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Russia
e Stati uniti ai ferri corti
Stefano
Vergole – 5 ottobre 2006
Chi segue con attenzione le relazioni tra i giganti
mondiali aveva capito da tempo quanto la momentanea convergenza
d’interessi tra Russia e Stati Uniti, seguita all’11 settembre 2001,
fosse un “fuoco di paglia”.
Le manovre militari russo-cinesi, la cacciata delle basi del Pentagono
dall’Uzbekistan, l’architettura geopolitica disegnata
dall’Organizzazione per
Il fatto che alla fine di settembre
Il documento, pubblicato dalla “Pravda”, s’intitola: “Il
probabile scenario d’azione degli Stati Uniti nei confronti della
Russia nel periodo 2006-
Ciò che disturba in particolare l’Establishment, è
l’uso spregiudicato delle risorse energetiche da parte del governo
russo, arma che ha consentito in pochi anni la formazione di un asse
geoeconomico e potenzialmente geopolitico in funzione antiamericana.
Dalla Russia alla Cina, dal Venezuela all’India, dall’Iran al
Pakistan, passando per i più importanti Stati dell’Asia centrale,
tutte le principali potenze eurasiatiche (e non) si stanno compattando
per riequilibrare l’unilateralismo della Casa Bianca.
Regista principe di quest’operazione è proprio il capo del Cremlino,
il Presidente Vladimir Putin, al quale solo poche settimane fa è stato
lanciato un avvertimento in stile mafioso con l’uccisione del
vicepresidente della Banca Centrale di Mosca, un uomo di sua fiducia.
L’omicidio è stato l’antipasto di tutta una serie di
mosse volte a “innervosire” la nomenklatura, come la convocazione a
Washington di un convegno pubblico di separatisti ceceni, evidentemente
non inseriti dall’Amministrazione Bush tra i “gruppi terroristi” e
la conseguente protesta ufficiale dell’ambasciatore russo negli Stati
Uniti.
Ma è proprio analizzando in dettaglio il rapporto segreto che
Innanzitutto Washington avrebbe dovuto sabotare il monopolio energetico
della Federazione Russa: ebbene, è notizia di oggi (04/10/2006) che si
sarebbero arenate le trattative per la cooperazione strategica tra
l’ENI e
Essa segue le forti polemiche scatenatesi dopo la denuncia
di devastazione ambientale nell’isola di Sakhalin rivolta dallo stesso
Putin alla multinazionale anglo-olandese Shell, protesta che ha
consentito alla Russia di revocarle la licenza di estrazione petrolifera
e continuare il suo progetto di unificazione delle attività di
produzione, trasporto e vendita del petrolio e del gas siberiano.
Secondo il “Corriere della Sera”, il vero scopo del Cremlino sarebbe
una rinazionalizzazione del settore energetico, così vitale per
l’economia russa ma anche per quella europea, in controtendenza con il
desiderio statunitense di privatizzare le compagnie gas-petrolifere
moscovite e segnare così la loro subordinazione alle multinazionali
occidentali.
Stando a quanto scritto dagli autori del rapporto, l’ex segretario del
Comitato Centrale dell’URSS, Valentin Falin, e l’ex generale dei
servizi segreti Ghennadij Evstafiev, gli agenti nordamericani avrebbero
cavalcato le varie manifestazioni sociali che sarebbero scoppiate nella
“terra degli Zar”, così da screditarne l’immagine a livello
internazionale e preparare il terreno ad eventuali sanzioni economiche.
La manovra culminerebbe con l’espulsione della Russia dal
G8 e con il suo mancato ingresso nel World Trade Organization.
Subito è scattata l’occupazione del Ministero delle Finanze di Mosca,
ad opera di qualche decina di militanti del Partito nazionalbolscevico
di Limonov, evidentemente caduti nella trappola preparata dagli
“arnesi” della CIA.
Le proteste internazionali che Washington si preparerebbe a scatenare,
con l’obiettivo importantissimo dell’allentamento dei rapporti
economico-diplomatici tra
Se a Kiev la situazione appare per ora congelata, dopo le
proteste antiamericane in Crimea e il ritorno al governo di Victor
Yanukovic, a Tblisi l’annuncio di voler aderire all’Alleanza
Atlantica sta rischiando di provocare una nuova guerra caucasica, dato
anche il corollario dei referendum che a breve interesseranno le regioni
indipendentiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia.
L’arresto dei 5 diplomatici russi è stato così interpretato da Putin
come un casus belli e la sua “linea della fermezza” nei confronti
della Georgia sembra per ora aver pagato; di certo i prossimi mesi
saranno quelli decisivi per capire chi vincerà questo estenuante
braccio di forza tra il Cremlino e