|
Violenza
negli stadi: scaricabarile?
di Antonella
Randazzo per www.disinformazione.it
– 11 febbraio 2007
Autrice del libro: "DITTATURE: LA STORIA
OCCULTA"
Ragazzi di 16, 18 o venti anni, gettano bulloni, pietre e
bombe carta fuori dallo stadio a Catania. Alcuni sono armati di spranghe
e nelle tasche hanno dosi di stupefacenti. La presenza di 1.350 uomini
delle forze dell'ordine non ha evitato la morte dell'ispettore Filippo
Raciti e il ferimento di 147 persone, di cui 118 appartenenti alle forze
dell'ordine. Su 34 le persone arrestate nei giorni successivi, 11 sono
minorenni.
Come capire tutto questo? Siamo sicuri che vada considerato un fenomeno
a se stante, dovuto a pochi giovani squilibrati? Siamo sicuri che si
tratta soltanto di tifoseria eccessiva e il fenomeno non vada esteso
alla generale crescita di violenza nei giovani?
Eppure le cronache non lasciano dubbi sul dilagare della
violenza nei giovani, in particolare nella fascia d'età che va dai 14
ai 25 anni. Stupri, bullismo e altre forme di violenza sono in aumento
nelle scuole. In una classe di un istituto alberghiero di Milano, cinque
ragazze venivano regolarmente stuprate da altri studenti sedicenni, e le
violenze venivano filmate dai telefonini. I giovani si sono difesi
dicendo: "era solo un gioco".[1]
Non si tratta di un episodio isolato, in altri casi le ragazzine
venivano violentate e ricattate con i filmati dei cellulari: "O fai
quello che vogliamo o mandiamo il filmato ai tuoi genitori". Gli
episodi di bullismo non si contano più (le vittime preferite sono le
ragazze e i disabili), a tal punto che il ministro della Pubblica
Istruzione Giuseppe Fioroni ha dovuto prendere "misure" per
contrastarlo con sanzioni disciplinari "eque tempestive e
proporzionate alla gravità delle azioni compiute".[2]
E' stato persino istituito
un osservatorio permanente in ogni regione per monitorare il fenomeno
del teppismo e del bullismo.
Ma controllare e punire è tutto quello che si può fare?
Non sarebbe indispensabile interrogarci su come le nuove generazioni
stanno crescendo e sull'origine di tutta questa violenza?
Perché i giovani si comportano in questo modo? L'azione violenta ha
acquisito una certa "normalità" per molti di loro, e questo
non può non indurci a cercare di capire il sistema in cui questi
giovani vivono.
In questi giorni è stato posto l'accento sulla vittima della violenza,
Filippo Raciti, e i telegiornali facevano a gara per suscitare
commozione. L'attenzione è stata anche posta sulla necessità di
rendere il calcio uno sport "normale", da seguire senza
correre rischi.
Per quanto si possa, ovviamente, essere vicini alla sofferenza delle
famiglie delle vittime e capire l'esigenza di eliminare il problema
della violenza dagli stadi, occorre ricordare che per evitare che un
problema si ripeta bisogna capire le cause che l'hanno provocato.
Il capitano della Lazio Luciano Zauri ha dichiarato:
L'agguato di Catania conferma, nel modo in cui è avvenuto, che la
violenza è intorno al calcio ma non proviene solo dal calcio; è
violenza comune che non ha nulla a che vedere con i valori dello sport.
I miei compagni ed io aderiamo con convinzione alla decisione dei nostri
dirigenti di fermare il calcio non solo per la doverosa solidarietà
alla famiglia della vittima ma anche perché tutti si possa ritornare a
riflettere su quanto sta avvenendo nella nostra società e in
particolare nel nostro mondo, quello del calcio, e tutti -
istituzioni, calciatori, dirigenti, media e tifosi - dobbiamo
impegnarci affinché torni ad essere momento di piacere, di festa e non
di violenza, di guerriglia e di lutto.[3]
Ma se questa violenza non ha nulla a che vedere con lo
sport, a cosa è dovuta? E perché le nostre istituzioni e i nostri
media informativi non cercano di capirla in maniera più approfondita,
al di là delle punizioni e della commozione per le vittime?
Angelo Peruzzi ritiene che le responsabilità siano molteplici:
E' triste per tutti ma consentitemi di dire che per un uomo come me che
ha dedicato la sua vita al calcio e che dal calcio ha avuto tutto,
gloria e benessere, è ancora più doloroso dover assistere, proprio
quando la carriera volge alla fine, a questo tragico e inglorioso
epilogo. Siamo tutti colpevoli, a cominciare da noi giocatori che spesso
con i nostri atteggiamenti in campo e con le parole fuori campo abbiamo
dato esempi di non sportività e abbiamo alimentato polemiche e
contrasti. Sono colpevoli i media che spesso, per inseguire l'audience
hanno dato alle partite di calcio significati che non hanno e non
possono avere. Sono colpevoli le società ed i dirigenti perché hanno
tollerato e spesso alimentato tutto questo. Sono colpevoli i tifosi,
quella frangia di tifosi intolleranti che si alimentano con l'odio e che
vanno allo stadio in assetto di guerra ed anche con slogan e bandiere
che incitano alla violenza. Sono colpevoli coloro che hanno permesso e
tollerato che la politica entrasse negli stadi. Speriamo che il
provvedimento drastico che ha preso il Commissario Straordinario Luca
Pancalli porti a soluzioni definitive. E noi tutti, "uomini di
buona volontà" dobbiamo dare il nostro contributo perché il
calcio torni soltanto un bel gioco e soprattutto un momento di
piacere, di festa e non lo sfogo dello stress e dei problemi
accumulati durante la settimana.[4]
Dato che la violenza giovanile dilaga non soltanto negli
stadi, forse c'è un illustre assente fra i responsabili elencati da
Peruzzi: il sistema politico-economico in cui questi giovani sono
cresciuti.
I giovani più sensibili e suggestionabili risentono dell'esposizione ad
input di tipo violento e volgare, e quando ne hanno l'occasione
manifestano comportamenti violenti o asociali. Nella maggior parte dei
casi si tratta di ragazzi disoccupati e con un basso livello di
istruzione. Ma ci sono anche i giovani di famiglie agiate, vestiti alla
moda e con oggetti firmati da esibire. In tutti i casi, si tratta di
giovani cresciuti in un mondo basato sul consumo e sulla creazione di
falsi bisogni. Un mondo in cui la legalità vale soltanto per alcuni, e
in cui la violenza assume spesso un ambiguo significato di vincita del
più forte sul più debole. In cui la competizione diviene
prevaricazione attraverso la forza. Un mondo in cui sempre più spesso
l'empatia e la sensibilità vengono atrofizzate dal rafforzamento degli
impulsi distruttivi. La desensibilizzazione empatica induce gruppi di
giovani a divertirsi gettando sassi dai cavalcavia, seviziando animali o
stuprando coetanee.
I media, specie
A ciò va aggiunto l'inquinamento mentale che i ragazzi subiscono
attraverso i programmi televisivi e la pubblicità. Spiega il professore
di Pediatria all'Università di Pisa, Giuseppe Saggese:
Disordini alimentari, abitudine a fumo o alcol, inizio
dell'attività sessuale e anche bullismo sono direttamente proporzionali
alle ore passate da piccoli e ragazzi davanti al mezzo televisivo... Il
bullismo arriva a far breccia sul 13% dei bambini tra i 9 e gli 11 anni
che passano almeno 5 ore al giorno davanti alla televisione. E ancora,
nella fascia d'età 11-14 anni, il consumo di alcol (birra, vino o
altro) è doppio tra chi resta davanti al video per almeno 3 ore al
giorno rispetto ai coetanei che si concedono al massimo un'ora.[6]
I giovani crescono in un sistema pieno di contraddizioni e
paradossi: la religione li reprime sessualmente, mentre
I mezzi di comunicazione di massa hanno acquisito così tanto potere da condizionare lo stile di vita dei giovani, inducendoli a costruire identità soggettive attraverso modelli con cui identificarsi. I personaggi offerti dal panorama mediatico sono presentati come adeguati e di successo, e l'identificazione con essi può provocare gravi problemi al sé, in quanto il soggetto perde il riferimento alle proprie vere emozioni e aspirazioni, a favore di una personalità frammentata e fittiziamente costruita sulla base dei condizionamenti esterni. Inoltre, questi modelli sono sempre più aggressivi, violenti e cinici. Ad esempio, nei telefilm per adolescenti, come "Geni per caso", i protagonisti ridono cinicamente anche quando uno di loro si trova in difficoltà, oppure utilizzano mezzi tecnologici per attuare un controllo onnipotente della realtà. I giovani di oggi sono continuamente bombardati da messaggi che li "disumanizzano", che li privano delle normali emozioni empatiche dirette ai loro simili. L'altro appare sempre come nemico o come avversario. Una realtà ostile da affrontare con ostilità. Come lo scrittore Yves Frémion:
Si presume che il consumatore acquisti
l'eterna giovinezza, la potenza o l'energia, la salute... Come
nel regime nazista, i devianti da questo modello vengono eliminati dal
mondo trasmesso dalla pubblicità: quelli che non assomigliano agli
ariani, non sono eterosessuali né in buona salute, non hanno la
disinvoltura fornita dal denaro, non sono aggressivi di fronte al mondo,
non hanno il fisico conforme; i non produttivi, i contestatori, i
pacifisti, i malati, i poveri, i perdenti. Come in ogni propaganda
totalitaria, forza e potenza si sprigionano dai muscoli dei bevitori di
birra o dagli occhi di ghiaccio dei piloti. La vittoria è onnipresente,
che l'eroe corra o rimorchi, piloti o affronti il suo capufficio... la
pubblicità gioca soltanto con gli stereotipi e ogni volta per
inculcarli ancor di più nel pubblico: stereotipi maschili e femminili,
nazionali, rurali, giovanili, di periferia ecc... La pubblicità...
alimenta la confusione... quello che non è stato "visto alla
Tv" non esiste. E ciò che è stato visto, anche se è falso, viene
accettato... Il mondo della pubblicità... funziona come una mafia al
servizio dell'ideologia più autoritaria che esista... ci propone una
visione maschilista, razzista, colonialista, totalitaria, occidentale ed
escludente, favorisce soltanto quelli che ci conducono alla
catastrofe... Questa offensiva generalizzata della merce crea carestie,
catastrofi ecologiche e sanitarie, disoccupazione ed esclusione.[7]
I messaggi pubblicitari, televisivi e cinematografici sono
sempre più spesso messaggi di distruzione, morte e di esaltazione della
forza fisica. Questa è diventata la realtà di molti giovani di oggi.
A tutto questo si aggiunge la grave situazione lavorativa.
Ormai i giovani assunti con contratti precari sono l’87% contro il
12,3% assunti a tempo determinato. Una situazione che peggiora nel
tempo, e del 75% delle assunzioni di lavoratori lavori precari soltanto
1/3 di loro saranno assunti a tempo indeterminato. La precarizzazione è
in aumento: nel 2000 i contratti di lavoro con durata inferiore ai 30
giorni erano il 35% delle assunzioni, nel 2006 sono diventati il 50%.
Molti dei lavoratori precari sono costretti anche a subire problemi nei
pagamenti dello stipendio. Oltre a non avere tutele sindacali o
aziendali, il 30% di loro non percepisce regolarmente (mensilmente) lo
stipendio. La disoccupazione
è in aumento, e in alcune regioni d'Italia tocca vette del 70%. I
giovani disoccupati o precari, sono soggetti ad accumulare una forte
rabbia che non sanno come indirizzare contro il sistema, e finiscono per
esprimerla contro coetanei, disabili, animali, immigrati, o attraverso
la "tifoseria" sportiva.
I nostri politici invocano punizioni e misure repressive
contro la violenza giovanile. Queste misure toccano soltanto la punta
dell'iceberg, e non affrontano il problema alla radice. L'accento è
posto sulle società calcistiche che non attuano i necessari controlli
per evitare che i giovani entrino negli stadi con oggetti pericolosi,
oppure non elaborano un piano efficace che agisca come deterrente ai
comportamenti violenti. Occorre senza dubbio rivedere gli stadi, come
avverte l'assessore provinciale allo sport Nino Capriotti: "Gli
impianti italiani sono assolutamente inadeguati e le Amministrazioni
comunali che ne sono spesso proprietarie non hanno le possibilità
economiche di intervenire per ammodernarli. Credo che sia giunto il
momento di ripensare radicalmente il rapporto tra Comuni e società
sportive. Le società devono prendersi l'onere di gestire anche la
struttura in cui si svolge la loro attività... Per far questo,
ovviamente, devono avere una ragionevole prospettiva di rientro dei
notevoli investimenti che saranno costrette ad effettuare. Le forme di
questo rapporto potranno essere le più varie, ma non vedo altre
soluzioni che trasferire ai sodalizi professionistici la gestione, anche
per lungo tempo, degli impianti con la possibilità di integrarvi
strutture polivalenti e servizi che rendano l'operazione economicamente
sostenibile".
Oltre a questo, dovrebbe essere messo a punto un piano
razionale per impedire che i giovani portino oggetti pericolosi e
possano capire che non sarà più possibile esprimere violenza
utilizzando la tifoseria calcistica. Un piano razionale è possibile, se
realmente si vuole risolvere il problema. Ma si vuole davvero risolvere
il problema? Perché, dato che esso esiste da anni, non si è fatto
nulla di efficace, anzi, al contrario, si continua ad istigare i giovani
alla violenza attraverso
Di sicuro questa violenza risulta altamente funzionale al sistema. Esso,
se non offrisse valvole di sfogo asociali e violente, dovrebbe
rispondere di parecchi problemi e disagi che attanagliano le nuove
generazioni: scuole sempre più scadenti, precariato, disoccupazione,
mass media che insabbiano la vera realtà in cui vivono, programmi Tv
violenti o scadenti, pubblicità sempre più aggressiva e basata su
stimoli sessuali o aggressivi, ecc.
Ci si chiede come mai i politici che trattano la violenza
negli stadi non estendono questo problema alla situazione generale della
violenza giovanile. Le proposte per risolvere il problema negli stadi
sono tutte "esterne" al problema stesso. Si affrontano aspetti
reali, ma non si tocca il tema dei gravi disagi che colpiscono i
giovani.
Il decreto anti-violenza emanato dal Consiglio straordinario dei
ministri, in sintesi, impone:
a - porte chiuse per gli stadi non a norma con il decreto
Pisanu. Gli abbonati potranno rientrare non appena saranno installati
tornelli e zone di prefiltraggio
b - le società ospitanti non invieranno più blocchi di biglietti per
la tifoseria avversaria
c - vietato qualsiasi tipo di rapporto economico, finanziario e
lavorativo tra i club e i tifosi
d - inasprimento del DASPO, che ora potrà essere preventivo e applicato
anche ai minori
e - inasprimento dei controlli per i soggetti sottoposti a DASPO: oltre
all'obbligo di firma i soggetti in questione dovranno fornire
prestazioni imposte e utili
f - pene da
g - reclusione da 6 mesi a 5 anni e un'ammenda da
Oltre a queste misure ci sono anche diversi provvedimenti
immediati con disegno di legge:
1 - gestione degli impianti: si dovrà arrivare a stadi di
proprietà delle società di calcio
2 - sicurezza: all'esterno dello stadio sarà appannaggio delle forze
dell'ordine, dentro solo ed esclusivamente a carico degli steward delle
società
3- osservatorio sulla comunicazione sportiva
4- promozione della cultura sportiva nelle scuole
5- abbassamento del limite di capienza, dalle 10 mila alle 7.500 unità,
sotto il quale gli stadi non debbono rispettare il decreto Pisanu.[8]
Potranno bastare queste misure? E chi controllerà se
continueranno ad esserci legami fra tifosi e società? Dato che le
società si dimostrano irresponsabili e incapaci, come mai si propone
loro di acquisire la proprietà degli stadi? Chi controlla che le
violenze non siano organizzate da qualcuno? Mettere tutto sul piano
delle punizioni e dei controllo può bastare?
Il ministro dell'Interno Giuliano Amato, piuttosto che trattare il
problema in modo più esteso, si scaglia contro le società:
Dal mondo del calcio verranno pressioni perché lo spettacolo continui,
perché le entrate dello stato e delle società dipendono dal calcio.
Noi abbiamo il dovere verso le forze dell'ordine e i cittadini di
resistere alle pressioni... La serenità delle famiglie italiane vale di
più degli interessi economici che pretendono che lo spettacolo
continui... Il pubblico non potrà più entrare negli stadi non
sicuri... Non tutto ha funzionato dopo
Ma il ministro non esprime nulla riguardo a come le società
potranno essere maggiormente responsabilizzate e costrette ad assolvere
tutti i loro doveri. Secondo Amato "il calcio è uno dei più
grandi catalizzatori della violenza. E diventa occasione di formazione
della violenza. Offre canali attraverso i quali la violenza si
esprime".
Ma il ministro non affronta il problema della violenza
giovanile in un ambito più esteso, e preferisce rimanere nel vago.
Eppure riconosce che le misure attuate in precedenza sono state
fallimentari: "C'è stata... una ripresa del fenomeno della
violenza". Pur riconoscendo il fallimento della prospettiva con cui
il problema è stato affrontato finora, i politici non hanno cambiato il
modo di intendere ed affrontare il problema. Amato è bacchettone:
"Per educare i nostri giovani serve la scuola e la famiglia, ma la
punizione davanti a comportamenti trasgressivi è elemento essenziale di
un'ordinata convivenza civile"; ma non riconosce che la violenza può
essere fomentata dal sistema. Non generalizza il fenomeno e non
riconosce un vero problema per le nuove generazioni. Egli pensa che la
violenza possa essere eliminata completamente dalle norme: "La
violenza di oggi effetto della non applicazione delle misure, forti e
capaci di efficacia, già votate"... La violenza non nasce negli
stadi, è connessa agli estremismi politici".[10]
Per Amato quindi, è normale che gli adolescenti gettino bulloni, pietre
e bombe carta, e ciò, secondo lui, accade perché non c'è abbastanza
repressione dall'esterno. L'"estremismo politico" appare come
un'etichetta per deviare il problema da argomenti che sarebbero davvero
difficili da affrontare senza scalfire il sistema politico-economico
dominante.
Lo sport più praticato dai politici negli ultimi anni,
sembra essere il mostrare ciò che non va, toccando soltanto gli aspetti
più superficiali del problema e senza offrire soluzioni efficaci. Ad
esempio, ormai si dedica molto spazio al lavoro precario, ma nessun
politico propone di abrogare tutte le leggi che lo consentono. Lo stesso
accade per la violenza giovanile. Eminenti studiosi hanno ormai provato
che la violenza televisiva e dei videogiochi è altamente diseducativa e
nociva ai giovani, eppure nessun politico ha proposto una legge che
vieti il commercio dei videogiochi violenti o la trasmissione di
programmi basati sulla violenza. Ci si chiede: c'è davvero la volontà
di eliminare la violenza giovanile, oppure si vogliono offrire canali di
sfogo che non mettano in discussione e non intacchino il sistema?
Lo scaricabarile delle responsabilità, tra società
calcistiche e governo appare davvero un atto di cinismo all'interno di
una situazione di grave problematicità per le attuali generazioni di
giovani. Giovani in balìa della Tv spazzatura, dell'invasione
pubblicitaria e della violenza di un sistema che ha espulso la vera
realtà umana soppiantandola con un mondo in cui apparire sembra l'unico
modo per essere.
[1]
Il Giorno, 31 gennaio
2007.
[2]
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=154797
[3]
http://www.sslazio.it/it/
[4]
http://www.sslazio.it/it/
[5]
http://www.repubblica.it/scienza_e_tecnologia/index.html
[6]
"Troppa TV induce a obesità, fumo e bullismo", Adnkronos
Salute, http://salute.tio.ch/aa_pagine_comuni/articolo_interna.asp?idarticolo=296713&idtipo=166
[7]
Frémion Yves, "La pubblicità è più efficace delle
bombe", in AA.VV., Il
libro nero del capitalismo, Marco Tropea Editore, Milano 1999,
pp. 533-535.
[8]
http://www.sambenedettoggi.it/2007/02/06/calcio-e-violenza-
[9]
Il ministro Giuliano Amato in un discorso alle Camere,
[10]
Ibidem