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La
razza secondo la medicina
di
Michela Rampon tratto da
http://www.sapere.it/tc/medicina/articoli/2004/medicina_razza.jsp
Con
la mappatura completa del genoma umano, nel 2001 i genetisti Francis
Collins e J. Craig Venter hanno dimostrato che il concetto di razza non
ha fondamento scientifico. Ma la ricerca medica per curare alcune
patologie di gruppi umani definiti in base al colore della pelle
continua.
Lungo il corso della storia la teorizzazione del
razzismo si è spesso avvalsa del contributo della ricerca
medico-scientifica. Con la nascita delle prime teorie medico-biologiche
per giustificare l’inferiorità di un popolo rispetto a un altro,
scienza e pregiudizio razziale hanno stretto un rapporto decisivo. Gli
esempi più nefasti di questa corrispondenza hanno trovato una
sistematizzazione vera e propria solo quando gli stereotipi sono stati
estesi, oltre che alla razza, anche alla cultura e alla fisiologia di un
gruppo umano. Nel 2000 durante una conferenza stampa alla Casa Bianca,
il direttore del National Human Genome Research Institute Francis
Collins e il presidente della Celera Genomics, J. Craig Venter
annunciano di aver completato la “bozza” completa del genoma umano.
In quell’occasione i due genetisti affermano che a livello molecolare
le differenze razziali non hanno alcuna base scientifica: il DNA umano
è simile per il 99,9% dei casi. La ricerca ha finalmente rifiutato le
basi scientifiche della discriminazione razziale? Non del tutto. Anche
se l’acido desossiribonucleico degli uomini si assomiglia quasi al
100%, esiste uno 0,1% che fa la differenza. Il DNA è formato da 30.000
geni a loro volta composti da tre miliardi di basi (adenina, timina,
citosina, guanina). Quando una base è diversa si verificano i casi di
polimorfismo nucleotidico o SNP che cancellano l’uguaglianza tra un
individuo e l’altro.
Concentrandosi
sulla percentuale “residua”, la ricerca ha in pochi anni continuato
sullo stesso terreno abbandonato dalla scienza dopo l’annuncio di
Collins e Ventre. Confidando nella nuove tecnologie informatiche,
l’attenzione dei ricercatori si è spostata sullo 0,1% di differenza
genetica. Poco tempo dopo la lettura della sequenza completa del menoma
umano, l’IBM annuncia l’arrivo di un mega elaboratore in grado di
compiere 7,3 milioni di calcoli al secondo sul DNA. All’origine la
macchina era stata concepita per permettere di personalizzare le terapie
genetiche. Ma a seguito del decesso nel 1999 di un paziente sottoposto a
questo tipo di cure, la strada della personalizzazione si interrompe.
Dopo questa impasse le biotecnologie cominciano a guardare verso nuovi
orizzonti di sviluppo, a cominciare dalla genomica, una nuova branca
della genetica che si occupa dell’analisi comparativa del genoma di
differenti organismi e “tipi umani”. Le prime scoperte a riguardo
arrivano dall’Islanda. Il parlamento del Paese aveva da poco approvato
una proposta di legge, nella quale dava a una società di biotecnologia
la possibilità di utilizzare una banca dati genetica di tutta la
popolazione dell’isola: all’epoca circa 270.000 persone. Le
informazioni e i dati medici sulla popolazione conservati per più di un
secolo, sono stati essenziali per la ricerca biotecnologia. Secondo la
società, l’analisi di campioni di sangue e tessuti presenti in
archivio associati a quelli più recenti hanno permesso di rintracciare
i geni responsabili delle patologie che insidiano l’uomo. Per gli
studiosi il punto di forza di questa ricerca risiede proprio
nell’omogeneità della banca dati utilizzata. Gli islandesi si
assomigliano geneticamente e ciò facilita il monitoraggio delle
mutazioni all’origine delle malattie e di conseguenza lo studio di
nuove terapie per combatterle. Il primo passo verso la cura di gruppi
umani definiti in base alla loro appartenenza è compiuto.
La
tappa successiva si verifica quando nel marzo 2001 la Food and Drug
Administration, l’organismo di controllo federale degli Stati Uniti su
alimentazione e farmaci, stipula un accordo nel quale dà diritto a una
società specializzata in biotecnologie, la NitroMed, di cominciare una
ricerca sul primo “farmaco etnico” studiato appositamente per
pazienti neri: il BiDil. La medicina è in grado di aumentare i livelli
di ossido nitrico (un derivato dell’azoto) del sangue e, di
conseguenza, prevenire l’affaticamento cardiaco. Si tratta della
combinazione di due farmaci per il cuore i cui test fallimentari
risalgono a 20 anni fa. Originariamente il medicinale viene concepito
per una popolazione ben più vasta di quella nera. Ma gli studi clinici
sull’efficacia del BiDil non danno risultati notevoli e l’FDA ne
rifiuta l’approvazione nel 1997, perché l’applicazione poggia su
studi superati. Cosa succede dopo? Nonostante la sua bocciatura, la
ricerca riesamina i dati e dimostra che nei vecchi test il BiDil ha
avuto effetti positivi su una parte del campione di individui a cui è
stato somministrato: 395 neri. Non solo, i dati raccolti negli USA e
riportati dalla rivista Science sono ancora più chiari. A
differenza dei colleghi bianchi, gli afro-americani rappresentano quella
fetta di popolazione 10 volte più soggetta all’insufficienza epatica,
3 volte all’ipertrofia cardiaca e 2 volte al diabete. Questi dati
spiegano le ragioni dell’introduzione sul mercato farmacologico del
medicinale da somministrare agli afro-americani. Ecco quindi arrivare la
seconda valutazione dell’FDA. L’organismo federale americano
stabilisce che potenzialmente il farmaco è in grado di evitare
scompensi cardiaci nei soggetti di colore e dà via libera al brevetto.
Dal 2004 il BiDil può essere prescritto come rimedio benefico per gli
americani neri che soffrono di cuore.
Negli Stati Uniti associare alcune patologie con il colore della pelle non è un segreto. La ricerca scientifica fondata sulla razza è sostenuta da studiosi come Sally Satel, psichiatra e docente all’Università di Yale. La studiosa ha apertamente proclamato di fare “medicina razziale”, per migliorare l’iter diagnostico e il trattamento dei pazienti. Se per esempio ha in cura un nero che soffre di depressione, prescrive dosi più deboli di Prozac, perché i dati clinici analizzati dalla ricerca farmacologia hanno dimostrato che numerosi afro-americani metabolizzano gli antidepressivi più lentamente rispetto a caucasici e asiatici. Dal colore della pelle le differenze indicate da alcuni studiosi americani si estendono anche ad altre “disfunzioni”, come anemia e ipertensione. A soli 4 anni dall’annuncio che la razza non ha alcuna base scientifica, la medicina americana continua a somministrare farmaci in modo differenziato nonostante gli effetti benefici delle cure siano blandi. È il caso del Cozaar, un prodotto farmacologico utilizzato per diminuire la pressione arteriosa, che ha risolto solo pochi casi di ipertensione tra la popolazione nera. La ricerca tuttavia continua. Uno studio in corso sponsorizzato dal laboratorio AstraZeneca, per esempio, sta analizzando gli effetti di un farmaco anticolesterolo su cittadini americani provenienti dall’Asia del Sud, come gli indiani, considerati individui più sensibili alle malattie cardiovascolari legate al colesterolo. Quali le ragioni di tante ricerche? In campo medico i ricercatori hanno individuato geni che espongono l’organismo ad alcuni tipi di malattie e altri che vengono coinvolti nelle dinamiche del farmaco. Le risposte a una terapia farmacologia possono dipendere da uno qualsiasi di questi geni. Le unità ereditarie del cromosoma inoltre si distribuiscono in modo diverso tra le popolazioni. Si è riscontrato poi che un tipo di mutazione genetica avviene con più frequenza in certe zone geografiche e meno in altre. Tuttavia la scienza non dispone ancora di test genetici efficaci per dimostrarlo.
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USA
/ Il primo farmaco prodotto su misura per afroamericani
Un'azienda
farmaceutica vuole commercializzare il primo farmaco prodotto su misura
per afroamericani. Si chiama BiDil ed e' una medicina per il cuore; i
test clinici sui neri hanno dato risultati tanto positivi da far
interrompere la sperimentazione e chiedere subito l'autorizzazione alla
vendita. Questo caso riacutizza il dibattito sulle "terapie
etniche", in corso da qualche anno nel mondo sanitario
statunitense.
http://www.aduc.it/dyn/avvertenze/newtex.php?ed=149&tipo_id=2