose di dare pubblicità alla
cosa e d'iniziare una raccolta popolare di fondi per acquistare un nuovo
microscopio. 378.000 Euro erano la cifra necessaria, e 378.000 Euro
furono raccolti nel giro di un anno giusto. lo partecipavo agli
spettacoli di Grillo nel corso dei quali raccontavo qualcosa delle
ricerche e, sempre pagandomi le spese, per oltre 200 volte in 12 mesi
tenni conferenze pubbliche al termine delle quali mendicavo quattrini.
Quattrini che arrivavano ad una onlus di Reggio Emilia resasi
disponibile e la cui unica cura era quella d'incassare denaro.
E qui sta tutta la mia imperdonabile ingenuità: per
evitare che qualcuno pensasse male, cosa che poi accadde lo stesso, io
feci intestare l'apparecchio proprio alla onlus che ne diventò
legalmente proprietaria. A questo punto, stando a quanto la
presidentessa di quel l'associazione, affermava,
era necessario che il microscopio passasse burocraticamente attraverso
un ente pubblico il quale, poi, lo avrebbe girato a noi.
Allora, dopo qualche mese di ricerca, io trovai il Centro
di Geobiologia dell'Università di Urbino il cui direttore, prof.
Rodolfo Coccioni, si prestò alla bisogna. Tutto bene fino a che, il
30 giugno scorso, mi arriva una raccomandata della onlus in cui questa
mi comunica che, un paio di settimane prima, aveva "donato" il
microscopio all'Università di Urbino. Questo dopo avermi tenuto
all'oscuro di trattative lunghissime e, scrive la raccomandata, con
il placet di Grillo.
Qualcuno potrebbe chiedersi quale voce in capitolo abbia
Beppe Grillo e che cosa mai c'entri in una bizzarria dei genere.
Qualcuno potrebbe pure chiedersi per quale motivo al mondo Grillo
avrebbe avuto piacere che il microscopio ci venisse tolto dopo che, con
una chiarezza cristallina, lui stesso aveva affermato innumerevoli volte
nei suoi spettacoli e aveva assicurato per almeno un paio d'anni sul suo
blog che quei soldi erano raccolti esclusivamente perché noi - mia
moglie ed io - potessimo avere quell'apparecchio. Addirittura il sito
Internet della onlus contiene un lungo post datato
aprile
Se si vuole un esempio di stravagante ipocrisia, poi, si
legga la condizione con cui il nostro microscopio finirà in
un'università dove non esiste la minima esperienza riguardo la ricerca
per la quale tutto quel denaro è stato raggranellato: noi potremo usare
l'apparecchio "almeno una volta la settimana". Lasciando da
parte il fatto che tra casa nostra ed Urbino ci sono più o meno 3 ore
di viaggio, per prima cosa, la nostra ricerca richiede almeno 8 ore al
giorno d'impiego dell'apparecchio per almeno 5 giorni la settimana e,
non di rado, il suo uso notturno in una modalità automatica (che ci
appartiene e che non daremo certo ad Urbino). Poi ci vogliono ambienti
particolari e apparecchiature a contorno che laggiù non esistono. Poi
occorrono tecnici che sappiano preparare i campioni da osservare e,
ancora una volta, ad Urbino non c'è quel tipo di personale. E il
denaro? Mantenere un aggeggio dei genere è quanto mai costoso e,
notoriamente, nelle università non c'è una lira.
Perché, allora? La manovra è fin troppo ovvia: come si
era già fatto quando ci si tolse la disponibilità dei primo
microscopio, la nostra ricerca deve essere "imbavagliata".
Imbavagliata è il termine che usava a suo tempo Grillo quando, forse,
chi ne cura gli'interessi non si era reso conto di che cosa significasse
davvero darci una mano.
Le evidenze che noi mostriamo in modo tanto impietoso quanto
incontestabile danno fastidio, e tanto, a chi lucra sull'incenerimento
dei rifiuti vendendosi la nostra salute, a chi vuole costellare
Ora, poi, che i nostri risultati sono arrivati molto in
alto e minacciano di arrivare ancora più su, il fastidio diventa
pericolo. Insomma, a scanso di guai, meglio toglierci dai piedi e farlo
in fretta. Ciò cui la onlus non aveva pensato è che qualcuno
avrebbe reagito. Ora un avvocato sta ricevendo centinaia di messaggi da
persone che hanno donato quattrini per noi e che si vedono beffate, e
quell'avvocato, forte dei mandati ricevuti dai donatori, procederà
contro onlus ed Università di Urbino. Tantissimi messaggi indignati
arrivano all'Università ed alla onlus la quale, magari un po'
ingenuamente perché spesso di quei messaggi io ricevo copia, risponde a
tutti che le proteste si limitano a 13 (!) lettere.
Ecco: questi non sono fatti miei e basta. Con quel
microscopio noi abbiamo ottenuto risultati di eccellenza assoluta,
abbiamo ricerche delicatissime in corso, mia moglie è a capo di un
progetto europeo che vede coinvolti 10 centri di ricerca su 6 paesi
diversi, siamo riusciti a far passare una legge che riconosce le
patologie da "uranio impoverito e nanoparticelle" cosicché i
ragazzi che tornano malati dalle missioni "di pace" non
saranno più lasciati morire come cani, stiamo ostacolando lo scempio
che si fa costruendo inceneritori ovunque, stiamo lavorando su di un
sistema per disinquinare l'aria cittadina, e così via. Tanto business
non proprio pulito è messo a rischio.
Più di qualcuno consiglia a mia moglie e a me di andarcene da questo
squallido paese. Ma noi resteremo: andarcene significherebbe riconoscere
che la mascalzonaggine è imbattibile. E noi siamo abituati a vincere.