L’HIV? Non esiste
A cura del dottor Stefan Lanka - tratto da www.stampalibera.com

Stefan Lanka, biologo, virologo e genetista tedesco, portavoce dell’associazione internazionale REGIMED (REsearch Group in Investigative MEDicine) – Lanka S. laureatosi in scienze naturali presso l’Università di Costanza – si sta facendo conoscere in tutto il mondo per le sue ricerche scientifiche, soprattutto nel campo dell’AIDS. Lanka porta avanti anche un’attività scientifico-legale con Karl Krafeld ed altri collaboratori a Dortmund, per l’abrogazione dei cosiddetti test dell’AIDS, in quanto inaffidabili.
Inoltre Lanka si è presentato spontaneamente in un processo per sangue “contaminato da HIV” aGoettingen (Germania), dichiarando sotto giuramento che l’HIV non esiste. Il Tribunale NON HA TROVATO UN SOLO SCIENZIATO UFFICIALE in grado di dimostrare scientificamente l’esistenza del virus in questione.
Il 24/2/97 il tribunale emise la sentenza (censurata dai mass-media): assoluzione totale del medico che era accusato di 14 omicidi e 5800 tentati omicidi.

Intervista:

D. Se come tu sostieni, il virus HIV non esiste, come è possibile che molti scienziati nel mondo stanno effettuando esperimenti con l’HIV ?
R. Semplicemente perché sono d’accordo su un concetto. Qualcuno crede che quando in determinati cultivi cellulari è presente un’attività di transcriptasi inversa, questo indica la presenza di un virus; altri, quando trovano frammenti di DNA, credono che provengano da un virus; altri, se localizzano proteine come la P24 o la P41, credono che appartengano a un virus, oppure dicono di aver isolato un virus.
Isolare un virus significa separarlo da qualsiasi altra cosa. Parliamo di un procedimento che è stato realizzato con tutti i virus conosciuti. E’ facile da fare perché, a differenza delle cellule, un virus ha sempre la stessa dimensione e la stessa forma.
Una parte del processo di isolamento di un virus è la centrifugazione (se centrifughiamo in una provetta una soluzione dove sono presenti i virus, come risultato avremo un sedimento scuro a forma di anello, questo sedimento è formato da virus).
Una volta centrifugata una soluzione con presenti i virus, se ne prende un campione, si colora e si fotografa con un microscopio elettronico. Anche l’elettroforesi è parte del procedimento per isolare un virus; questa analisi permette di isolare differenti proteine del virus a seconda della loro dimensione. Per fare ciò, in primo luogo, viene preso un campione di particelle viriche e si sminuzzano.

D. Come si sminuzza o si rompe un virus ?
R. Con detergente, il quale scioglie la copertura esterna del virus, più tecnicamente lo strato lipidico. Viene utilizzato un detergente denominato SDS che ha carica negativa.

D. Successivamente come si procede ?
R. A questi “pezzi” viene trasmessa una carica elettrica negativa, e vengono situati in un gel sopra una pellicola di plastica, che a sua volta è esposta ad un campo elettrico; carica positiva nel bordo inferiore e negativa in quello superiore.
A causa del campo elettrico le proteine (contenute all’interno del virus sminuzzato) caricate negativamente si muovono dal basso verso l’alto, però con diversa velocità, questo è dovuto alla differenza di peso e di dimensione. Le proteine della stessa grandezza si raggruppano in strati; quelle più grandi (che hanno più difficoltà a muoversi) più vicine al polo positivo e le più piccole a quello negativo.
A questo punto il gel viene fatto seccare e colorato; abbiamo quindi come risultato una pellicola di plastica con diverse bande di proteine di diverso tipo.
Curiosamente, una foto delle proteine non si è mai ottenuta, né per l’HIV e nemmeno per alcun retrovirus.
Neppure si è mai mostrato particelle viriche in provetta (a seguito di centrifugazione).
L’unica cosa che hanno fatto è determinare attività di transcriptasi inversa. Parlano delle proteine però non mostrano il gel.
A questo punto dell’analisi si trasferisce il gel in nitrocellulosa o in una membrana di nylon. Si aggiunge un campione di sangue e se il sangue contiene anticorpi di qualcuna di queste proteine, questi anticorpi si uniscono alola rispettiva proteina. Questa “unione” si rende visibile attraverso un metodo di colorazione o mediante radioattività impressa in una pellicola (simile ad una piccola radiografia). Se nella pellicola sono visibili le marche o punti, dove gli anticorpi si uniscono alle proteine, dicono che il risultato dell’analisi è positivo.
In realtà questo non vuole dire niente di talmente specifico perché in primo luogo viene nascosto il fatto che quello che appare non sono proteine ma anticorpi uniti a proteine.
Dare positivi al test ELISA o al WESTERN BLOT non significa niente, visto che non si è dimostrato che le proteine siano dell’HIV e che l’HIV non è stato mai isolato. L’unica cosa che si può supporre è che siano proteine di globuli bianchi.
A questo punto è necessaria una linea di cellule “speciali” (che sono cresciute fuori dal corpo) più globuli bianchi del corpo. Si mescolano e si stimolano con ossidante.
Se come risultato di questa unione c’è attività di transcriptasi inversa, si conclude che nei globuli bianchi del corpo è presente il virus.
Sicuramente quello che si fa è stimolare le cellule fino ad un punto estremo di stress, situazione che nel corpo umano non può avvenire. Questo fa sì che vengano prodotte proteine che non si produrrebbero in condizioni normali. Sono queste le proteine che si separano e con queste proteine vengono confezionati i kit dei test. Se si hanno avuto contatti con questo tipo di proteine dei globuli bianchi (trasfusioni, trapianti, fattore VII) o se si ha ricevuto sperma per via rettale (che contiene globuli bianchi) il test può dare risultato positivo.

D: “Il paziente malato di Aids NON muore a causa del virus dell’HIV ma per alterazioni dell’assorbimento intestinale e quindi per ipoalimentazione (malNutrizione, dovuta a una gravemicosi.” (By Dott. Gerhard Orth, Leuthkirch)Se l’HIV non è stato mai isolato, cosa mostrano le foto in circolazione del suddetto virus?
R. Queste foto non provano assolutamente niente. Quello che si vede in queste foto sono sezioni ultrafini di queste proteine che si suppone siano HIV, però nelle stesse foto appaiono anche altre particelle, per questo non si può dire che siano foto di un virus isolato.
Per realizzare queste foto si segue un procedimento differente da quello che abbiamo descritto prima (quello che è da tutti considerata la prova scientifica dell’esistenza di un virus).
Si prende il liquido di cultivo di cellule e si aggiunge resina per fissare le proteine. Con alcool si asciuga e poi si colora, si polimerizza la resina e infine si taglia in sezioni ultrafini. Queste sezioni si fotografano al microscopio elettronico.
Ma in questo caso non si tratta di virus, ma di particelle cellulari che la stessa cellula produce, crescono dentro la cellula stessa per poi uscirne e dirigersi verso altre cellule per poi entrarvi. Non si tratta di particelle stabili, servono solo per trasporti intercellulari, non si producono fuori dal corpo. Contengono glicoproteine nella superficie che utilizzano per unirsi alle altre cellule. Questi processi vengono chiamati di exocitosi e endocitosi.

D. Come viene dimostrata l’attività di transcriptasi inversa ?
R. E’ un tema interessante perché anche qui si lavora male. La transcriptasi inversa trascrive RNA in DNA. Il modo di procedere è il seguente; si prende RNA e vengono aggiunte lettere (nucleotidi) di DNA radioattivo. Se c’è attività di transcriptasi inversa si formerà nuovo DNA che, logicamente, sarà a sua volta radioattivo.
Questo nuovo DNA si fa passare attraverso un filtro che non permette il passaggio di lettere radioattive. Si interpreta che, se viene riscontrata radioattività nel filtro, ci sia stata attività di transcriptasi inversa, quindi si conclude affermando che è presente il virus.

Tutto questo però ha due problemi:
1.il campione di RNA usato è lo stesso usato per polimeri di DNA in “cultivo” (in vitro), per cui non è sicuro che ciò che si è trovato sia transcriptasi inversa specifica;
2. c’è sempre attività di transcriptasi inversa per altre reazioni cellulari non prese in considerazione.

In concreto, il modo con cui si realizzano gli esperimenti è il seguente: dopo aver prelevato nel “co-cultivo” si separano le proteine. Per far questo si prende il liquido e si centrifuga per separare le cellule, in modo che in una determinata parte della provetta rimanga solo virus. A questo materiale contenente virus si aggiunge una sostanza liquida di notevole densità, si miscela e si centrifuga. Con la centrifugazione le particelle si concentrano e si depositano in differenti strati, a seconda della loro densità.
In realtà, allo stesso tempo, andrebbe fatto un esperimento di controllo con materiale non infettato, a dimostrazione che ciò che si è isolato non siano particelle cellulari. In questo esperimento di controllo, fatto parallelamente e seguendo lo stesso procedimento non dovrebbe apparire niente di isolato.
Poi, per dimostrare attività di transcriptasi inversa (inteso che si accetti come dogma che se c’è transcriptasi inversa debba esserci un retrovirus), si prendono campioni delle differenti parti di materiale depositato nella provetta e si fanno prove per determinare la presenza di transcriptasi inversa.
Per ogni strato di particelle si aggiunge RNA e nucleotidi resi radioattivi. Se c’è transcriptasi inversa si produce DNA. Il nuovo DNA è a sua volta radioattivo. Si filtra e si lava, in modo che ciò che rimane nel filtro sia DNA radioattivo, poi si misura la radioattività. Come risultato dell’analisi abbiamo un grafico dove il picco della curva indica il campione più radioattivo. Queste sono le particelle che si considerano essere del virus e che si utilizzano nei test menzionati.
Dire che la presenza di transcriptasi inversa implichi l’esistenza del virus non ha senso, visto che già nel 1981 si sapeva che attività di transcriptasi inversa poteva incontrarsi da altre parti, e già sappiamo che ci sono altri enzimi capaci di produrre DNA a partire da RNA.

D. Cos’é e come viene usata la PCR ?
R. Vuol dire reazione di polimeri a catena; è un procedimento che serve per moltiplicare il DNA.
Normalmente per duplicare DNA si realizza un esperimento in provetta dove si introduce DNA, polimero nucleotico radioattivo e molecole iniziali. Alla fine, come prima, si determina la presenza di DNA attraverso la misurazione di radioattività nel filtro. Il problema è che tutto questo si può realizzare una sola volta.
Per produrre DNA si parte da un frammento di DNA semplice. Come si sa, il DNA è formato da una doppia elica, una parte positiva e l’altra negativa. I quattro tipi di nucleotidi si uniscono tra di loro sempre allo stesso modo. Per duplicare DNA deve rompersi l’elica in modo che rimangano frammenti singoli (non doppi). Inoltre è necessaria una molecola iniziale. La polimerasi si unisce alla molecola iniziale con il frammento semplice di DNA e inizia a prodursi DNA nuovo (a doppia elica), e se abbiamo utilizzato nucleotidi radioattivi, il DNA sarà a sua volta radioattivo. Una volta formato DNA la reazione si ferma.
Se la quantità di DNA iniziale era piccola, determinare la presenza di DNA può essere un problema dovuto alla quantità.
Per amplificare e quindi superare questo problema si utilizza la PCR che approfitta della proprietà che determinati polimeri hanno di sopportare alter temp0erature. Se dopo la produzione di DNA questa si scalda, il DNA a doppia elica si separa in frammenti singoli. Una polimerasi normale si distruggerebbe nell’essere scaldata, però la polimerasi di determinati batteri del fondo dell’oceano sono resistenti alla temperatura (fino a 90°). Cosicché, dopo che la polimerasi ha prodotto DNA nuovo, si scalda in modo che l’elica si sdoppi, a questo punto si raffredda in modo che la polimerasi possa lavorare di nuovo. Una volta fredda la miscela, la polimerasi riforma DNA e a seguire si torna a scaldare in modo che l’elica si rompa di nuovo. In ogni operazione scaldare-raffreddare si raddoppia la quantità di DNA. In questo modo, ripetendo l’operazione diverse volte si produce una gran quantità di molecole che possono essere individuate in un processo di elettroforesi.
Se si vuole sapere se qualcuno ha l’HIV, produco una molecola iniziale (di una ventina di lettere) che solo si possa unire ad un gene di HIV; se si produce DNA vuol dire che il virus sta lì.
L’inconveniente è che con questo test si possono solo individuare 500 lettere (si suppone che l’HIV ne abbia 10000). E con 500 dicono di averne abbastanza.
In più si sa che questi piccoli frammenti sono molto simili a frammenti che si incontrano nell’essere umano. Effettivamente il progetto “genoma umano” è arrivato alla conclusione che nel genere umano c’è un 90% di sequenze ripetitive. E’ stato anche provato che alcune di queste sequenze sono molto simili a quelle attribuite a retrovirus. Con la PCR si possono solo amplificare sequenze conosciute perché la molecola iniziale deve essere analoga alla molecola del frammento di DNA.
Si può solo amplificare quello che si conosce, se non si conosce non si può amplificare, visto che bisogna sintetizzare una molecola di 20 lettere uguale a quella che si vuole amplificare. Questa molecola deve provocare l’unione iniziale.
Siccome l’HIV non è mai stato isolato – quindi non lo si conosce – il risultato della PCR è quanto meno dubbioso. Come si può affermare che il DNA che si utilizza sia dell’HIV ?
Non si può dire che un risultato di PCR positivo indichi la presenza di un virus. Tant’è vero che ultimamente non vengono più pubblicate le sequenze dell’HIV.
La PCR può dare risultato positivo o negativo a seconda di come la si faccia. Non ci sono sufficienti prove di controllo. Cosa fanno per esempio per ottenere un risultato positivo ? Per determinare la quantità di virus, prendono cellule del corpo e di cultivi stressati e ne isolano l’RNA. E’ molto importante comprendere che queste condizioni non esistono in nessun caso in un corpo umano. Le cellule, quando si trovano in uno stato di stress in un ambiente fortemente ossidato, producono cose che in condizioni normali non produrrebbero. Se una cellula muore, tra le grandi quantità di elementi che genera, produce anche molto RNA.
Se si prendono cellule di persone sane, quasi non si incontra RNA. Se si prendono invece cellule di persone malate, per esempio con influenza o in uno stato di stress, troviamo RNA e quindi un successivo test può dare risultato positivo. Per farlo l’RNA si trascrive in DNA e con quest’ultimo si esegue la PCR. Si disegna, poi la molecola iniziale e probabilmente si innesterà la reazione.

Per avere risultato negativo si possono fare due cose:

1. si prende direttamente il DNA della persona e si pone la molecola iniziale: non c’è reazione! Perché? Perché il DNA ha frammenti con l’informazione genetica e altri senza informazioni, quindi la molecola iniziale non reagisce, non funzionerà;

2. si prende RNA di cellule non stressate e non si avrà, quindi, nessuna sequenza (abbiamo sequenze stressate solo con cellule stressate).

D. In che cosa consiste il processo di “template switching” ?
R. E’ una caratteristica della transcriptasi inversa che incatena frammenti di DNA separati formando catene lunghe di DNA. L’errore che si commette molte volte è quello di credere che questo DNA appartenga all’HIV.

D. Che cosa ci dici sui T4/T8?
R. Gli immunologi non hanno ottenuto niente tentando di trovare strumenti utili di diagnosi nelle cellule B. Ci sono migliaia di articoli che lo testimoniano.
Oggi si utilizzano anticorpi monoclonali per identificare le diverse cellule T. Gli anticorpi monoclonali si uniscono solo ad una determinata proteina. Furono prodotti per la prima volta nel 1975. Si ottennero un paio di dozzine di anticorpi monoclonali che aderivano alla superficie delle cellule T. In questo modo si iniziò a dare un nome alle cellule: CD, CD2, CD3, CD4…CD8, ecc.
CD significa “Cluster of Differentation” cioè gruppo di differenziazione. Nient’altro.
Si iniziò a fare esperimenti con topi irradiati, iniettando loro cellule T umane per studiare il sistemaimmunologico umano, e si concluse che alcune cellule erano “assassine”, altre “aiutanti” e altre “soppressori”. Però questo è stupido, è solo un’interpretazione.
In realtà, guardando le cellule T, non è facile distinguere le une dalle altre.
Fecero esperimenti per osservare il comportamento di queste cellule e per vedere che tipo di recettori avevano in superficie. Però quello che veramente succede è che nella superficie delle cellule ci sono differenti tipi di proteine. Qualche volta di più, qualche volta di meno.
Questo potrebbe spiegare perché nelle persone che usano droghe (che sono ossidanti) il numero dei T4 è basso nella superficie della cellula. E’ importante capire che se c’è stress, una buona parte dei globuli bianchi del sangue emigra verso il midollo spinale (la quantità massima di globuli bianchi presenti nel sangue non è maggiore del 5% del totale, il restante 95% si trova nei tessuti), anche perché i globuli bianchi hanno il compito di trasportare antigeni al midollo. E’ stato provato che i corticoidi prodotti in momenti di stress emigrano fino ai tessuti e non si possono incontrare nel sangue. Questo spiega perché le persone con stress hanno un basso numero di T4 (le persone etichettate con AIDS credono di essere bombe ad orologeria). Si sa che gli atleti hanno livelli di T4 molto bassi e nei maratoneti sono praticamente nulli. Le persone che fanno un lavoro manuale duro hanno livelli molto bassi di T4.
Dal punto di vista dell’evoluzione, se bisogna cacciare o scappare da un pericolo, non ha senso che l’energia del corpo sia utilizzata per produrre cellule sanguigne bianche. Se c’è molto stress, come nel caso di uno sprinter, una volta realizzato il suo sforzo, non si incontrano cellule T.
Questo dimostra la stupidità della definizione di AIDS dell 1992 negli Stati Uniti che dice che anche nel caso in cui sia dato negativo un test, se la conta dei T4 è minore di 200 la diagnosi è AIDS.
In quanto al rapporto tra T4 e T8, la Dott.ssa Eleni Papadopulos-Eleopulos lo spiega dettagliatamente.
In caso di stress nella superficie della cellula ci sono più proteine T4 che T8.
Fauci, noto esponente ufficiale dell’AIDS, aveva dimostrato che in una situazione di stress le cellule bianche emigrano verso i tessuti; questo è molto significativo, visto il ruolo giocato da questo signore nel tema in questione.

D. Ci sono fattori soggettivi che rafforzano l’idea HIV-AIDS ?
R. Sì, tutti i virus e i batteri hanno un’immagine negativa.
Se nei cibi che mangiamo sono presenti virus, questo è male. Se ci operiamo e prendiamo un’infezione, anche questo è male.
Nelle infezioni normali, i virus e i batteri hanno una funzione positiva (per esempio aiutano ad eliminare tessuti degenerati).
Questo si è studiato poco. Cambiare il modo di pensare rappresenta un notevole salto di qualità.

D. Che cosa ci dici sul virus dell’influenza ?
R. Questo virus esiste. E’ stato isolato. Sembra che quello che faccia è aiutare a disperdere tessuti danneggiati.

D. Ma allora è un aiuto ?
R. Sì, tutti sanno che con o senza un trattamento medico l’influenza si supera. Se il corpo è esausto ha bisogno di recuperare, questo non è un problema. E’ sempre meglio evitare l’uso diantibiotici in generale.

D. Come vedi il futuro a medio termine dell’AIDS ?
R. Dopo la guerra al cancro lanciata negli USA nel 1961 da Nixon e fallita poi nel 1970, i virologi del cancro si sono trasformati in virologi dell’AIDS. Possiamo dire che l’AIDS è la sorella minore della ricerca del cancro. Speriamo che non cresca troppo. Io spero che non ci sia troppo futuro per l’AIDS.
Dobbiamo fare pressione sui politici, accusarli di non prevenire e non arrestare la morte dei cittadini dei propri paesi. Accusarli di partecipare all’uccisione di persone nel “terzo mondo” attraverso l’appoggio ai programmi dell’AIDS.

Estratta da “Desmontar el SIDA” n.2 – COBRA – Traduzione di Gaetano Martino
Tratto da: http://digilander.libero.it/controinfoaids/Update 03-05/intervista a Stefan Lanka.htm