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Ma
che riforma d’Egitto!
di Carlo Bertani – 29 marzo 2007
Fabrizio de André – Ottocento
E’
stupefacente come i media di regime presentano la politica
internazionale: nemmeno Vanna Marchi riuscirebbe a far meglio!
Sono degli stupendi venditori di fumo: ammettiamolo, sono bravi.
In Egitto stanno compiendo una vasta riforma costituzionale che condurrà
quel paese, finalmente, sul comodo viale della democrazia! Come, non lo
sapevate? Tutti lo affermavano a chiare lettere!
La storia parte da lontano: sentite cosa dichiarava Emma Bonino prima
delle (ennesime!) elezioni-farsa del Faraone Mubarak, per
“l’edizione” 2005, e riflettiamo che si tratta soltanto di due
anni or sono:
Dichiarazione
di Emma Bonino
Roma,
26 febbraio 2005 - L'Iniziativa inaspettata assunta oggi dal
Presidente Mubarak è sviluppo positivo, un passo fondamentale verso la
trasformazione democratica in Egitto. Nella lettera inviata oggi al
Parlamento, il presidente Mubarak propone una modifica sostanziale del
modo di elezione presidenziale che consenta sin dalla prossima volta una
scelta diretta dei cittadini tra diversi candidati.
Mannaggia la miseria! Ma dove trovava –
la nostra Emma – tanti argomenti a favore della riforma di Mubarak?
No, perché sono andato a leggermi le riforme apportate alla
Costituzione e non mi sembrano dei sostanziali passi in avanti, anzi…
Ecco cosa dovevano fare i candidati indipendenti – nel 2005 – per
farsi eleggere (non raccontato dalla Bonino, ma da un’accozzaglia di
noti terroristi, giacobini, bolscevichi ed anarchici che porta il nome di Rete Civica di Milano):
Questi
ultimi, per convalidare la loro candidatura allo scrutinio previsto a
settembre, devono procurarsi il sostegno di almeno 300 membri di
assemblee nazionali e locali, di cui 65 deputati, 25 senatori e 140
consiglieri locali, scelti in 14 assemblee provinciali su 24.
Un’impresa difficile in un Paese dove le assemblee nazionali e locali
sono dominate al 75% dal Partito nazional-democratico che si prepara ad
annunciare l’investitura di Mubarak, 77 anni, per un quinto mandato
presidenziale di sei anni.
Possono presentare la candidatura di tutti i membri della loro direzione
nazionale alla presidenza. Ma nel 2011, alle elezioni presidenziali
successive, secondo il testo votato, devono avere almeno il 5% di
deputati per presentare un candidato alla presidenza.
Insomma, voglio presentare la mia
candidatura alla presidenza d’Egitto: cosa devo fare? Se faccio parte
del partito di Mubarak non posso, perché il candidato c’è già (lui
oggi, il figlio domani). Se, invece, milito in un altro partito –
secondo
Vado però a scoprire che, per presentare la mia candidatura, devo avere
il sostegno di 300 uomini politici e devo contare su appoggi nel 60% del
territorio: insomma, devo ricevere l’appoggio di tutta
l’opposizione!
Se poi ce la faccio, alle prossime elezioni
politiche – per ripresentarmi – oltre alla facezia dei 300 nobili e
forti dovrò essere espressione di un partito che ha almeno il 5% dei
parlamentari! E poi, in Italia,
Ascoltiamo ancora
Certo
molto rimane da fare: dalla abolizione delle leggi di emergenza ad un
riesame anche di altri articoli della costituzione in particolare quello
relativo al limite dei mandati presidenziali possibili, limite
attualmente inesistente.
Meno male: un po’ d’onestà non guasta.
Gino Bartali direbbe il classico “l’è tutto sbagliato, l’è tutto
da rifare”, mentre
Per ora “non c’è limite” al numero di mandati presidenziali: il
Faraone Mubarak regna sull’Egitto dal 1981. 26 anni! Nemmeno Nasser ed
Amenophi IV giunsero a tanto!
Per
C’è poi l’annosa questione delle leggi d’emergenza: furono
emanate dopo l’assassinio di Sadat, nel 1981, e mai furono abrogate.
Ma chi vogliamo prendere in giro?
Ma
non vi è dubbio che oggi è giorno importante per l'Egitto e dimostra
come il mondo arabo stia affrontando una stagioni di cambiamenti,
impensabile fino a qualche tempo fa.
Beh, è un bel passo in avanti, niente da
dire…per farti eleggere devi avere – in pratica – l’appoggio del
partito di potere il quale, dopo cinque anni “in prova”, ti può
rimuovere quando vuole. Se invece ti lamenti troppo, ci sono le leggi
speciali che consentono alla Polizia d’incarcerare chiunque senza
dover giustificare niente a nessuno. Dove fu portato Abu Omar dopo la
cattura in Italia? In Egitto: un posto, una garanzia.
Ayman Al Zawahiri è oggi il “numero
Poiché, dopo l’assassinio di Sadat nel 1981, il dott. Al Zawahiri –
medico ed appartenente ad una delle più rinomate e conosciute famiglie
della capitale – fu imprigionato per possesso d’armi. Ora, possedere
un’arma nell’Egitto del 1981 non doveva essere un reato
terrificante, ma lo era invece la sua appartenenza ai Fratelli
Musulmani, che gli costò quasi quattro anni di carcere. A questo punto,
dovremmo chiederci cosa sono e come si comportano
Cosa fece Al – Zawahiri quando uscì dal
carcere?
Col cavolo che resto in Egitto – questa fu la sua inevitabile scelta
– perché devo farmi quattro anni di galera, soltanto poiché
appartengo ad un movimento politico proibito dalla legge?
Scappò prima in Kuwait e poi in Afghanistan: se oggi Al – Zawahiri è
la “primula rossa” del terrorismo, e non un normale uomo politico
egiziano (come fu lo zio, primo presidente della Lega Araba), lo
dobbiamo agli ottimi metodi di Mubarak. No, ottimi è troppo: boni, bonini.
Il sogno di Emma, però, non aveva limiti:
Un
vento nuovo prende sempre più corpo nel mondo arabo, per necessità o
per convinzione: dal Marocco al Libano, ai primi passi di soluzione del
conflitto Israele-Palestina (nonostante cruenti colpi di coda), alla
tenuta di elezioni in Palestina, Iraq e prima ancora in Afghanistan è
impossibile non vedere emergere cambiamenti profondi, .in tutta la zona
e in larga parte della opinione pubblica.
Che bello! Tous
va bien, Madama
Dove scorgeva il “nuovo vento” nel mondo arabo? In Iraq? No comment.
In Afganistan? Per carità. Ah, in Marocco: forse in Marocco le cose
vanno meglio, al punto che i marocchini si gettano contro i reticolati
spagnoli di Ceuta pur di riuscire a scappare. Sicuramente tutto è
cambiato in Palestina/Israele dove, all’accordo per un governo
d’unità nazionale raggiunto fra i palestinesi, Israele ha risposto
che non toglierà il blocco economico, non aprirà negoziati con loro,
non toglierà l’assedio ai territori e che si sentirà libera
d’ammazzare chi vuole, dove e quando lo desidera.
C'è
solo da augurarsi che i partner europei sappiano essere all'altezza di
questa nuova situazione, superando vecchi stereotipi e inutili
antagonismi transatlantici: per chiunque abbia a cuore lo stato di
diritto, la democrazia e la liberta è una opportunità da non perdere.
Insomma, scemotti – pareva raccontarci
Più furbo ed istrionico – forse cosciente di giocare con la dinamite
– Magdi Allam così si esprimeva sugli avvenimenti di quei giorni:
Il
processo che porta alla democrazia in Egitto non ha ancora varcato il
Rubicone. Ma certamente tutti sanno, a partire da Mubarak, che indietro
non si torna.
Insomma, per
Magdi – che conosce senz’altro l’Egitto meglio di Emma – era
preferibile non sbilanciarsi troppo e, da buon istrione, aveva ragione a
non esporsi. C’è da chiedersi se Magdi Allam sappia dov’è il
davanti e dove il “dietro”: speriamo, per lui, che non faccia
confusioni.
Per saperne di più sulla riforma costituzionale egiziana, abbiamo
scovato un’intervista[1]
– siamo ai giorni nostri, al marzo del 2007 – a
Safwat Sharif, presidente del Majlis
ash-Shura (Consiglio consultivo, simile al nostro Senato) e
segretario generale del Partito Nazional Democratico (quello di Mubarak).
“…nel
momento in cui ci troviamo, se il popolo venisse chiamato con un
referendum a dire se modificare o mantenere l'attuale testo
costituzionale, giuro che il risultato andrebbe a favore del suo
mantenimento. Noi dobbiamo rispettare la volontà del cittadino.”
Fantastico
questo Safwat Sharif!
Giura che il popolo – se fosse chiamato a decidere –
s’affiderebbe senza dubbio a Mubarak per sempre! Magari gli
costruirebbe anche una bella Piramide a Gizah. Siccome, però, non viene
chiamato a decidere, decidiamo noi per lui: fidatevi della mia parola!
Tanto deciderebbe così, parola di Safwat Sharif, che vi state a preoccupare?
Pronto, Emma? Come? No…era il “vento del cambiamento”…la
“nuova era” nel mondo arabo…va beh, non fa niente…
La realtà è completamente diversa: in Egitto, sta andando in
scena un vero e proprio colpo di stato, senza che nessuno – nel
cosiddetto “Occidente democratico” – spiaccichi una parola. Ecco
come riporta Amisnet il
“balzo democratico” di Mubarak:
Il
Parlamento egiziano ha approvato il 19 marzo 34 emendamenti
costituzionali. Le riforme comprendono l'aumento del potere della
polizia nelle indagini per la lotta al terrorismo, restrizioni
all'attività politica dei movimenti religiosi e incremento delle facoltà
del presidente Hosni Mubarak di sciogliere l'assemblea parlamentare. La
riforma è accompagnata da aspre critiche dell'opposizione e da parte
delle organizzazioni per i diritti umani. Il dibattito
parlamentare e' stato boicottato da circa 100 deputati all'
opposizione vicini al movimento dei Fratelli Musulmani.
Il buon
Mubarak – oltre a tutti i pasticci sull’elezione dei deputati, le
“raccomandazioni” ed i controlli per essere eletti – vuole
garantirsi da ogni possibile rischio. Per questa ragione, ha
praticamente avocato solo a sé stesso la facoltà di sciogliere il
Parlamento: se qualcosa dovesse andare storto, li mando tutti a casa e
buonanotte.
Se
Sì…però il buon Hosni sta doppiando la boa degli 80 anni: in questo
– riconosciamolo – è pienamente in linea con gran parte delle
classi politiche europee che, se non superano almeno i 70 anni, non sono
ritenute sufficientemente “affidabili”.
Probabilmente,
Mubarak ogni tanto va a Gizah e guarda le piramidi: Anubi
lo squadra con occhi inquisitori ed Hosni si chiede
“quando?”. Niente da fare: può ingannare tutti – dagli egiziani
alla Bonino – ma con Anubi…
Di fronte a questi dilemmi, l’uomo guarda alla discendenza, unico
conforto per una dipartita che è l’unica certezza della vita.
Ascoltiamo ancora Amisnet:
Il
sospetto è che Mubarak, con queste riforme, prepari il terreno
per la successione 'dinastica' del figlio Giamal Mubarak, questo
il vero timore di un centinaio di personalità egiziane riportata
da al-Jazeera. Amnesty International definisce gli emendamenti come la
maggiore erosione dei diritti umani della storia del governo egiziano.
E cosa ci
sarebbe di strano?
Dopo un Assad ne viene un secondo, dopo un Mubarak…
Il fatto curioso è che
La realtà
è triste ed amara: dopo l’intervento occidentale in Oriente di questi
anni, il mondo arabo mostra segni – se valutati con il metro
occidentale – d’involuzione e non d’evoluzione. Sottolineo: se
calibrati in un’ottica occidentale.
Con la riforma costituzionale, l’Egitto diventerà un paese governato
da una dittatura o da una monarchia ereditaria: come si può ragionare
di democrazia, quando il segretario del partito di governo afferma che
non è necessario sottoporre la nomina di un Presidente – effettuata
da un Parlamento dominato con le leggi di polizia – al vaglio della
popolazione, perché tanto la popolazione vuole proprio quello? Lo ha già
deciso lui.
Le
opposizioni avevano da tempo affermato che avrebbero disertato
l’appuntamento referendario – quello per approvare la nuova
Costituzione – perché mancano le garanzie basilari affinché si
tratti di una vera consultazione popolare.
Come può essere democratica una simile consultazione, in un paese dove
vige da 26 anni lo stato d’assedio? Dove chiunque può essere
arrestato e sparire senza che né
L’epilogo
è avvenuto il 27 marzo 2006, con il risultato del referendum:
approvato! C’era da aspettarsi dell’altro?
Approvato con il 73,9% dei consensi! Una maggioranza schiacciante.
Percentuale dei votanti: 27,1%[2]
Operando due rapidi calcoli, risulta che il 19,8% degli
egiziani ha votato a favore della “Costituzione” di Mubarak: se
consideriamo l’apparato di partito, l’esercito, la polizia, i
funzionari pubblici, gli amministratori locali e varie pletore
d’accoliti, probabilmente nemmeno tutti i “fedelissimi” di Mubarak
gli hanno conferito il sostegno. Nemmeno un egiziano su 5: questa è
democrazia! Emma e tirapiedi vari: avete qualcosa da replicare?
Oppure
vogliamo valutare le elezioni irachene, dove i certificati elettorali
furono distribuiti insieme alle tessere annonarie per il pane? Quelle
afgane, che hanno visto la spartizione dei consensi fra i vari
“signori della guerra”?
Dove si riescono a celebrare elezioni regolari – come a detta di tutti
gli organismi internazionali è avvenuto in Palestina – il governo che
sale democraticamente in cattedra viene affamato dalla comunità
internazionale, USA, Europa e gli altri a seguire. A quel punto, si
chiede un governo di “unità nazionale” per invalidare – di fatto
– il risultato delle urne.
Il dramma è che lo scenario è praticamente identico quasi ovunque:
vanno di moda, da quelle parti, i governi di “unità nazionale”. Ma,
chiediamoci: che cosa è un governo di unità nazionale?
E’ un
governo che ha sospeso – di fatto – il dialogo democratico
all’interno del paese: voi votate chi volete, tanto noi – dopo –
facciamo una bella ammucchiata e ce ne strafreghiamo dei vostri voti.
Se non basta lo strano connubio fra Fatah ed Hamas in Palestina,
dobbiamo ricordare che anche Israele – da anni – procede con governi
di unità nazionale. Ogni tanto si nota qualche voce fuori del coro, ma
la “sbobba” è la stessa tutti i giorni, da anni. Non vi piace l’Olmert
di oggi? E’ pronto quello di domani.
In questi
scenari, le situazioni – invece di sanarsi – si raggrumano e
cristallizzano in nodi che è sempre più difficile sciogliere, poiché
la vera democrazia (pronto? Emma?) è un’altra cosa. Solo la
democrazia ed il confronto, però, sono le medicine per uscire dal
guado: sono le uniche fonti che possono generare delle soluzioni. E si
è da capo.
Fa discutere la richiesta del Ministro D’Alema di trattare anche con i
Taliban in Afghanistan; subito
si è levato un coro di critiche: sono tagliagole! Assassini!
Assatanati!
Vero o falso che sia, dobbiamo riconoscere che la pace si fa soltanto
con i nemici: senza scomodare
Con gli
alleati si può discutere, trovare posizioni comuni, sostenere linee di
politica estera coerenti: non si possono però siglare accordi di pace,
poiché si tratta di una contraddizione in termini. Non ci vuole tanto a
capirlo.
Eppure, pare che trattare con i Taliban
(in realtà con l’etnia pashtun
che li esprime) sia una bestemmia, così come ammettere che i Fratelli
Musulmani sono una realtà politica egiziana dal 1928, precedenti a
Nasser ed al nuovo corso di Sadat.
La morale di
tutta la vicenda – ridotta all’osso – è che, se non tratteremo
proprio con quelli che riteniamo nostri nemici (il che è poi tutto da
verificare), non potremo attenderci altro che sangue, dolore e miseria.
Siamo in grado di vincere? Di sconfiggere la guerriglia irachena ed
afgana? Di cancellare i Fratelli Musulmani dall’Egitto ed Hamas dalla
Palestina?
Se non siamo in grado di farlo, non arrocchiamoci su posizioni
insostenibili e non chiamiamo riforma costituzionale ciò che sta
avvenendo in Egitto. Oppure, sfruttando la ricchezza della lingua
italiana, definiamola per quel che è: una riforma d’Egitto.
Carlo Bertani articoli@carlobertani.it www.carlobertani.it