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Un diritto da 20 miseri
centimetri?
Paolo Barnard - 31 ottobre 2008
http://www.paolobarnard.info:80/intervento_mostra_go.php?id=48
E’ l’estate del 2000, sono a Boston per la mia prima intervista a Noam Chomsky. A chi non lo conoscesse rammento che Chomsky è il più noto intellettuale dissidente americano di sempre, definito dal New York Times “probabilmente il più importante pensatore vivente”, ed è il linguista di maggior calibro del XX e XXI secolo. Insegna al prestigioso Massachussets Institute of Technology (MIT), dove è professore ordinario.
Bene,
sto per incontrare questo mostro sacro della cultura accademica nel
suo ufficio all’MIT e vengo avvisato dal
suo segretario che l’intervista non potrà durare più di 60 minuti,
poiché “Chomsky ha un importante
appuntamento alle 17 precise”. Non nascondo a costui il mio
disappunto: rappresento un network televisivo nazionale (RAI), sono
venuto da oltreoceano per intervistare il professore, ho preso questo
appuntamento 3 mesi fa, e ora ho solo 60 minuti per montare la
telecamera, i microfoni, fare le prove audio e video, poi sbrigare un
tema come il Debito del Terzo Mondo, Fondo Monetario, Banca Mondiale,
sperequazione della ricchezza… Niente da fare, il prof. ha un
impegno. Fine della discussione.
L’intervista
è piacevole, Chomsky è gentile, tutto fila liscio, ma dopo 59
minuti, accidenti a lui, il segretario bussa lievemente alla porta e
si mostra a Chomsky attraverso il riquadro di vetro della stessa. Sessanta
secondi dopo è l’intellettuale in persona che con un sorriso
mi dice “time’s
up, sorry..”,
il tempo è finito, spiacente. Un rapido saluto, stretta di mano e
fuori dallo studio con tutti i marchingegni
del mio mestiere. Chomsky richiude l’uscio alle mie spalle.
Sono nell’anticamera indaffarato ad
arrotolare cavi, riporre microfoni, controllare le cassette, ma non
manco di guardarmi intorno in attesa dell’arrivo di questo ospite
così imprescindibile. Non c’è, non arriva, nessuno ha suonato, non
ci sono colleghi di altri network in coda
per un’intervista. Il segretario armeggia col suo pc,
un paio di tizi (presumibilmente docenti)
camminano da un ufficio all’altro senza alcuna intenzione di
dirigersi da Chomsky, un ragazzino meno che ventenne se ne sta seduto
alla mia destra sfogliando testi e appunti. Per il resto calma piatta.
Ma dov’è sto pezzo da novanta per cui mi
hanno messo le braci al sedere?
Saranno
passati sette minuti, quando Chomsky riapre l’uscio dello studio e
con fare cortese invita il ragazzino ad
entrare. I due si accomodano e iniziano la
conversazione, li vedo attraverso il riquadro in vetro. Ancora la mia
mente si rifiuta di arrendersi all’ovvia realizzazione, e in
un residuo sforzo di capricciosa incredulità mi spinge a
chiedere al segretario “ma è quel
giovane l’appuntamento importante?”. “Sì,
è uno del primo anno, un
ordinario colloquio col prof.”, giunge serafica la risposta
del mio interlocutore. Riparto per l’Italia.
Devo fare rewind e proprio spiegarvelo? No, sicuramente non serve. Cari studenti, questa scena affatto isolata nel panorama accademico statunitense appartiene a un ‘film’ che se mai verrà proiettato in Italia sarà forse fra un secolo, o probabilmente di più. Essa ci parla di un essere nell’università che dista da noi italiani come Marte dalla Terra, di una riforma vera, epocale, di un concentrato di democrazia, diritti, intelligenza, umiltà, pedagogia, libertà che nessuno qui da noi neppure si sogna di sognare. Noi, poveracci, siamo arditamente alle prese con la preistoria della riforma del sapere e dell’insegnare. Qualcuno, qui, se lo immagina un grande barone universitario italiano sbarazzarsi velocemente della CBS, di France 2 o della ZDF tedesca per onorare un colloquio con un ‘primino’ di neppure vent’anni?
E
allora. Chiedo a tutti e con vero pathos:
perché abbiamo rinunciato a immaginare un 'altro mondo'? Perché ci
facciamo sempre ingannare da chi ci convince che il cambiamento
significa conquistare due metri quadri in più di
pollaio puzzolente, e non, come dovrebbe essere, miglia e miglia di
prati e colline, valli e montagne dove respirare veramente? Perché ci
scanniamo per ottenere due metri quadri in più di
finanziamenti o di risicate riformucole da
strappare alla Gelmini e non lottiamo invece per un’istruzione nuova
a cominciare dalla dignità di ogni singolo studente che deve essere il
protagonista importante, il numero uno delle priorità di ogni
docente, imprescindibile appuntamento senza se né ma,
oggetto-soggetto di un diritto attorno a cui ruota tutto il sistema
istruzione, e vi ruota con UMILTA'?
Non
capite, studenti, che il gioco più perverso dell’era politica
contemporanea è proprio il riformismo? E’ quella cosa che ci ha
tutti convinti che lottare per i diritti
del nostro futuro significhi ottenere qualche decimetro in più nella
catena che ci hanno messo ai piedi. Oggi ci hanno convinti, e lo
ripeto, che libertà e rivoluzione, che riforma e miglioramento significhino
potersi allungare di altri 20 centimetri dal muro cui siamo incatenati
nel pollaio in cui siamo rinchiusi. E ce l’hanno
fatta: noi siamo proprio ridotti così, completamente dimentichi della
possibilità di avere Diritti Veri
e una Vita Inedita, ma del
tutto inedita, in questo caso un'istruzione da secolo nuovo. Insomma,
un'altra esistenza dirompente nel cambiamento, così come l’umanità
ha sempre saputo fare nella sua uscita dalla barbarie verso la civiltà.
No, nel XXI secolo del riformismo siamo stati ridotto a sentirci
trionfanti se un Walter Veltroni riuscirà col referendum a donarci 20
centimetri di riforma dell’istruzione in più. Ed è così in
ogni campo del nostro vivere.
No, no e no! Cosa avrete risolto quando e se la Gelmini avrà fatto marcia indietro? Perché non mettiamo tutta questa energia oggi esplosa nelle piazze per arrivare a una scuola che non ci devasti l’anima, che non ci faccia odiare la cultura, che sia il nostro regno del rispetto nell’età più sensibile di tutta la vita, che non ci insegni le virtù del servilismo e dell'arroganza, dove non ci si senta con le ossa svuotate di fronte alle cattedre o ad aspettare nei corridoi i favori dei baroni? Dove a neppure vent’anni si possa entrare a colloquio dal tuo professore sul tappeto rosso, mentre fuori dallo studio, in corridoio, al resto del mondo tocca di aspettare voi e la piena soddisfazione del vostro diritto.
Immaginare in grande, immaginate in grande.