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Da Richard Ginori a Piazza Alimonda
Ti
armi? Ma quanto ti armi?
Rita
Pennaiola – Tratto da «La Voce della Campania», giugno 2004
www.lavocedellacampania.it
Una tempesta finanziaria inasprita da lotte sindacali non stop. E’ quel che accade alla Richard Ginori e al suo patron, Carlo Rinaldini, editore anche del mensile TacArmi diretto dal super pentito di Genova Paolo Romanini. Il quale si dà da fare per la liberalizzazione di pistole & C.
Destini incrociati. Sono quelli di due personaggi delle cronache italiane apparentemente diversissimi tra loro: l’imprenditore mantovano Carlo Rinaldini, titolare di Pagnossin e Richard Ginori, ed il perito balistico Paolo Romanini, chiamato a pronunciarsi sui più scottanti casi giudiziari degli ultimi anni, da Marta Russo al mostro di Firenze, fino all’ “assoluzione” del carabiniere che uccise Carlo Giuliani in piazza Alimonda, a Genova, durante il G8 del 2001. Benché lontani anni luce - almeno apparentemente - dal punto di vista di attività ed interessi, i due personaggi sono strettamente legati nella srl Editrice Leone di piazza San Babila a Milano, il cui capitale - 50 mila euro - é nelle mani di Rinaldini, mentre Romanini vi figura nella duplice veste di componente del cda e direttore responsabile di TacArmi, il magazine pubblicato dalla stessa casa editrice. Se fino a un anno fa, con i clamori suscitati dall’archiviazione del caso Giuliani basata sulla perizia Romanini, il famoso esperto balistico era finito al centro delle cronache di mezzo mondo, oggi a dover fare i conti con i poco lusinghieri giudizi della stampa é invece Rinaldini, artefice di ardite manovre finanziarie che finora sono costate il posto di lavoro a decine e decine di addetti del gruppo. Il passaggio più recente é del 1 maggio scorso, quando Rinaldini, messo alle strette da un pauroso deficit (40 milioni e passa di euro nel breve termine) ed assediato dalle proteste dei lavoratori, spunta un accordo con imprenditori toscani attivi nei settori manifatturiero, edilizio e finanziario per la cessione di immobili di proprietà della Richard Ginori nel comune di Sesto Fiorentino. 36 milioni di euro: questo il prezzo della vendita, che sarà pagato da una newco immobiliare costituita ad hoc fra la stessa Richard Ginori (la quale rimarrà così proprietaria dei cespiti al 50 per cento), e la cordata di imprenditori toscani.
"La newco - informa una nota - sarà dotata di mezzi propri per 14 milioni e di un affidamento bancario di 21 milioni. Gli imprenditori toscani garantiscono il versamento del loro 50 per cento di mezzi propri e si impegnano eventualmente a surrogare il finanziamento bancario, se questo non fosse erogato, entro il 30 novembre 2004". Più che drastica la “cura dimagrante” dal punto di vista dell’occupazione: a fine aprile vengono messi in mobilità tutti i 48 dipendenti dello stabilimento di Laveno, con la conseguente “liberazione” dell’immobile, ceduto così alla newco. Ciò consentirà quindi la vendita del cespite con conseguenti benefici sull’indebitamento finanziario. Ancora, partono ai primi di maggio le prime 13 settimane (prorogabili) di cassa integrazione per 65 addetti dello storico quartier generale di Sesto Fiorentino; analoghi tagli riguardano 19 operai dello stabilimento di Trequanda, mentre vengono definitivamente mandati a casa i trentacinque dipendenti della cooperativa che effettuava l’inscatolamento delle preziose ceramiche. Non ci stanno i lavoratori che, documenti alla mano, offrono un’inquietante lettura dell’intera vicenda. Che comincia a luglio 2003 con una serie di incontri fra i vertici aziendali e le rappresentanze sindacali per concordare i provvedimenti adeguati a fronteggiare la crisi. Improvvisamente il dialogo s’interrompe e l’azienda annuncia il provvedimento di cassa integrazione per 65 addetti.
"Questo brusco cambiamento nel percorso che l’azienda aveva fino a quel momento seguito - spiegano alla Cgil - coincide sul piano temporale con lo scoppio del caso Parmalat. La società di revisione dei bilanci della Richard Ginori, la stessa che aveva certificato i bond Parmalat, decide di svalutare i magazzini dello stabilimento, che erano cresciuti in seguito a precise strategie aziendali, di ben 3 milioni e mezzo di euro, che vanno così a pesare sul bilancio". Perché - ci si chiede a Sesto Fiorentino - questa decisione arriva solo nel 2004, quando dagli stessi dati ufficiali rilasciati dall’azienda risulta che il volume dei magazzini è immutato dal 2001? "Nel frattempo - aggiungono i lavoratori - spunta il nome di una società olandese che controllerebbe la Richard Ginori e che vanta crediti per 4,8 milioni di euro". Si tratta della Retma Holding, controllata della Pagnossin e perciò riconducibile allo stesso Rinaldini, ma rappresentata in cda da Luca Quercioli, noto come membro di Toscana Fidi, la finanziaria attivata dalla Regione Toscana. Altra presenza di spicco nell’attuale organigramma di Richard Ginori é poi quella di Itochu Corporation, vale a dire la più grande multinazionale del pianeta (il suo fatturato annuo é pari al PIL dell’Austria), che per rappresentare la sua parte di azioni in Ginori si affida a Takeshi Kumekawa. Non nuovo ad alleanze acrobatiche, Rinaldini aveva rilevato il pacchetto dell’antica e celebre fabbrica di ceramiche pregiate a giugno 1997 dalla F.P.G. del gruppo di Salvatore Ligresti. Quest’ultimo, a sua volta, lo aveva ottenuto, con la mediazione di Mediobanca, dalla Finanziaria Sviluppo di Michele Sindona. Non meno perigliosa, intanto, la navigazione dell’altra creatura targata Rinaldini, la Pagnossin di Treviso, leader di porcellanati e stoviglie, indebitata per 30 milioni di euro e con una massa di lavoratori inferociti in mobilità. "Anche la chiusura dello stabilimento di Laveno - carica la componente sindacale - coincide con la decisione dell’azienda di produrre il prodotto Bona-China in Bangladesch.
In questo modo va perso l’unico stabilimento esistente in Italia di questo prodotto, mentre le relative conoscenze ed esperienze saranno esportate e svendute nel paese asiatico". Al contrario, sembra proprio che l’intenzione sia quella di potenziare le produzioni già in atto in Cina, Bangladesch e Romania, con manodopera a basso costo. "I sindacati - scrive infatti la senatrice ds Vittoria Franco in una recente interrogazione al ministro del Welfare Roberto Maroni - ipotizzano che la cassa integrazione scaturisca solo da un problema finanziario (nello specifico una sovrastima di magazzino da parte degli stessi revisori della Parmalat) e possa essere una probabile manovra per aumentare l’importazione di prodotto dall’estero e abbassare i costi di produzione". Impegnato com’é nelle grandi manovre sulla Richard Ginori, ben poco tempo Rinaldini avrà potuto dedicare alla sigla che condivide col superperito Paolo Romanini, l’Editrice Leone ed il mensile TacArmi. Su cui, da parecchi mesi, sembra calato il silenzio. Per trovare notizie recenti dobbiamo fare un salto all’EXA 2004 di Brescia, vale a dire la massima esposizione internazionale di armi da caccia e da guerra cui anche stavolta, come ogni anno, TacArmi ha partecipato con un proprio, attrezzatissimo stand. Novità dell’edizione 2004, svoltasi a fine aprile, é stata l’autentica “crociata” lanciata dai fabbricarmi di armi e dagli editori di riviste specializzate nel settore (compresi Rinaldini e Romanini) contro le proposte di legge finalizzate a limitare la concessione ed il rinnovo del porto d’armi a privati cittadini. Patrocinato dalle riviste Armi e Tiro e TacArmi, un apposito vertice ha visto il 20 aprile scorso la partecipazione, fra gli altri, dello stesso Paolo Romanini, insieme al presidente di Assoarmieri Edgardo Fegro, a Gianfranco Fortunati di Libera caccia e Pierangelo Pedersoli del Consorzio armaioli bresciani.
Con loro, anche Paolo Tagini, ex consigliere dell’Editrice Leone, oggi direttore di Armi magazine, nonché esponente della Lega Nord ed autore del paradigmatico Io sparo che me la cavo. Oltre cinquemila le firme raccolte dall’agguerrita compagine armaiola nei soli primi due giorni del salone. Tutti riuniti per chiedere con forza "che il lavoro della commissione interministeriale per la revisione della normativa sulle armi non possa prescindere dal contributo tecnico dei professionisti che conoscono a fondo la materia". A rispondere per prima alle bellicose intenzioni del neo comitato é la parlamentare dei Verdi Luana Zanella, la quale in un documento invita il ministro degli Interni Giuseppe Pisanu "a non ascoltare le ragioni degli armieri e dei cacciatori estremisti", che sostanzialmente chiedono una deregulation del settore. "L’alleanza armieri-cacciatori - incalza Zanella - propone una società in armi che esalta il fai-da-te: un modello davvero inquietante che noi Verdi continueremo a combattere". Gli amanti di kalashnikov, revolver e coltelli invitano, dal canto loro, a non votare per le decine e decine di esponenti politici che, tanto nel Polo quanto nell’Ulivo, risultano firmatari di proposte di legge per contenere l’uso delle armi. Ed elencano, in un dettagliato articolo recentemente pubblicato su TacArmi di Paolo Romanini, nomi e volti dei politici “da bandire”. Fra i simpatizzanti della rivista, di cui si proclama assiduo lettore e collaboratore, spunta l’avvocato Francesco Pollino da Forlì, fondatore dell’associazione Parabellum che si batte dal 1997 per un’ampia liberalizzazione delle armi “a difesa” del cittadino. "Mi ero accorto - colorisce - che il delinquente la fa sempre franca mentre chi è legittimamente armato passa tutti i guai di questo mondo. Visto che lo Stato italiano non si cura degli innumerevoli delinquenti che circolano per le nostre strade, non può certo impedire al cittadino onesto di difendere la propria persona, la propria famiglia, i propri figli, i propri beni, dai facinorosi privi di scrupolo. Il Cittadino ha il diritto di difendersi!! E' un diritto naturale dell'uomo e l'incolumità dell'aggressore deve passare in secondo ordine rispetto alla minacciata incolumità della persona onesta".