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Abbiamo
ricevuto una lettera firmata da un'insegnante di scuola primaria.
Ricordando sempre che i bambini di oggi sono gli adulti di domani, ve la
proponiamo così come c'è arrivata.
Scuola:
la difficoltà NON è una malattia
Prof. Antonella
Marzaroli
Egr. Direttore,
In veste di insegnante di scuola primaria ho partecipato
recentemente a due corsi di aggiornamento e formazione riguardanti il
primo la “Dislessia e Disturbi Specifici di Apprendimento: che
fare?”, il secondo “l’ADHD, Disturbo da Deficit di Attenzione e
Iperattività”. Ho già presenziato in passato a convegni su questi
temi, mi sono anche documentata da autodidatta e devo confessare il mio
grande sconcerto e la mia perplessità di fronte a terapie
comportamentali, metodologie di intervento, misure compensative e
dispensative proposte da questi “luminari” nei confronti di alunni
etichettati “dislessici” o “affetti da ADHD”, sindrome quest’ultima
alquanto controversa, basti citare una frase del Dr. Fred Baughman in
“The Future of ADD”: “Sia
Durante il corso sulla dislessia e nel materiale avuto in
dotazione viene precisato dai docenti che la dislessia non è una
malattia, ma al termine della prima lezione vengono fatte vedere delle
immagini in cui appaiono dei cromosomi ritenuti responsabili di questo
“disturbo”; viene inoltre detto che è un disturbo a base
neurologica e genetica e che di dislessia non si potrà mai guarire.
Nelle varie lezioni che seguono viene affrontato l’utilizzo di
metodologie di intervento nei vari ordini di scuola e vengono
pubblicizzati programmi (software) per questi bambini etichettati “dislessici”.
Durante un dibattito un’insegnante chiedeva come mai,
visto che non è una malattia, vengano citati i cromosomi e i geni e la
dislessia venga elencata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali (testo di riferimento per la psichiatria di tutto il
mondo). A questo punto rimango veramente sconvolta e scioccata dalla
risposta della docente che, scocciata e alterata emotivamente, le
risponde dicendo che lei non lo sapeva e che quell’insegnante doveva
chiederlo ad un ospedale.
Quello che so è che le malattie sono disfunzioni del corpo umano e se
si è ammalati esiste una scienza oggettiva, la medicina, che attraverso
esami specifici e sensibili, stabilisce una diagnosi e di conseguenza
una terapia.
Alcune correnti psichiatriche affermano che la dislessia
sarebbe dovuta ad alterazioni genetiche; se ciò fosse vero potrebbero
fare diagnosi usando un test genetico, come si fa oggi per qualsiasi
vera malattia genetica; e se così fosse, non sarebbe più di competenza
psichiatrica, vi sarebbero test specifici biologici per confermare la
diagnosi e nessuno ricorrerebbe più ai test attuali (domande, prove di
abilità e questionari, che di scientifico non hanno niente) per fini
diagnostici. Queste prove non esistono, se esistessero distinguerebbero
i sani dai malati!
Durante i miei 25 anni di insegnamento ho visto bambini che avevano
difficoltà di vario tipo: problemi nell’imparare a memoria
filastrocche, tabelline, che invertivano o confondevano suoni simili,
che erano lenti nel leggere o nel fare calcoli… Con molta pazienza,
mettendomi in discussione come insegnante, proponendo loro esercizi
mirati, pongo e oggetti e utilizzando per ogni età un linguaggio a loro
comprensibile, un dizionario per le parole di non immediata
comprensione, una metodologia di studio funzionante, giochi didattici,
ogni alunno è sempre riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati
nella programmazione didattico-educativa.
Non concordo con quanto affermato dalla logopedista durante
il corso, che un bambino se, alla fine della prima elementare o a metà
della seconda, non acquisisce gli strumenti di base, va segnalato. Ma
dove è scritta questa cosa? I bambini non sono robot! Ognuno ha il suo
ritmo di tempo: quello su cui mettere l’accento è che un bambino
interiorizzi e comprenda le conoscenze, acquisisca di conseguenza le
abilità al fine di essere competente e in grado di mettere in pratica.
Non ho mai dispensato nessun bambino dall’uso della lettura, mettendo
al suo posto il computer; il bambino numerose potenzialità e abilità,
sta a noi insegnanti tirargliele fuori. Perché si insiste sul ridurre
tutto a cause psico-fisiche e non didattiche? Anche noi insegnanti
possiamo sbagliare! Da molti anni a questa parte si assiste ad un
declino dell’istruzione e dei valori tradizionali e sono questi che
noi dobbiamo ristabilire.
Ricordo che durante il dibattito un genitore di una bambina
dislessica parlava male dell’insegnante di sua figlia. Allora io dico:
è stata l’insegnante la causa del problema di sua figlia, non la
figlia!!! La scuola è un luogo di istruzione e vi devono lavorare
professionisti, che abbiano una metodologia di studio funzionante per i
loro studenti, che amino i loro studenti, che li comprendano, li aiutino
nelle difficoltà della vita.
Per quanto riguarda invece il corso sull’ADHD sono rimasta senza
parole quando durante il corso una docente, oltre ad aver precisato la
mancanza di prove scientifiche riguardo questo “disturbo”, le
chiedeva come faceva l”esperta” a pubblicizzare nell’Associazione
di cui lei fa parte il metilfenidato, che altro non è che il
principio attivo del Ritalin, un derivato dell’anfetamina,
farmaco utilizzato per la cura dell’ADHD, che ha causato la morte di
molti bambini.
A questo punto l’”esperta” risponde dicendole che era
tardi, in realtà il corso doveva chiudere alle 19, che né lei né
l’insegnante erano un Neuropsichiatra infantile e che a lei non
interessava. Questa è la responsabilità di un ex-insegnante a cui
dovrebbero stare a cuore i bambini? Dare uno psicofarmaco a un bambino
è avvelenarlo, non curarlo!
Ero sconvolta! L“esperta”, ex-insegnante elementare, fa corsi
sull’ADHD, promuovendo terapie comportamentali su bambini etichettati
“affetti da questo disturbo”, sul quale non risulta essere stata
scoperta nessuna anormalità fisica o disfunzione, e nel sito
dell’Associazione di cui lei fa parte c’è scritto:”Numerosi studi
hanno dimostrato che farmaci psicostimolanti, come il metilfenidato,
sono particolarmente efficaci nel migliorare sia il deficit attentivo
che l’iperattività”. Questo farmaco è una droga; in uno studio
della DEA (ente governativo USA) si legge: “All’uso prolungato di
metilfenidato sono stati associati episodi psicotici, illusioni
paranoiche, allucinazioni… . Sono state riportate gravi conseguenze
fisiche e la possibilità di morte”. Gli effetti collaterali
includono: “cambiamenti di pressione sanguigna, angina pectoris,
perdita di peso, psicosi tossica. Durante la fase di astinenza c’è la
possibilità di suicidio”. Inoltre Terry Woodworth, vicedirettore
della Dea, l’Antidroga, dice: “Il Ritalin, ridotto in polvere e
sniffato, produce euforia”. Per parecchi ragazzi è l’anticamera di
droghe anche pericolose (Lawrence Diller, un pediatra autore di Correre
col Ritalin).
Concludo la mia lettera richiamando l’attenzione degli
insegnanti sul nostro scopo: istruire i nostri alunni, non
stigmatizzarli, etichettarli, per poi farmacologizzarli.
Io non attuerò mai certe terapie sugli alunni.
Ricordiamoci una cosa: come eravamo noi da piccoli? E’ con una
pillola, con false etichettature che abbiamo capito? Se un bambino ha
difficoltà a scuola ciò potrebbe essere dovuto al fatto che è molto
creativo, o molto intelligente, o con difficoltà nell’ambiente che lo
circonda e ha bisogno di aiuto e comprensione in modo che questo non
comprometta il rendimento scolastico. Un buon insegnamento può salvarlo
da “etichette” che comunque lo faranno sentire diverso. Tutti i
bambini del mondo possono avere delle difficoltà a scuola; chi non ne
ha mai avute?
Problemi di relazione con la famiglia o con
un’insegnante, alti livelli di piombo, mercurio, i pesticidi, troppo
zucchero, possono provocare i sintomi dell’ADHD.
Allora io dico stop a questo nascosto e subdolo programma creato dalla
psichiatria per controllare i nostri bambini, e di conseguenza la società
del futuro, creando malattie inesistenti. Apriamo gli occhi!
Prof. Antonella Marzaroli
Ritalin Man della Ciba Geigy Corporation