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Tratto
da: "Il
Segreto della Repubblica. La verità politica sulla
strage di Piazza Fontana" di Fulvio e
Gianfranco Bellini. A cura di Paolo Cucchiarelli, Selene Edizioni, 2005, pag. 182, euro 13 (c)
2005 Selene Edizioni - Information Guerrilla ringrazia l'Editore per la
gentile concessione
Il
Segreto della Repubblica
Premessa
alla 2a edizione di Gianfranco Bellini
Tratto da www.informationguerrilla.org
Molti anni fa, il compianto Primo
Moroni (leggendario animatore della Libreria Calusca di
Milano) mi fece sapere che un giornalista romano lo aveva contattato per
chiedere notizie del libro "Il Segreto della Repubblica" a
firma Walter Rubini. Primo sapeva perfettamente chi si celasse sotto lo
pseudonimo di Walter Rubini: aveva “spinto” il libro attraverso una
distribuzione speciale destinata ai compagni del movimento, che
numerosissimi frequentavano la libreria. Fu così che incontrai Paolo
Cucchiarelli.
Paolo era interessato al libro e a capirne gli antefatti. Voleva inoltre
incontrare mio padre, cosa che puntualmente avvenne. Dopo un periodo di
reciproca cautela, iniziammo a sentirci regolarmente. Oggi, quel lontano
incontro si è concretizzato nella richiesta di Paolo di procedere alla
ristampa de Il Segreto della Repubblica.
Ho accettato la proposta con una certa fatica: si
trattava di riprendere una storia di per sé non piacevole (si parla
comunque di bombe) e per me particolarmente gravida di ricordi. Al pari
di tutta la generazione di cui faccio parte, la mia gioventù (la mia
vita) è stata violentemente segnata dalla bomba di Piazza
Fontana e dalla “strategia della tensione” nei suoi
due momenti: “stragismo nero” e tentativi golpisti con la guerra tra
bande degli “opposti estremismi”, terrorismo “chirurgico” e
guerra civile strisciante della lotta armata.
Il tutto si concluse con la repressione di massa e con la grande
normalizzazione dell’epoca craxiana, l’ottundimento di un’intera
generazione zittita da un consumismo basato sui debiti.
Ricordo perciò perfettamente i morti, gli arresti, i
furibondi scontri di piazza, i giovani di allora caduti nelle trappole
(astutamente tese) degli opposti estremismi, dell’eroina, del
terrorismo nero prima e rosso poi.
E ricordo la fortissima motivazione che mi spinse, nel periodo a cavallo
tra il 1977 e il
Un libro che ha una sua storia che vale la pena di raccontare.
Come nacque "Il
Segreto della Repubblica"
1975:
momento culminante della grande avanzata della sinistra, iniziata nel
1968 con la rivolta studentesca e continuata nel 1969 con la grande
stagione rivendicativa e unitaria delle lotte operaie dell’autunno
caldo. Nel mezzo, la grande lotta di resistenza per bloccare quella che
sembrava esclusivamente una controffensiva “di classe”: le bombe
(utilizzate con spietata puntualità ogni cinque-sei mesi),
l’aggressività delle squadracce missine, i tentativi di colpo di
stato, più o meno dichiarati e credibili.
Il Paese aveva reagito e si era rafforzato nella
grande battaglia difensiva. L’ultimo baluardo da espugnare era quello
della minaccia della sedizione militare. Un anno prima, il 1974, il
referendum sul divorzio aveva dimostrato come il Paese si fosse ormai
liberato dalla pesante ipoteca confessionale su cui si era basato il
potere della Dc per trenta lunghi anni, aprendo così la strada alla
vittoria delle sinistre e a una reale speranza di cambiamento.
Fu proprio allora che si registrò l’ultimo vero tentativo golpista.
Un complotto molto articolato e pericoloso, anzi il
più pericoloso, perché ordito fuori dalla Dc e contro
Inoltre, nel 1974, moltissimi giovani del baby boom, già testimoni e
protagonisti del 1968 e del 1969, nonché in parte provenienti dai vari
gruppi di autodifesa della sinistra (servizi d’ordine), stavano
esaurendo le possibilità di rinvio per ragioni di studio della leva
obbligatoria. Centinaia di sperimentati militanti dell’estrema
sinistra, migliaia di ex studenti e laureati, semplicemente di sinistra,
e molti altri simpatizzanti furono, così, incorporati nelle forze
armate come soldati e ufficiali di complemento. La presenza nei corpi
militari di questi giovani sui ventiquattro-venticinque anni fu
decisiva: essi disponevano di una consolidata coscienza politica, di
un’elevata disponibilità alla lotta e al sacrificio e
dell’attitudine organizzativa ereditata dai periodi precedenti. Gli
“anziani” politicizzati si collegarono con le reclute diciottenni
sulla base comune del giuramento reso alla carta costituzionale. Tanto
bastò per trasformare l’esercito di leva in una forza non solo aliena
a qualunque mena golpista, ma anche un baluardo della democrazia in
grado di reagire con determinazione a un tentativo eversivo. Non si
trattava certo di una svolta rivoluzionaria come quella che il 25 aprile
del 1975 aveva portato il Portogallo nella “rivoluzione dei
garofani”, ma era sicuramente una svolta in senso democratico.
Nel dicembre 1975, si tenne a Roma l’assemblea
generale del movimento dei soldati, ove si riunirono (clandestinamente
ma non troppo) i rappresentanti di tutti i corpi delle forze armate: dai
paracadutisti ai lagunari e agli artiglieri, dai granatieri di Sardegna
ai bersaglieri e ai carristi, dagli alpini ai pontieri e alla brigata
missili. La sola eccezione fu quella dei carabinieri.
Questa assemblea, a mio avviso, segnò la conclusione della prima fase
della “strategia della tensione”: quella basata sullo stragismo e i
colpi di stato militari.
Fu così che il periodo della grande avanzata elettorale delle sinistre,
con le elezioni regionali e amministrative del 1975 e le politiche
anticipate del 1976, si svolse in una relativa calma sotto l’attenta
garanzia dei giovani del ’68 in armi. Purtroppo, però, molte delle
attese di cambiamento (tra le quali c’era, a buon diritto, la verità
sulla strage di Piazza Fontana) andarono rapidamente deluse.
I nuovi rapporti politici ed elettorali usciti dal “biennio rosso”
1975-1976, benché estremamente favorevoli alla sinistra, non produssero
quel rinnovamento e quella modernizzazione della realtà italiana, ormai
non più procrastinabile. Durante il periodo del governo della “non
sfiducia”,(1) maturò il disincanto di moltissimi militanti e
simpatizzanti di sinistra.
Alcuni di questi, per reazione (e in piena buona fede), andarono a
formare la base di massa della cosiddetta “lotta armata”. Essi
furono l’inconsapevole “brodo di cultura” della seconda fase della
strategia della tensione basata sulle tecniche dell’infiltrazione nel
terrorismo di sinistra.
L’unico elemento costante nelle due fasi della strategia della
tensione fu l’obiettivo: l’onorevole Aldo Moro. E questo, a mio
modesto avviso, non perché Moro fosse un pericoloso sovversivo o un
agente di Mosca, ma semplicemente perché era troppo imprevedibile,
intelligente, spregiudicato, furbo e, in ultima analisi, indipendente
per i padroni (americani) dell’Italia.
Le vicende del libro
Tornando
a casa dal servizio militare, alla fine del 1976, ero quindi convinto
che la “strategia della tensione” fosse un capitolo ormai archiviato
e che fosse giunto il momento di partecipare alla ricostruzione dei
fatti.
Per questa ragione, convinsi mio padre, con il quale
avevo a lungo discusso degli eventi del
Il lavoro di preparazione, raccolta e vaglio dei documenti, iniziò
subito e durò alcuni mesi. In seguito, procedemmo alla stesura del
testo, un lavoro particolarmente accurato e sofferto. Bisognava infatti
evitare assolutamente qualunque appiglio formale e una qualsiasi
querelle legale che potesse innescare un processo di disinformazione sul
libro. Fu un lavoro snervante, di massima concentrazione, mentre intorno
a noi il panorama politico cambiava rapidamente. Era l’epoca in cui le
“nuove Brigate rosse” iniziavano l’escalation militare che
culminerà col rapimento di Aldo Moro.
Infatti, quando il libro era ormai pronto arrivò il primo inaspettato
ostacolo: il rapimento di Moro, appunto.
Visto che il libro stesso si imperniava sulla figura del politico
democristiano, il rapimento ci obbligò a un rinvio forzato: non era
possibile pensare alla pubblicazione del Segreto durante la lunga agonia
dello statista pugliese. Alcuni mesi dopo la tragica fine di Moro ci
decidemmo, e il libro venne presentato alla casa editrice Feltrinelli
(che, tra l’altro, aveva pagato un anticipo). Ma con la morte di Moro
e la coda di polemiche (e operazioni dei servizi segreti) che ne era
scaturita, la situazione si era ormai fatta complicata. Fu così che
l’allora responsabile editoriale decise di non pubblicare il libro,
probabilmente per non esporre direttamente la casa editrice. In cambio,
propose una soluzione di compromesso: un’edizione indipendente del
libro e la sua diffusione su scala nazionale, utilizzando la
distribuzione della Feltrinelli stessa.
In effetti, alla fine del
Per chi non abbia vissuto quei momenti, è bene ricordare quanto fosse
facile allora morire in un attentato, e come dietro le sigle
terroristiche si potesse nascondere qualunque cosa, come dimostra
l’esecuzione del giudice Emilio Alessandrini, il 29 gennaio 1979, da
parte di un commando di Prima Linea (seconda formazione terroristica del
Paese dopo le Brigate Rosse).(2) L’omicidio di Alessandrini, oltre a
essere assolutamente oscuro nel movente,(3) ebbe delle conseguenze
fondamentali nel tormentato panorama politico dell’epoca. La notizia
della morte del coraggioso giudice, verso il quale il rispetto della
sinistra, anche rivoluzionaria, era assoluto (e ben riposto), provocò
un moto di reazione da parte di tutta la magistratura, che da quel
momento non fece più alcun distinguo tra chi propugnava e conduceva la
cosiddetta “lotta armata” e chi in Italia si dichiarava “né con
lo stato né con le brigate rosse”, cioè coloro che si rifiutavano di
considerare eroi quei personaggi che appena dieci anni prima avevano
incominciato a “colpire obiettivi civili in stato di pace”,
obiettivi del loro stesso paese. Quindi, l’omicidio Alessandrini
potrebbe indicare il passaggio a una nuova fase della “strategia della
tensione” che persegue obiettivi “secondari”, quelli legati
all’annichilimento della sinistra antagonista in Italia e alla
repressione giudiziaria di massa quali premessa della
“normalizzazione” del Paese, nonché del rinvio a tempo
indeterminato della verità sulle stragi di Stato.
Ripensandoci dopo anni, la proposta della Feltrinelli di distribuire il
libro fu veramente coraggiosa e decisiva, e confermava anche la sua
tradizione “militante”. Purtroppo non potemmo rallegrarcene con il
propugnatore dell’idea perché morì poco dopo in un incidente
stradale.
Con la disponibilità della Feltrinelli in tasca, mi assunsi il ruolo di
editore e stampai Il Segreto della Repubblica grazie ai soldi raccolti
tra compagni, amici e amiche. Il primo passo dell’operazione fu
l’acquisizione (a titolo gratuito) della Flan, la piccola casa
editrice di Alessandro Previdi. Vale la pena di raccontare cosa fosse
Alessandro Previdi (coraggioso partigiano combattente, giornalista e
amico di famiglia) aveva creato
L’ostracismo del potere fu infine lacerato da un
lungimirante produttore cinematografico che acquistò i diritti del
libro e produsse l’ottimo film, Il caso Mattei (1972), interpretato da
Gian Maria Volonté. Con nostra grande sorpresa, il successo travolgente
del film non mutò però di molto la situazione del libro della Flan
che, ovviamente, doveva restare nell’oblio del silenzio di Stato.
Ma poiché il caso era ormai aperto, si scatenarono i ben noti
profittatori italici. A partire da un cineasta che cercò addirittura di
accreditarsi come autore della storia, fino alle “grandi firme” del
giornalismo italiano che, copiando di sana pianta il libro, senza però
citarlo, cercarono di inserire dubbi e “variazioni sul tema”.
Un vecchio metodo della disinformazione, inventato dai servizi segreti
inglesi, in particolare dalla sezione della guerra propagandistica del
Foreign Office inglese, l’IRD(5). Vale la pena ricordare che l’IRD
all’epoca raggruppava un bel po’ di giornalisti e scrittori inglesi
autori di una gloriosa storia di falsi, disinformazioni e interventi
culturali anticomunisti. Nel meno recente passato, il più famoso
collaboratore a tempo pieno dell’IRD fu certamente l’“anarchico”
George Orwell, l’autore di 1984, quello del “grande fratello”. La
lista dei collaboratori dell’IRD nel periodo 1968-1978 è, comunque,
rintracciabile.(6) Come vedremo dopo, almeno una delle testate
“influenzate” dall’IRD, The Observer, ebbe un ruolo centrale nelle
vicende italiane legate alla bomba di Piazza Fontana. Ma torniamo a
noi.
Dopo l’esperienza de "L’assassinio di Enrico Mattei", in famiglia
eravamo ormai assolutamente smaliziati e privi di eccessive illusioni
sulla sorte del nuovo libro. E non avevamo torto: puntualmente,
l’arrivo nelle librerie de Il Segreto della Repubblica fu accolto
dalla ormai sperimentata congiura del silenzio. A dir la verità, questa
volta più drastica della precedente, e con una copertura quasi
assoluta: dall’estrema sinistra “rivoluzionaria” ai grandi partiti
popolari, fino alla stampa indipendente. Sorpreso nella mia ingenuità e
buona fede, ottenni la conferma dell’esistenza di un “ordine di
servizio superiore” da un amico, un giornalista della redazione di
Panorama ora ai vertici della televisione. Oggi, quindi, apprezzo ancor
di più l’unica recensione dell’epoca: quella di Ottobre, quotidiano
dell’estrema sinistra filosovietica diretto da Antonello Obino. Un
giornale importante che, purtroppo, uscì per un mese soltanto.
Comunque, con grande costernazione dei molti
attivisti del silenzio di Stato, la distribuzione del libro garantì la
vendita di oltre cinquemila copie, consentendo così di coprire le
spese, ma soprattutto di innescare quella catena di eventi che oggi ha
portato a questa ristampa.
Fu così, magari anche per un po’ ripicca, che qualche tempo dopo mi
fu recapitato a casa un libro svuotato contenente una bomba, predisposta
per esplodere al momento dell’estrazione dalla custodia di cartone. La
mia buona stella, una certa dose di prudenza e di addestramento mi
fecero scoprire il trucco (il che probabilmente mi salvò la pelle).
Dato che personalmente non avevo nessun dubbio sulla provenienza del
gentile omaggio, ben mi guardai dal chiamare organi dello Stato e
denunciare il fatto.
Insieme ad alcuni compagni del Casoretto (in
particolare “Bongo” che mi accompagnò con la sua 500, io non
possedevo auto) gettai, quindi, la bomba nel fiume Lambro (laddove
attraversa l’omonimo parco di Milano). Il tutto si concluse con una
bella colonna d’acqua (biologicamente pura, tanto il fiume era
inquinato!).
Decisi, infine, un ultimo tentativo per rompere la cortina del silenzio.
Un tentativo basato sul fatto che Sandro Pertini,
socialista, partigiano, era diventato presidente della Repubblica. In
quanto presidente della Repubblica Pertini presiedeva il Consiglio
Superiore della Magistratura, e una sua “parola”, circa i mandanti
della strage di piazza Fontana, non poteva andare nel vuoto. Feci, perciò,
appello ad alcuni compagni della disciolta banda (“vecchietti”
sempre ben disposti quando si trattava di “rompere le scatole” al
potere), per l’occasione integrati con giovani del centro sociale
Argelati. Feci preparare due manifesti, in bianco e nero: il primo con
una lettera aperta al compagno Pertini in cui si riassumeva il libro e
si denunciava il fatto che gran parte dei “segreti” su piazza
Fontana erano a disposizione di tutti, bastava cercarli in alcune
librerie (nascosti negli scaffali, certo). Nel secondo, organizzai una
compilation con una decina di fotografie, da Saragat in giù,
appartenenti a coloro che ormai potevo indicare, a chiare lettere, tra i
“mandanti” della strage e del tentativo di colpo di Stato. Una
specie di scheda segnaletica di gruppo, una sorta di Wanted
all’americana. Un libraio fece poi stampare una sovracopertina con la
lettera aperta da un lato e “i faccioni” (li chiamavamo così)
dall’altro. Ripensandoci, eravamo proprio una bella banda di Pazzi!
Quindi, aspettammo. Arrivò la notizia che il Presidente-Partigiano
sarebbe venuto a Milano per
Pensavamo di aver raggiunto l’obiettivo: secondo le nostre intenzioni,
Pertini, nella sua libera passeggiata per le vie di Milano (il
Presidente-Partigiano amava ritornare “normale” durante le puntate
nella città che lo aveva visto trionfatore il 25 aprile 1945) avrebbe
potuto vedere uno dei manifesti e, data la sua innata curiosità, magari
incuriosirsi e informarsi. Poi, da cosa nasce cosa... Ma tutto andò in
fumo: la prevista visita di Pertini era stata annullata. Così, senza
altre spiegazioni. Organizzai così una “seconda” uscita del libro,
questa volta nelle librerie militanti e con la sovracopertina (oggi, non
dispongo più di questo “reperto”, avendo distrutto tutto per
evitare di facilitare il compito della polizia in caso di perquisizione;
forse qualche lettore, in un angolo buoi della propria soffitta potrebbe
ancora avere questo vecchio cimelio).
Questo ultimo episodio segnò la fine degli sforzi
miei e dei compagni per fare luce su piazza Fontana. Del resto,
all’epoca ero sufficientemente sicuro che in tempi brevi me
l’avrebbero fatta pagare e non volevo rischiare più di tanto. Ma,
fortunatamente, non incappai in nessuna retata, che all’epoca erano
all’ordine del giorno (mio fratello Andrea sì, si fece nove mesi di
carcere preventivo e poi arrivederci e un grazie, con una bella
assoluzione). Né subii altri attentati. Comunque, tutto finì lì, in
un’ovattata coltre di nebbia, come di quelle che a Milano (ahimé) non
si vedono più.
Poi il silenzio, per una ventina d’anni, interrotto
da qualche sporadico riferimento alla tesi del Segreto e da qualche
intervento dei successori della IRD.(7) Questa è, in breve, la storia
de Il Segreto della Repubblica.
Vediamone ora le conseguenze.
Le conseguenze
La
conseguenza più evidente di questo libro è contenuta nel rinvio a
giudizio per la strage di Piazza Fontana predisposto dal giudice Guido
Salvini. E questo ha mutato completamente la storia del libro.
Normalmente, i libri-inchiesta partono da qualcosa di assodato, magari
il lavoro di qualche magistrato, se non altro per evitare spiacevoli
conseguenze legali, querele e danni che certe accuse possono causare.
Prendono atto delle evidenze assodate e dei fatti riconosciuti in sede
penale, li collegano e cercano di inquadrarli nel contesto storico per
arrivare a conclusioni di tipo generale. Nel caso de Il Segreto della
Repubblica è avvenuto il contrario. La ricostruzione storica fatta nel
libro (che in trent’anni non ha prodotto nessuna querela) è stata in
parte valutata e recepita nella ricostruzione penale. Ci sono voluti
decenni, ma è successo. Ed è successo anche, seppure con minore
clamore, per il primo libro della Flan, L’assassinio di Enrico Mattei.
Ambedue i testi hanno prodotto profonde conseguenze nel mondo
giudiziario. Ambedue sono stati letti e studiati da magistrati. Niente
male per la vecchia Flan, una ratio del 100 per cento. Ne è valsa la
pena. Vediamo, dunque, come
Tale complessiva ricostruzione trova corrispondenza in un documento
molto particolare e precisamente un volumetto, riguardante gli attentati
del 12.12.1969 e soprattutto quanto sarebbe avvenuto, sul piano
politico/istituzionale, dopo gli attentati stessi, quasi sconosciuto
anche agli studiosi del settore e mai preso in considerazione ed
analizzato durante le precedenti istruttorie. [ecco qui una conferma
successiva della “cortina del silenzio”, N.d.A] Si tratta del breve
saggio politico-giudiziario Il Segreto della Repubblica, edito nel 1978
dalle sconosciute Edizioni FLAN e firmato da tale Walter RUBINI.
[...]
Chiave di
volta della ricostruzione operata nel volume pubblicato nel 1978 (che
comunque non contiene, in merito all’esecuzione degli attentati, nulla
che non fosse già noto alle indagini) è il compromesso, appunto Il
Segreto della Repubblica, che sarebbe stato raggiunto il 15.12.1969,
subito dopo il solenne funerale delle vittime della strage di Piazza
Fontana, fra due ampie aree politiche, una autoritaria e quasi
filo-golpista e una più cauta e non disponibile a ridurre gli spazi di
democrazia, compromesso che comportava che il Presidente del Consiglio,
on. Mariano Rumor, non si adoperasse per la dichiarazione dello stato di
emergenza e non decidesse di sciogliere le Camere e che tuttavia in
cambio, quale condizione posta dalla componente autoritaria, si desse
via libera alla prosecuzione della pista anarchica voluta dal Ministero
dell’Interno e si rinunziasse ad approfondire la “pista nera” che
il nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma aveva cominciato a battere con
successo.
… e
come Guido Salvini ha riassunto la tesi del complotto contenuta nel
libro:
-
scissione del P.S.I. e formazione del P.S.U. nel luglio 1969,
presuntivamente appoggiata e finanziata da ambienti americani, e ruolo
di tale Partito nei successivi eventi di spinta verso soluzioni
autoritarie, noti come “strategia della tensione” conseguenti agli
attentati;
- prevista disponibilità, all’interno della medesima strategia (di
cui braccio operativo sarebbero stati Ordine Nuovo e Avanguardia
Nazionale), del Presidente del Consiglio, on. Mariano Rumor, a decretare
lo stato di emergenza e a sciogliere le Camere nella prospettiva della
formazione di un governo di centro-destra con l’esclusione del P.S.I.;
- fallimento di tale strategia
a seguito dei dubbi e dei tentennamenti a mettere in opera tali scelte
da parte dell’on. Rumor, in particolare dopo i funerali delle vittime
della strage del 12.12.1969, e conseguente venir meno dell’obiettivo
politico degli attentati;
- formazione comunque di un
accordo a livello dei più alti vertici politici, compreso l’on. Moro
allora Ministro degli Esteri, affinché non fosse sviluppata la pista
riguardante l’Aginter Press e Avanguardia Nazionale, delineata
nell’appunto del S.I.D. del 16.12.1969 e inizialmente sviluppata da
alcune indagini del Nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma (in
particolare nei confronti di Delle Chiaie) e di conseguenza avesse
sviluppo a livello di indagine di p.g. solo la c.d. pista rossa o
anarchica avviata in particolare dal Ministero dell’Interno.
La descrizione della congiura, un vero e proprio colpo di stato, anche
se più soft di quelli che normalmente gli americani organizzavano
all’epoca, è chiara e lineare.
Ma oggi, rivedendo il tutto, questa impostazione necessita di qualche
precisazione: il fenomeno inquadrato solo su scala nazionale non tiene
conto di quel contesto internazionale che, oggi, ho imparato a conoscere
e valutare. In altre parole non basta più dire che gli americani “ci
hanno provato” in Italia, ma bisogna capire anche perché. Domanda
alquanto interessante visto che gli inglesi, da parte loro, alla fase
“bombarola” della strategia della tensione si sono opposti. Non
solo: le successive scoperte, quali la storia di Gladio e del suo
referente sovranazionale Stay Behind, inquadrano la strage di Piazza
Fontana in una più articolata strategia su scala europea, facendone un
argomento di estremo interesse anche per gli altri membri dell’UE. In
altri termini, dobbiamo capire il movente, il movente politico vero che
ha originato la strategia della tensione: in Italia, certo, ma anche in
molti altri paesi europei. E questo, anche dovessimo aspettare altri
trent’anni per sentirci dare ragione!
Gianfranco
Bellini
Ringraziamenti
Oltre a Paolo Cucchiarelli, senza il quale questo libro non
sarebbe stato ristampato, i miei personali ringraziamenti vanno a tutti
i compagni che in questi decenni hanno contribuito, in un modo o
nell’altro, a mantenere in vita la storia di questo libro. Per quel
che riguarda questa ristampa, un ringraziamento particolare a:
Angelo Colli, preziosissimo Quality Control, Aldo Rota “Merenda”,
Marco Colombo “Kolombo”, Enrico Revello “Stanco”, Giovanni
Franceschi “Tovarish”, Angelo Chiarot “Cugino”, Alberto Basso
“Generale”, mio fratello Andrea, cui debbo tutte le inchieste non
ufficiali sugli eventi del periodo, Vincenzo Colacicco “Il
marxista”, e poi Bruno Chiodi, tutti quelli della “Banda Bellini”
che mi hanno aiutato in questa impresa e, se permettete, i miei
familiari che mi hanno sopportato per così tanto tempo nei miei ricordi
sul 12 dicembre 1969 e in particolare mia madre, purtroppo deceduta.
Note
(1) Il Governo Andreotti – 29.07.1976-11.03.1978 –,
basato sull’appoggio indiretto del Pci e giudicato dal suo stesso
premier come il più impresentabile della pur lunga e discutibile storia
dei governi democristiani.
(2) Prima linea, principale gruppo terroristico di “sinistra” in
Italia dopo le Brigate Rosse; il gruppo reclutava militanti (in piena
buona fede) nelle frange “armate” dei servizi d’ordine che negli
anni settanta avevano sostenuto il confronto di piazza contro fascisti e
organi repressivi dello stato. Secondo una formulazione inedita, il
gruppo era da considerarsi una struttura creata ad hoc per permettere
l’infiltrazione delle allora, apparentemente, impermeabili e
misteriose Brigate Rosse, ripetendo in questo il copione utilizzato dai
servizi segreti in Argentina nei confronti dell’Ejercito
Revolucionario del Pueblo (Erp). L’imprendibile gruppo terroristico
trotskista era stato infatti avvicinato dalla formazione concorrente
Monteneros (peronisti di sinistra) ampiamente infiltrata e teleguidata.
Dopo un periodo di accorta e giustificata cautela ogni sospetto cadde e
la direzione dell’Erp accettò di condurre un’azione militare
congiunta con i Monteneros. Ovviamente di trattava di una trappola
organizzata dai servizi segreti militari che portò alla completa
distruzione dell’Erp e dei Monteneros presenti. Durante l’attacco al
Batallón de Arsenales 601 de Monte Chingolo, 23/24 dicembre 1975, su
duecentocinquanta partecipanti tra Monteneros e membri dell’ERP ben
centoventicinque furono uccisi. Nel caso italiano le BR erano già
ampiamente infiltrate (vedi le opere di Sergio Flamigni e, in
particolare,
(3) Ufficialmente il giudice fu ucciso per fermare alcune sue inchieste
sulle radici del terrorismo rosso. Questo, secondo gli esecutori
materiali e secondo alcuni specialisti. Secondo un’altra versione
pubblicata nella primavera del ’79, pochi mesi dopo l’efferato
omicidio e prima dell’arresto del commando stesso, avvenuto nel 1980
(vedi Spirali n. 5, Maggio 1979), Alessandrini fu ucciso perché aveva
ripreso a lavorare sulla parte “politica” dell’inchiesta sulla
strage di Piazza Fontana, di cui era stato artefice insieme a Rocco
Fiasconaro e Gerardo D’Ambrosio. Non entriamo nel merito. Poiché Il
Segreto della Repubblica esce nel novembre 1978 è possibile che
Alessandrini possa averlo letto, ne abbia apprezzato qualche spunto,
come accadde molti anni dopo al giudice Guido Salvini, abbia condotto
qualche atto che lo avvicinava pericolosamente al “livello dei
mandanti”: magari qualche sequestro di documenti nel dicembre 1978.
(4) Il giornalista Indro Montanelli impegnò due pagine sul Corriere
della Sera per confutare la tesi dell’attentato, ovviamente senza mai
citare il titolo dell’opera che la sosteneva.
(5)
Information Research Department (1945-1976)
(6) Di certo l’IRD contava su tre “attivi” al
Financial Times, cinque per il Times, due per l’Observer, cinque per
il Telegraph e così via. Compito di questi personaggi era condurre la
battaglia della informazione (e disinformazione) del governo inglese.
(7) Tra i testi che citano l’opera segnaliamo, Puppetmasters. The Political Use of Terrorism in