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Il caso Sabina
Guzzanti è l’ultima dimostrazione: Berlusconi controlla sempre di più
la tv italiana.
Secondo il «Guardian» l’Italia sembra la Spagna di Franco.
Umorismo
per pochi
di John Hooper - «The Guardian» - tratto da «Internazionale» nr.517,
dicembre 2003
Vivendo in Italia,
capita di dover andare in un negozio di computer o su un’autostrada a
sei corsie giusto per ricordarsi di essere davvero in una pese civile e
progredito.
L’ex avvocato del primo
ministro è stato condannato per aver corrotto un giudice con denaro
proveniente da un conto aperto da un dirigente dell’azienda al vertice
dell’impero economico del premier. Il parlamento sta approvando una
legge per invalidare una sentenza della Corte costituzionale che avrebbe
indebolito il controllo del premier su quello che i suoi elettori
guardano in tv.
Ma quel che è successo la scorsa settimana ha evidenziato, come mai in
passato, i limiti dei che i sostenitori e i dipendenti di Berlusconi
possono imporre a ciò che si vede sulle tv pubbliche. Il gruppo
Mediaste ha annunciato che chiederà venti milioni di euro di danni alla
Rai e ai produttori di un programma satirico condotto dall’attrice
comica Sabina Guzzanti. Mediaste sostiene di essere stata gravemente
diffamata nella prima – e unica – puntata di quella che avrebbe
dovuto essere una serie. Dice che la sua attività ne ha risentito.
Anche molti politici di destra che appoggiano il governo si sono detti
oltraggiati dall’umorismo della Guzzanti, definendo il suo spettacolo
uno sproloquio di sinistra. La semplice minaccia di una denuncia da
parte di Mediaset è
bastata a convincere il direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo, a
cancellare il programma della Guzzanti. Mi piace la satira, ha detto, ma
ha aggiunto: «Ho detto “satira” e non comizio».
Seconda puntata
I dirigenti della Rai, va detto, sono in una posizione impossibile. Il
parlamento, cui fondamentalmente devono rendere conto, è controllato
dai sostenitori del proprietario della diretta concorrente della Rai. Il
quale, come capo del governo, può fare leggi che favoriscono il suo
gruppo a spese del servizio pubblico. Malgrado ciò la presidente della
Rai, Lucia Annunziata, ha criticato apertamente la ritirata del suo
direttore generale davanti al fuoco nemico. Lo ha fatto prima
dell’ultimo e più sinistro sviluppo.
Bandita dagli schermi, la
Guzzanti ha tenuto la seconda puntata del suo spettacolo dal vivo,
davanti al pubblico dell’Auditorium di Roma e, grazie a un
collegamento via satellite, agli spettatori di altre parti del paese. Il
risultato? Un’altra azione legale, questa volta avviata non da
Mediaste ma dalla Rai. Cattaneo le ha fatto inviare un’ingiunzione per
violazione degli impegni assunti con l’emittente pubblica. Avrebbe
usato materiale di proprietà della Rai trasmettendolo da un canale
satellitare concorrente. Un deputato dell’opposizione ha commentato
che il direttore generale stava assumendo «le sembianze dei
“buttafuori” del primo ministro».
La direzione opposta
Resta da vedere dove la
Guzzanti e i suoi produttori potranno portare il loro prossimo
spettacolo. Ma è chiaro che saranno costretti a offrire il loro
umorismo – o la loro propaganda, se preferite – a un numero di
persone sempre più piccolo. La prossima tappa, se ce ne sarà una, sarà
probabilmente un locale o qualche tv di provincia.
La situazione ha uno straordinario parallelo storico in un paese non
troppo lontano. Ai tempi in cui la Spagna era governata dal generale
Francisco Franco, sui palcoscenici di Madrid e Barcellona si potevano
vedere sfacciate prese in giro della sua dittatura. I censori non si
preoccupavano di teatri e cabaret, frequentati per lo più da spagnoli
raffinati e appartenenti al ceto medio che erano già una causa persa
per il regime. Il pubblico di massa guardava Televisiòn Espanola, di
proprietà dello stato e, questa sì, rigorosamente controllata per fare
in modo che non trapelasse la minima critica.
L’Italia
non ha raggiunto questo livello. Per ora. Si possono ancora seguire
dibattiti aperti e appassionati, perfino sulle reti di Silvio
Berlusconi. Ma in un’epoca in cui molti paesi europei si stanno
trasformando in società aperte, come accadde in Spagna, l’Italia sta
scivolando nella direzione opposta.