Screening per il tumore alla mammella
Tratto dal libro “La fabbrica dei malati” di Marcello Pamio

Oggi si invitano le donne sopra una certa età (40 o 50 anni) a fare una mammografia per prevenire il cancro al seno.
La mammografia è in grado di ridurre la mortalità di cancro?
Stando ad una intervista fatta a un campione di donne italiane sembrerebbe proprio di sì. In uno studio del 2004 (Gianfranco Domenighetti et. al.) l’81% delle donne italiane interpellate pensa (erroneamente) che “lo screening mammografico annulli o riduca il rischio di ammalarsi in futuro di un cancro al seno”.

Come detto prima un esame diagnostico NON può “ridurre il rischio di ammalarsi”, perché un esame vede o non vede ciò che c’è o non c’è (e vede anche malissimo!).
Per cercare di capire se la mammografia è realmente utile il Cochrane Collaboration (il nome completo sarebbe Nordic Cochrane Centre ed è l’organizzazione internazionale indipendente senza scopo di lucro, che non riceve quindi finanziamenti dall’industria e che analizza oggettivamente e scientificamente le pubblicazioni ufficiali) fa al caso nostro.
Questo istituto esamina i dati secondo la “revisione sistematica” che attualmente è il modo più scientifico e rigoroso conosciuto. In pratica, invece di scorrere a caso la documentazione di ricerca, scegliendo qua o là gli articoli, che magari confermano le proprie convinzioni, si affronta tutto in modo molto scientifico e sistematico, lo stesso procedimento di ricerca dei dati scientifici, assicurandosi che i propri dati siano quanto più possibile completi e rappresentativi di tutti gli studi che sono mai stati fatti. È in pratica la sintesi per eccellenza delle prove che indicano se un trattamento è efficace.
L’obiettivo dello studio effettuato da questo istituto era capire la Riduzione della mortalità (dopo 7-13 anni) grazie allo screening mammografico in donne di 50-74 anni di età e i risultati sono stati pubblicati nel 2006 da Cochrane Systematic Review.

I risultati hanno formato due versioni contrastanti: una per così dire visione pessimista e una visione ottimista
Il campione dell’indagine era costituito da:

- 2000 donne con età variabile dai 50 ai 74 anni che aveva fatto una mammografia ogni 2 anni per ben 10 anni;

- 2000 donne con età variabile dai 50 ai 74 anni che non avevano fatto alcun esame.

I risultati dello studio (pubblicato sul British Medical Journal) possono venire interpretati in due diverse visioni: una pessimista e l’altra ottimista.

Visione pessimista
La conclusione dello studio è la seguente:
Per ogni 2000 donne partecipanti allo screening una avrà, dopo 10 anni, la vita prolungata (1 decesso per tumore al seno evitato rispetto a 2000 donne che non hanno fatto la mammografia).
Dieci (10) donne saranno trattate per un tumore al seno in modo non necessario (sovratrattamento)”.
Riportando il campione standard a 1000 donne e semplificando i conti, si ottiene che ci sono 0,5 decessi (quindi statisticamente si parla di mezzo decesso) evitati per 1000 donne che fanno la mammografia per 10 anni rispetto a 1000 donne che non si sottopongono allo screening mammografico!

Visione ottimista
La conclusione dello studio è la seguente:
Per ogni 1000 donne partecipanti allo screening due avranno, dopo 10 anni, la vita prolungata (2 decessi per tumore al seno evitati rispetto a 1000 donne che non hanno fatto la mammografia). 242 donne avranno una sospetta diagnosi di cancro al seno non confermata dopo ulteriori esami (falsi positivi), 50 donne subiranno una biopsia chirurgica di approfondimento, 5 donne avranno un cancro al seno, ma l’esame non lo rivelerà (falsi negativi)”.

La seguente tabella illustra nel dettaglio i dati.

Visione ottimista

 

Screening

N=1000 donne

Non screening

N=1000 donne

Falsi positivi: diagnosi di cancro al seno non confermate dopo esami

242

-

Biopsie chirurgiche di approfondimento

50

-

Falsi negativi

5

-

Diagnosi di tumore

33

20

Sovradiagnosi: diagnosi di tumori al seno che non sarebbero evoluti

3-15

-

Decessi per tumore

4

6

Decessi evitati

2

-

Fonti: Varie (Barrat et al B.M.J. 2005; NHSBSP 2006; NCI 2006; Zackrisson B.M.J. 2006)

Quindi la mammografia eseguita per ben 10 anni da 1000 donne rispetto a 1000 donne che non hanno fatto nulla, fa evitare:

- 0,5 decessi     à visione pessimista
- 2 decessi       
à visione ottimista

Stando ai dati ufficiali i risultati della mammografia sono alquanto insoddisfacenti. Se poi teniamo in considerazione alcune altre cose emerse il quadro si tinge di grigio…
Tra le 1000 donne che fanno lo screening ben 242 (vedere tabella) hanno ricevuto una diagnosi errata: il famoso “falso positivo”.
In pratica oltre il 24% (nello screening per il cancro al pancreas abbiamo visto che i “falsi positivi” erano dell’ordine del 70%) delle donne che eseguano normalmente la mammografia rischia di ricevere una diagnosi infausta di tumore, quando in realtà il tumore non c’è!
E dal punto di vista psicologico ed emotivo? Andare a casa con la convinzione di avere un tumore nel seno. Il pensiero si sa è in grado di modificare la realtà, e questo lo si vede nell’effetto placebo, ma negativamente anche nell’effetto nocebo.
Quali saranno le conseguenze di queste diagnosi errate sulla psiche e la vita delle donne?

Sono utili o no le mammografie?
Per l’American Cancer Society, no! Da sostenitrice convinta degli screening, questa società ammette di avere qualche dubbio sulla loro efficacia in particolare per la mammografia e il Psa per il cancro alla prostata.
A 20 anni dall’inizio degli screening, una ricerca ufficiale ha fatto il bilancio che porta gli oncologi americani a contestarne la validità: “i programmi di screening non hanno dato i risultati sperati”.
In un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera: “L’American Cancer Society fa retromarcia. Da sostenitrice convinta degli screening per la diagnosi precoce dei tumori, ammette ora di avere qualche dubbio sull’efficacia, in particolare, delle mammografie e dei test del Psa per il carcinoma alla prostata”.
Continua l’articolo dicendo: “A 20 anni dall’inizio degli screening, per il cancro alla prostata e al seno, infatti, una ricerca (del Cochraine, nota dell’autore) ha fatto un bilancio che porta gli esperti Usa a contestarne la validità”.

Nel 1992 sono stati pubblicati i risultati di un grande studio randomizzato canadese.
Il gruppo di intervento eseguì sia la mammografia che l’esame clinico, mentre il gruppo di controllo non eseguì nulla. La differenza sta nel fatto che questo studio considerava solo donne dai 40 ai 49 anni. Il risultato fu sorprendente: lo screening non riduceva i decessi per cancro alla mammella.
Alla fine del 1992 nove dei dieci trial randomizzati sull’efficacia dello screening mammografico erano stati completati e pubblicati sulla letteratura scientifica. Nessuno di questi studi dimostrò una riduzione della mortalità nelle donne più giovani.
La mammografia non riesce ad evidenziare almeno il 25% dei tumori che sono destinati ad apparire nel corso dell’anno seguente. Questo potrebbe essere dovuto da una parte al medico radiologo che non è in grado di leggere e interpretare correttamente le immagini, dall’altra al fatto che al momento dell’esame il tumore effettivamente non c’è, ma che inizia a formarsi subito dopo.

Un altro imponente studio di follow-up eseguito in New Messico su 215.000 donne che avevano avuto una mammografia normale, ha dimostrato che il rischio di queste donne di sviluppare il cancro nei seguenti 7 anni era esattamente lo stesso di quello delle donne della stessa età nella popolazione generale.
Avere in mano una mammografia negativa, dove cioè l’esame non ha riscontrato nulla di anomalo nel seno, non protegge quella donna dal manifestare il tumore più avanti nel tempo, e soprattutto non riduce la mortalità rispetto alla popolazione in generale.

(…)

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Note del capitolo

(1) Placebo, deriva dal futuro del verbo latino “placere” e significa “piacerò”. Si tratta di una sostanza inerte, priva di principio terapeutico, o di un provvedimento non farmacologico (consiglio, conforto, ecc.) che provoca un effetto positivo su un sintomo o addirittura una malattia. Studi in cieco hanno dimostrato in patologie con una rilevante componente psicosomatica un effetto placebo fino all’80%.

(2) L‘effetto nocebo’ (dal latino nocere, nuocere), in medicina è altrettanto potente quanto quello ‘placebo’. La scienza è al corrente che il pensiero può far guarire ma anche ammalare; le parole possono trasmettere messaggi che danno o che tolgono speranza.

(3) Miller A.B., Baines C.J. To T et al. Canadian National Breast Screening Study : 1. Breast cancer detection and death rates among women aged 40 to 49 years. Canadian Medical Association Journal 1992; 147:1459-76