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Clima,
il protocollo di Kyoto sempre più a rischio
Tratto da «Il Nuovo» di Alex
Dall'Asta
Si apre a Milano la Conferenza mondiale su Clima. Dopo il no della Russia, l’America ribadisce la sua opposizione. I Paesi meno sviluppati chiedono fondi: mancano anche quelli per raccogliere i dati sull’inquinamento
MILANO
– Il protocollo di Kyoto non sembra destinato a fare passi avanti.
Alla Cop9, la conferenza sui cambiamenti climatici iniziata oggi a
Milano, ciascun blocco rimane saldamente ancorato sulle proprie
posizioni. Semmai una nuova spaccatura va ampliandosi, quella tra ricchi
e poveri del pianeta. La conferenza milanese è partita sotto
auspici poco confortanti, nella cornice di una città paralizzata dal
traffico, inzuppata di smog e pioggia. Prima dell’inizio dei lavori e
delle dichiarazioni, gli Stati Uniti hanno ribadito la più netta
opposizione all’accordo.
In
un articolo del Sottosegretario Usa agli affari globali Paula Dobriansky,
uscito stamattina sul Financial Times, l’amministrazione Bush
ribadisce che Kyoto è “una camicia di forza [per l’economia],
poco realistica, che taglia solo il consumo di energia, e non considera
l’impatto delle nuove tecnologie”. Il trattato prevede che i Paesi
firmatari riducano tra il 2008 e il 2012 le emissioni di gas serra
dell’8% rispetto ai livelli del 1990.
Quello
dell’America, tuttavia, va considerato un rifiuto in parte
costruttivo. Gli Usa hanno mosso passi importanti nella direzione dello
sviluppo sostenibile negli ultimi tempi. Solo dieci giorni fa a
Washington i ministri dei 14 Paesi più industrializzati (tra cui il
ministro italiano dell’ambiente Matteoli) hanno tenuto a battesimo la
IPHE (International Partnership for the Hydrogen Economy), un
accordo che prevede la condivisione delle tecnologie per l’energia
pulita. Bush stesso annunciò il 29 gennaio scorso lo stanziamento di
1,2 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’automobile a idrogeno
(l’Europa ha fatto di meglio, stanziando 2,3 miliardi).
Insomma,
l’America accetta Kyoto finché esso significa nuove possibilità di
ricerca, quindi di sviluppo economico. Sì all’idrogeno, ma se si
ricava dal petrolio (l’Ue, che ha poco oro nero, punta invece ad
estrarlo dall’acqua). Sì – come è stato ribadito oggi –
alla creazione di una rete per la misurazione dei cambiamenti climatici.
No alle restrizioni troppo severe, lasciando la riduzione delle
emissioni alla ‘buona volontà’ degli industriali illuminati:
secondo i dati presentati oggi sono circa 40 le grandi compagnie in
America ad aver adottato già volontariamente parametri analoghi a
quelli di Kyoto.
L’altro,
grande handicap che grava sulle sorti del ‘trattato verde’ è
il “no” recente della Russia. “Kyoto” secondo il governo di
Putin “condannerebbe la Russia alla povertà”. Ma senza l’assenso
del gigante russo tramonta – almeno per ora – la possibilità che il
trattato diventi norma (le adesioni devono arrivare al 55 per cento
delle emissioni mondiali – si è fermi al 40 per cento). Oggi
pomeriggio anche altri Paesi meno sviluppati, capitanati dal Brasile,
hanno criticato diverse proposte di Ue e Usa, ad esempio su un rapporto
annuale sulle emissioni: per loro costa troppo anche solo raccogliere i
dati. Kyoto teneva conto delle loro difficoltà, infatti non ha mai
previsto che gli stati del terzo mondo aderissero immediatamente. Ma i
loro “no”, nel coro generale, pesano.