Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Il
segreto del capitale
Maurizio Blondet - “Schiavi
delle banche” – www.effedieffe.com
Avete accumulato un
piccolo o grande risparmio: 50 mila euro, 100 mila. Anche 500 mila, se
siete un dentista o un bottegaio. La propaganda del capitalismo
terminale vi invita, anzi vi spinge, vi obbliga a farlo fruttare: nel
futuro, vi dice la sirena seduttrice, vi ritroverete con una bella
somma, ben accresciuta, che renderà serena la vostra vecchiaia.
Voi, perciò, affidate i vostri risparmi a un fondo d'investimento, a un
fondo pensione. Se i risparmi sono alti, a una società di gestione dei
patrimoni. Ogni fondo ha un gestore: un esperto, uno che sa -
diversamente da voi - come far fruttare i vostri soldi. Li impiega in
azioni e obbligazioni, da esperto qual è: i titoli più lucrosi, nel
mix più sapiente.
La realtà è un po' diversa.
La prima cosa che fa' il gestore, appena ricevuti i vostri soldi, è:
comprarsi la Mercedes più grossa sul mercato, aggiungervi una Porsche
per i suoi week-end, accaparrarsi un attico di lusso. Per vivere da
ricco.
La Mercedes nuova del gestore dovrebbe suscitare qualche sospetto. Si
sta occupando davvero di far diventare ricchi noi? La Mercedes l'ha
comprata coi soldi nostri; fossero stati suoi, magari, avrebbe scelto un
modello più economico. Speriamo almeno che accresca il nostro
risparmio, il nostro modesto capitale.
In
realtà, i gestori dei fondi, in media, non riescono quasi mai a battere
l'indice. Lo hanno provato studi seri (1): perdono soldi più o meno
come avreste fatto voi, se aveste giocato in Borsa personalmente.
Almeno vi sareste rovinati da soli, senza pagare commissioni. Perché
questo è il punto: perda o vinca, per il gestore è lo stesso. Lui,
guadagna sempre: si fa pagare per gestire i vostri risparmi. In
anticipo. Grasse commissioni. Il capitale, del resto, mica è suo: è
vostro. Suo è il lucro.
Ancor peggio, se vi consigliano di mettere i soldi in azioni. Dicono in
America: sulla porta di Wall Street (la Borsa) c'è una scritta: Caveat
Emptor, stia attento il compratore. Ma questa scritta la vedono solo gli
esperti, gli speculatori professionali. E, loro, non hanno nessun
interesse ad aprirvi gli occhi, perché la vediate anche voi.
Anzitutto, non vi avvertono che la Borsa è come la caccia alla volpe:
un gioco per grandi abbienti. Anche negli Stati Uniti, dove tutti hanno
qualcosa in azioni, il 10 per cento delle famiglie detiene l'86 per
cento dei titoli. Uno degli scopi primari (e il meno confessato) della
Borsa è di fabbricare capital gains (profitti sul capitale) per
consentire ai miliardari di evitare le tasse: il prelievo fiscale sui
redditi di lavoro è aggressivamente progressivo, sui capital gains o è
zero, o è a percentuale piatta (non aumenta col reddito). Ma la Borsa
serve anche per fabbricare perdite, in modo da compensare profitti:
sempre per consentire ai signori di sfuggire al fisco.
Tuttavia,
la Borsa ha bisogno dei piccoli risparmiatori. Altrimenti, essendo un
gioco a somma zero (2), chi potrebbero spogliare i professionisti
dell'azzardo?
Da qui l'invito generale, nei tempi del capitalismo ultimo, a diventare
tutti azionisti.
Lo chiamano capitalismo democratico: senza dire che esso presenta per il
padronato alcuni vantaggi collaterali. Per esempio, se un'azienda paga i
suoi lavoratori, in parte, con proprie azioni (come avviene in Usa, e si
vorrebbe cominciare a fare in Europa), su quell'emolumento non deve
sborsare i contributi previdenziali. Cercano di stimolare persino il
vostro patriottismo: mettendo i risparmi in Borsa, finanziate le aziende
italiane (non è vero: le imprese si finanziano sul mercato dei titoli
solo in percentuale marginale; per lo più s'indebitano con le banche,
emettono bond od obbligazioni, o presso merchant bank).
Sempre più seducente, si ripete l'urgente invito a investire i risparmi
nei fondi, anche per assicurarsi la pensione: tra vent'anni, il vostro
pacchetto di azioni avrà preso un bel valore, e potrete cominciare a
realizzarlo. E' una frode (3): le azioni, fra vent'anni, saranno quasi
sicuramente ribassate. Per il solo fatto che allora ci saranno meno
italiani di oggi, e quindi la domanda di azioni sarà più debole.
Negli anni '70, un analista americano di nome Gelvin Stevenson provò a
confrontare le performances borsistiche secondo le varie classi di
reddito: scoprì che chi ha redditi alti vince, e chi ha redditi bassi,
tendenzialmente, perde. E che perde tanto più, quanto più il suo
reddito è basso.
Fino
a pochi anni fa, gli agenti di Borsa - mediatori necessari, se volete
acquistare azioni - erano una casta chiusa, un monopolio. Questi
sacerdoti del mercato e del rischio, stranamente, si erano protetti da
ogni rischio, e dalla concorrenza sui prezzi. Si facevano pagare in
commissioni fisse. Ancor oggi, che vincano o perdano (coi soldi vostri),
ha poca importanza: loro incassano per ogni transazione che operano a
vostro nome.
A volte comprano e acquistano coi soldi vostri, solo per accrescere il
loro onorario. Diversi anni fa, a New York, un povero risparmiatore di
nome Guy R. Pierce affidò il suo modesto gruzzolo, 3 mila dollari, agli
agenti Richard, Ellis & Co. Nel giro di un mese, Pierce ritrovò il
proprio patrimonio ridotto a 110,98 dollari in liquidità e 50 dollari
in azioni.
Come scoprì il giudice a cui il malcapitato si rivolse, il suo agente
era giunto ad operare sul conto del cliente, in un mese, "fino a 15
acquisti di un solo titolo per complessivi 31 mila dollari, e
altrettante vendite di quel solo titolo per oltre 26 mila dollari. In un
caso il broker vendette allo scoperto un titolo per ricomprarlo lo
stesso giorno, perdendo in entrambe le transazioni". Per questa
splendida performance, la Richard, Ellis & Co. addebitò a Pierce
commissioni per 1022 dollari.
Il capitalismo terminale, finanziario, come tende a retribuire il minimo
possibile il lavoro, così tende a non retribuire il risparmio. In ogni
caso, la sua vittima predestinata è il lavoratore-produttore, colpito
da due parti: da salariato, e da risparmiatore.
Il risparmio è una sciagura, di questi tempi. Come Pinocchio, incauto,
mostra al Gatto e alla Volpe i suoi zecchini d'oro, così accade a voi
risparmiatori quando mettete il denaro risparmiato in banca. In tal
modo, il Gatto e la Volpe sono al corrente di quanto avete. Da quel
momento, hanno un solo pensiero: portarvi via i soldi. Già il bancario
allo sportello, ben istruito, vi fa' notare che tenete cifre troppo
grosse sul conto corrente, che non rende niente (ma non è la banca a
fare in modo che non renda niente?). Mettetelo nei nostri fondi, il
vostro capitale. Che rendono il 3, il 5. Detratte, come ovvio, spese e
commissioni. A Pinocchio, il Gatto e la Volpe parlarono di un favoloso
orto, dove gli zecchini, seminati, avrebbero generato alberi di
zecchini, con frutti d'oro.
Voi
risparmiatori venite convinti, né più né meno di Pinocchio, che quel
campo dei miracoli esiste. E dove sia, lo sa solo il gestore.
Invece, se proprio le cose vanno bene - se la Borsa sale, una situazione
in cui anche gli inesperti guadagnano - il gestore sì farà fruttare il
vostro risparmio il 7, anche il 18 per cento; ma a voi, fateci caso, sarà
attribuito il 4, o il 14 per cento. Il resto, arricchisce i gestori.
Se le cose vanno male in Borsa e il gestore (come sareste capace di fare
anche voi) perde, il danno è tutto vostro. Non rivedrete più il vostro
capitale. Ve ne daranno due o tre motivi.
Primo: "non le conviene uscire adesso". Secondo: "il suo
capitale, in questo momento, non è liquido" (i titoli non sono
realmente liquidi, ossia vendibili in tempi di crisi, di calo rapido dei
corsi: nessuno li compra). Fino al terminale argomento: "il suo
capitale è perduto. Non sapeva di averlo impiegato in un investimento a
rischio?".
E' il metodo del Gatto e della Volpe. Il vostro capitale, per loro, è
un fastidioso passivo: perché devono pagarvi qualcosa, un interesse, un
frutto, sborsandolo di tasca loro. L'attivo, per loro, non è il vostro
capitale, sono i frutti che loro possono introitare, moltiplicati, dal
vostro risparmio. Quelli, se li tengono loro quanti più possono.
Ma allora che fare? Lasciare i soldi in banca, su conto corrente che non
rende niente? Perché almeno sono liquidi, cioè li potete ritirare in
ogni momento? Ah, poveri imperdonabili Pinocchi: voi ignorate tutto
della banca, ignorate i trucchi del credito, ignorate gli impegni che
avete assunto quando avete messo i soldi in banca. E' appunto sulla
vostra ignoranza che ingrassano i finanzieri, gli speculatori, i
banchieri. Il trucco comincia lì, proprio nella banca.
La banca vi fa' credere che presta il vostro denaro ad attività
produttive. Se avete messo 100 mila euro in deposito, essa presta - vi
fa' credere - i 100 mila euro a un imprenditore che chiede un fido. Così
spiega la forbice fra il tasso passivo che paga a voi - l'1 per cento
d'interesse, che con l'addebito delle spese diventa lo 0 per cento, o
addirittura un interesse negativo (e voi già ci perdete, per il solo
fatto di aver affidato i soldi alla banca) - e il tasso attivo che fa'
pagare all'imprenditore, indebitandolo: il 7 per cento, magari il 12 o
più.
Voi
credete che questo sia il lucro della banca: 7 meno 1, 12 meno uno. In
percentuale su quei 100 mila euro, fa' un guadagno di 7mila o 12mila. Un
po' eccessivo, ma insomma la banca corre dei rischi: l'imprenditore può
diventare insolvente, la banca ha delle spese. Il lucro è legittimo.
Così credete voi. Ma la banca, sul vostro deposito, in realtà lucra
non il 7 ma il 28%, non il 12 ma il 48%. La banca ha davvero scoperto il
campo moltiplicatore degli zecchini; solo, non ve ne fa partecipi. A
voi, riconosce solo l'1 per cento.
Come avviene? Dov'è il trucco?
Il trucco è: quando voi depositate in banca 100 euro, la banca può
creare fra i 10 e i 20 prestiti da 100 euro ciascuno: ossia
"crea" moneta per mille o duemila euro. Nei paradisi fiscali,
dove non si richiedono riserve obbligatorie, anche di più, fino a 10
mila euro. E su tutto quel denaro inventato e dato a prestito la banca
lucra gli interessi.
Ma come fa' la banca, obietta Pinocchio, a prestare denaro che non ha in
cassa? Può perché sa che i depositanti non ritireranno tutti insieme
la totalità dei loro depositi, né i debitori realizzeranno di colpo i
loro fidi (4). Lo faranno a poco a poco, secondo necessità; lo faranno
per lo più emettendo assegni, non ritirando contanti. Basterà il
flusso di cassa (il debitore paga gli interessi con denaro vero) per
consentire alla banca di pagare contanti ai depositanti, relativamente
pochi, che chiedono soldi veri. Per mantenere il pubblico nell'illusione
che la banca è solvente, che i soldi li ha (5).
Ma quei soldi, non sono altro che scritture contabili. Tra l'85 e il 95
per cento del denaro circolante è creato dalle banche. Attraverso
l'apertura di credito. Moneta-credito. Moneta scritturale, come si dice
nel gergo della banca. O anche, in America: moneta creata dall'aria,
fiat money. O come dice Maurice Allais, l'unico economista Nobel
affidabile: moneta creata ex nihilo (6).
"Ex nihilo": può essere più chiaro? Ezra Pound, che aveva
compreso il trucco, ne era diventato quasi pazzo nello sforzo di
avvertirne il pubblico, di gridarlo in versi ruggenti, di svegliare
Pinocchio, l'ingannato, dalla sua auto-illusione. Citava di continuo la
definizione che l'Enciclopedia Britannica, monumento del pensiero
politicamente corretto, dava della banca: "la banca lucra gli
interessi dal denaro che crea dal nulla". (7) Ogni banca, avendo in
cassa depositi per cento euro, paga per quel deposito l'1 per cento; poi
ne presta almeno 400 al 7 per cento, lucrando 28 euro di interessi.
Si
può essere più chiari di così?
Ma Pinocchio continua a dormire: noi, voi. Pound sapeva anche questo, e
citava una frase che il primo lord Rotschild avrebbe pronunciato nel
1861: "pochissimi capiranno il sistema, e quelli che lo capiranno
saranno occupati a far soldi. Il pubblico probabilmente non capirà che
è contro il suo interesse".
E' così. Talora, in certi momenti roventi della storia economica,
specie in Usa, le banche hanno creato denaro dal nulla in percentuali
enormi, senza il più flebile rapporto coi depositi di cui avevano
l'affidamento. In quei rari momenti, tragici crack che rovinavano
milioni di uomini e donne, il loro bluff è stato rivelato: troppi
depositanti si sono precipitati allo sportello per riprendersi i soldi,
e si è visto che la banca, quei soldi, non li aveva. Ma da tempo hanno
imparato la quota di espansione della moneta falsa che non inquieta i
gabbati risparmiatori.
Nei paesi europei, questa quota è fra quattro e sei volte i depositi.
Da noi per esempio, con una riserva obbligatoria del 15%, le banche
possono, su depositi ammontanti a 2 milioni di euro, fare crediti per
11.333.333 milioni: quasi il sestuplo. E sulla differenza, 9.333.333, la
banca estrae gli interessi.
E' denaro falso. E' denaro vuoto. Ma il denaro, anche falso, comanda il
lavoro: l'imprenditore che ha ottenuto un fido fa' sgobbare gli operai e
funzionare i macchinari, per guadagnare tanto da restituire i ratei del
capitale con gli interessi. Così il denaro vuoto si riempie con la vera
fonte della ricchezza, che è il lavoro e il sudore degli uomini.
Ma così, la banca preleva continuamente un tributo occulto su tutte le
attività produttive dell'uomo. Ogni lavoratore, ogni imprenditore, è
suo schiavo. Basta che la banca espanda il credito (crei pseudo-capitale)
e vedrete i lavoratori accelerare il ritmo, sudare e affannarsi come
burattini impazziti per pagare gli interessi sul debito, su quel denaro
falso; basta che restringa il credito, e i lavoratori saranno licenziati
a migliaia.
Anche
se noi, personalmente, non prendiamo a prestito denaro dalle banche,
tuttavia paghiamo degli interessi, senza saperlo, come consumatori.
Infatti ogni prezzo che paghiamo, ogni merce o servizio che compriamo,
contiene un certo ammontare di interessi. Margrit Kennedy, una
economista del centro-studi Hermann Institut Deutschland, ha provato a
determinare la quota d'interessi che paghiamo (alle banche) per alcuni
servizi pubblici in Germania. Per la raccolta dei rifiuti (un'attività
che impiega poche macchine e molta manodopera), tale quota è il 12% del
prezzo. Per l'acqua potabile, il 38%. Per l'edilizia popolare, il 77%.
In media, su tutti i beni e i servizi, paghiamo il 50% di interessi.
Nei tempi medievali, i sudditi pagavano al signore feudale, o alla
Chiesa, "la decima", ossia solo il 10% dei loro introiti. Oggi
paghiamo cinque volte la decima ai prestatori di capitale. Il
feudalesimo non è tramontato; s'é rafforzato, sotto altra forma.
La sola salvezza sarebbe non stare al gioco. Ridurre l'indebitamento
delle famiglie e delle industrie, e degli Stati. Ma le banche non lo
consentono: esse vogliono indebitare il mondo, perché il mondo lavori
per esse.
Ecco perché Ezra Pound scrisse quella frase strana, per avvertirci:
"un popolo che non s'indebita fa' rabbia agli usurai".
Perché sarebbe ben possibile allo Stato emettere moneta libera da
interessi, moneta liberatrice dalla schiavitù delle banche e dalla
necessità d lavorare per le banche. Ma questa prerogativa è, in
Europa, positivamente vietata dal Trattato di Maastricht, nell'articolo
104.
Perché le banche indebitano, in modo primario ed essenziale, i governi.
Gli Stati. Questi non possono stampare moneta; devono emettere Buoni del
Tesoro, titoli in cui riconoscono il loro debito, e consegnarli alla
Banca Centrale, che emette moneta per un valore pari ai titoli emessi.
In tal modo, anche sulla moneta della nazione la banca - perché la
Banca Centrale è dovunque proprietà privata delle banche - preleva un
interesse, i frutti dei Buoni.
Solo
pochi statisti hanno osato stampare moneta di Stato, non gravata da
interessi. Quei pochi, pochissimi, hanno provato sul loro corpo la
rabbia degli usurai. Nessuno di loro è morto tranquillo nel suo letto.
Alla fine del 1862 Abramo Lincoln ebbe bisogno di 449 milioni di dollari
di allora per finanziare la guerra di secessione, in pieno corso. Le
banche si offrirono di creare quella moneta con il solito metodo: ma
chiesero il 30% d'interesse, per via dei rischi della guerra che
rendevano lo Stato debitore a rischio d'insolvenza. Lincoln allora
ricorse al potere che gli veniva dalla costituzione americana, articolo
1: sottopose al Congresso, che l'approvò, la proposte di emissione di
banconote di Stato (greenback), prestito che il popolo può fare a se
stesso, senza pagare gli interessi.
In piena guerra, si videro l'agricoltura e l'industria nordiste tornare
a fiorire. Il lavoro umano, comandato da denaro abbondante, riempì quei
biglietti di ricchezza reale. Nel 1864 Lincoln si ricandidò alla
presidenza, dichiarando pubblicamente la sua intenzione di continuare ad
emettere moneta di Stato, invece che acquistarla ai banchieri di Londra.
Secondo una tradizione difficile da controllare, il superbanchiere
londinese sir Goschen (ebreo) disse ai suoi pari: "se questa insana
politica finanziaria perdurasse, quel governo fornirà la propria moneta
a costo zero. Non avrà alcun debito. Avrà tutto il denaro necessario
per i suoi commerci. Questo governo dev'essere distrutto, o distruggerà
ogni monarchia del mondo". Era l'inizio del 1865. Il 14 aprile
dello stesso anno, Lincoln cadeva sotto le revolverate di un sicario.
Era accaduto già ad Alexander Hamilton, il segretario al Tesoro di
George Washington, fondatore della banca nazionale americana,
emettitrice di banconote di Stato: fu ucciso in duello, non ancora
cinquantenne, da uno spadaccino professionale.
Sarebbe accaduto anche a Hitler, colpevole di aver ridotto al minimo le
transazioni valutarie nei commerci internazionali, sostituendolo con un
sistema di scambio di merci fisiche.
Anche su Ezra Pound, come sappiamo, calò la vendetta degli usurai. Egli
aveva cercato di proclamare al mondo il trucco del capitale: i soldati
americani lo esposero in una gabbia nella Pisa liberata. Poi, per 13
anni, fu recluso in manicomio. Il più grande poeta americano.
di
Maurizio Blondet
Note
[1] J. Nikonoff, La comédie des
fonds de pension, Parigi 1999.
[2] A somma zero è ogni
gioco in cui se uno dei giocatori guadagna, è perché altri giocatori
hanno perso la stessa cifra. La roulette, anzi ogni gioco d'azzardo, è
un gioco a somma zero. L'economia reale non è un gioco a somma zero
persino nel caso peggiore: quando io compro un televisore o un orologio
potrò perderci qualcosa (se lo pago più del dovuto), ma entro pur
sempre in possesso di un bene reale, che vale più di zero. Nei casi
migliori, l'economia è un gioco in cui, più o meno, tutti guadagnano.
L'economia non è una torta da cui si tagliano fette più sottili,
quanti più sono gli invitati. L'economia è il pasticciere capace di
fare una torta più grande, quando ci sono più invitati.
[3] La demografia lo predice
ineluttabilmente: la generazione attualmente matura, quella del baby
boom, è molto numerosa. Affollando la Borsa, fa' rincarare le azioni.
In vecchiaia dovrà realizzare, ossia vendere le azioni che ha
acquistato oggi, in tempi di forte domanda; e le venderà alla prossima
generazione, che è molto meno numerosa (e meno ricca). Quindi ci sarà
un'offerta eccessiva di azioni, e una debole domanda. Bisognerà
svendere le azioni. Allora i gestori dei fondi, che dovevano garantirvi
la vecchiaia, vi diranno: "è la legge del mercato".
Cfr. Bernard Maris, O la Borsa o la vita, Milano 2001, p. 70.
[4] Fu la famiglia ebraica Del Banco, a Pisa, nel '200, a inventare il
giroconto, la girata sugli assegni e sui conti fra cambiavalute, la
tecnica bancaria che consente la moltiplicazione della moneta
scritturale, la creazione dal nulla. I Del Banco cambiarono poi nome nei
secoli: in Germania si chiamarono Kassel, poi von Warburg; emigrati in
America, divennero i banchieri Warburg.
[5] Le banche temono sommamente, infatti, la corsa dei depositanti agli
sportelli, come avviene in caso di crisi. Avvenne nel '29, è avvenuto
nel 2000 in Argentina. Allora si vede il bluff: i conti che il cliente
crede liquidi, immediatamente disponibili, non lo sono affatto. In
Argentina, i depositanti hanno potuto ritirare solo 100 dollari a
settimana. Anche in Italia, chi chiede più di 2500 euro in contanti dal
suo conto, deve dare un preavviso di tre giorni. Il denaro,
semplicemente, non c'è.
[6] "Essenzialmente, l'attuale creazione di denaro ex nihilo
operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da
parte di falsari. In concreto, i risultati sono gli stessi. La solo
differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto" (Maurice
Allais, La crise mondiale aujourd'hui, Parigi 1991).
[7] Come ha scritto uno che il trucco lo ha praticato: "solo a
posteriori l'osservazione del bilancio di ogni banca fa' apparire che
essa ha trasformato certi depositi in certi crediti. Mentre il processo
fondamentale [del funzionamento bancario] è esattamente inverso: le
banche prese nel loro insieme creano dei crediti, che solo in seguito
alimentano con le masse monetarie e semi-monetarie [col flusso degli
interessi lucrati sul denaro ex nihilo]". Il sincero esperto in
questione è Jean-Yves Haberer, ispettore alle finanze del governo
francese, segretario di Stato (1986-88), e presidente esecutivo del Crédit
Lyonnais (Haberer, Monnaie et politique, Parigi, 1996, p.240).