Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
LO
SCANDALO
L'operazione di contrabbando del greggio iracheno raccontata da
un'inchiesta Il Sole 24 Ore- Financial Times.
Saddam
e la truffa del petrolio con visto Usa
di
Claudio Gatti – “Il Sole 24 Ore” 13 gennaio 2005
www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&artId=609312&chId=30
Da
mesi il Congresso americano sta investigando sulle violazioni alle
sanzioni internazionali che permisero a Saddam Hussein di accumulare
fondi segreti per comprare armi e sovvenzionare leader politici di tutto
il mondo. Il 2 dicembre scorso, George W. Bush ha dichiarato che, per
poter contare su futuri finanziamenti Usa, l'Onu deve fare assoluta
chiarezza sulle irregolarità dell'«Oil for food», il programma con
cui tra il 1996 e il 2003 le Nazioni Unite hanno regolamentato
l'import-export iracheno. Ma, in almeno un caso, a dover fare chiarezza
potrebbe essere proprio Washington. Da un'inchiesta condotta dal
Sole-24 Ore in collaborazione con il Financial Times risulta infatti che
la singola più grossa e più audace operazione di contrabbando di
petrolio della storia del programma «Oil for food» fu condotta alla
vigilia dell'invasione dell'Irak con il beneplacito proprio
dell'amministrazione Bush.
«Anche se a beneficiarne finanziariamente furono iracheni e giordani,
rimane il fatto che il Governo Usa ha partecipato a un complotto inteso
a violare le sanzioni Onu che ha arricchito il regime di Saddam -
sostiene un ex funzionario delle Nazioni Unite - ed è esattamente ciò
che gli Usa accusano altri Paesi di aver fatto».
Nel febbraio del 2003, quando la stampa Usa pubblicò per la prima volta
la notizia di un'operazione di contrabbando di petrolio dall'Irak,
attribuendola esclusivamente agli iracheni, il portavoce della missione
Usa alle Nazioni Unite la definì "immorale". Ma Il Sole-24
Ore e il Financial Times hanno scoperto che la missione americana e
quella britannica erano state informate dell'iniziativa mentre era in
svolgimento e l'avevano segnalata ai rispettivi Governi.
Nessuno
era però intervenuto nonostante l'operazione coinvolgesse ben 14
petroliere. Una misteriosa società giordana le aveva ingaggiate per
caricare almeno 7 milioni di barili, per un valore totale di non meno di
200 milioni di dollari, un terzo dei quali sono andati al regime di
Saddam.
La spiegazione, ovviamente del tutto off the record, è che gli Usa
abbiano lasciato passare quelle petroliere perché Amman aveva bisogno
di incrementare le proprie riserve strategiche di greggio all'indomani
della guerra in Irak. La settimana scorsa, Paul Volcker, presidente
della Commissione di inchiesta creata dall'Onu per investigare sulla
vicenda, ha confermato che, in riconoscimento degli interessi nazionali
di un alleato essenziale come la Giordania, Washington aveva
effettivamente permesso ad Amman di violare le sanzioni.
Ma quest'argomentazione è indebolita dal fatto che solo una frazione
del greggio contrabbandato in quell'occasione dall'Irak raggiunse il
porto giordano di Aqaba. Il grosso del petrolio è stato invece venduto
a una raffineria egiziana, nei pressi di Alessandria, e una di Aden,
nello Yemen, e il resto ad acquirenti malesi e cinesi.
«Al di là di qualsiasi giustificazione, la realtà è che
quell'operazione non era autorizzata dalle risoluzioni del Consiglio di
sicurezza, che il petrolio caricato non fu mai verificato dagli
ispettori e che i proventi delle vendite non transitarono attraverso i
conti gestiti dall'Onu, come previsto dal programma "Oil for
food"», commenta Michel Telling, uno dei due cosiddetti "Un
Overseer", i funzionari dell'Onu responsabili della gestione del
programma iracheno.
Nel
gennaio del 2003, una società giordana chiamata Millennium contattò
Odin Marine, un broker navale di base a Stanford, in Connecticut. Voleva
noleggiare delle petroliere che andassero a caricare svariati milioni di
barili di petrolio in Irak.
Il problema era che nessuno aveva mai sentito nominare Millennium. «Gli
armatori erano diffidenti. Avevano ricevuto documentazioni dalla
Giordania con ogni genere di timbro governativo che attestava la
legittimità dell'operazione. Ma non c'era niente che venisse dall'Onu»,
ricorda uno dei broker coinvolti.
Dall'Onu non poteva venire alcuna autorizzazione per il semplice motivo
che Millennium non era tra le società alle quali era permesso caricare
petrolio iracheno, e il porto in questione - Khor al Amaya - non era tra
quelli autorizzati dalle Nazioni Unite a operare. Ma i giordani erano
pronti a pagare praticamente qualsiasi cifra, e alla fine armatori
disponibili a concludere l'affare furono comunque trovati. «Una delle
petroliere che noleggiai fu l'Argosea, dell'armatore greco Tsakos»,
ricorda il broker.
Simultaneamente, Millennium noleggiò anche un paio di superpetroliere,
incluso la Empress des Mers, per tenere il petrolio parcheggiato nel
Golfo Persico. A rivelarlo è stato un portavoce della società
proprietaria della stessa Empress des Mers, secondo il quale la
superpetroliera fu noleggiata per essere caricata con il greggio di
altre navi più piccole e poi rimanere ferma nelle acque territoriali
degli Emirati Arabi Uniti, a largo del porto di Fujairah. In attesa che
il petrolio fosse venduto.
L'operazione
era però troppo impegnativa per passare inosservata. A metà febbraio
del 2003, gli uffici dell'Onu a New York cominciarono a ricevere
telefonate da società che stavano caricando petrolio a Mina al Bakr,
l'unico porto iracheno autorizzato a operare dall'Onu. Si lamentavano
del fatto che alcune petroliere erano improvvisamente apparse a Khor al
Amaya, una mezza dozzina di miglia a est. Poiché quel terminale era
servito dallo stesso oleodotto, il ritmo delle operazioni di carico a
Mina era stato praticamente dimezzato, con costi aggiuntivi di 50-80mila
dollari al giorno.
A ricevere queste rimostranze fu Michel Tellings, che ne informò
immediatamente i rappresentanti della missione Usa e di quella
britannica all'Onu, fornendo anche i nomi di alcune delle navi
coinvolte. Tellings era certo che le petroliere in questione sarebbero
state intercettate dalla Forza multinazionale di intercettazione (Fmi),
la flotta internazionale guidata dalla Us Navy che vegliava sul rispetto
dell'embargo iracheno.
«Tre o quattro giorni dopo, non avendo sentito più nulla, andai a
chiedere spiegazioni. Mi dissero che avevano comunicato la cosa alle
rispettive capitali e che erano loro stessi sorpresi dalla mancanza di
reazione».
Contattato dal Sole-24 Ore e dal Financial Times, il portavoce della
missione americana si è limitato a dire che «gli Usa si sono sempre
impegnati a contrastare il contrabbando di petrolio iracheno»
aggiungendo di non poter fare commenti su eventi specifici mentre è in
corso un'inchiesta dell'Onu.
Tellings
non fu però l'unico a rivolgersi invano alle autorità. Lo stesso
fecero gli ispettori della Saybolt, la società olandese assoldata dall'Onu
per tenere sotto controllo le operazioni portuali in Irak.
Il 20 febbraio 2003, quando la notizia dell'operazione di contrabbando
trapelò per la prima volta, Jeff Alderson, portavoce del Maritime
Liason Office (Mlo), l'ufficio della Us Navy in Bahrain responsabile per
la Fmi, disse di «non avere alcuna informazione a proposito». Il suo
successore, Jeff Breslau, ha confermato al Sole-24 Ore e al Financial
Times di «non aver trovato traccia di alcuna segnalazione». Ma Il
Sole-24 Ore e il Financial Times hanno appurato che il 17 febbraio
Saybolt inviò una e-mail proprio al Mlo fornendo informazioni che
menzionavano specificatamente la petroliera Argosea. Alcune ore dopo
dello stesso giorno, il Mlo rispose alla Saybolt con una e-mail in cui
confermava di aver ricevuto la notifica.
Per mesi i trader petroliferi tentarono di trovare il modo di
legittimare il carico contrabbandato da Millennium. «Circolarono una
marea di documenti governativi giordani secondo i quali il petrolio era
loro, e tutto era quindi in ordine - ricorda un trader - Ma noi
concludemmo che non c'era alcun modo legittimo di vendere quel petrolio».
Questo ovviamente non significa che il greggio non sia stato alla fine
venduto comunque. Al contrario. «Dopo sei mesi, ci chiesero di dirigere
la Empress des Mers in Egitto e scaricare il petrolio lì», rivela il
portavoce dell'armatore proprietario del l'Empress.
Si
calcola che con questa operazione gli iracheni abbiano incassato circa
50 milioni di dollari.
Ovviamente al di fuori dei conti correnti ufficiali dove il programma «Oil
for food» prevedeva si versassero tutti i proventi petroliferi. Secondo
gli esperti, i profitti della vendita del greggio hanno invece raggiunto
i 150 milioni di dollari. A chi sono andati?
Una
ricerca alla Camera di commercio giordana rivela che il proprietario
della società è Khaled Shaheen, un magnate giordano presidente di
Shaheen Investment Business. E Millennium operò chiaramente con il
consenso del Governo giordano. A dimostrarlo sono documenti inviati agli
armatori e messaggi di posta elettronica spediti da Odin Marine, in cui
la società viene chiamata «Millennium, per il commercio di materiali e
oli minerali per conto del ministero dell'Energia e delle risorse
minerarie del Regno hashemita giordano». In aggiunta, una e-mail
inviata il 6 marzo 2003 da Odin Marine relativa al noleggio di una nave
dice: «Il Governo giordano, attraverso il ministero dell'Energia e
delle risorse minerarie... ha dato incarico a Millennium di condurre
questa transazione per suo conto, come attestato dalla procura qui
inclusa»