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Promotori
finanziari: una triste verità
di Eugenio Benetazzo – 8 gennaio
2007
Sono ormai
da svariati anni che mi batto per portare a conoscenza dei risparmiatori
la triste verità sul settore bancario e sulle reti di promozione
finanziaria.
I recenti crack finanziari, con i relativi processi tuttora pendenti,
non fanno altro che confermare, ancora una volta, quanto questi soggetti
portino i loro clienti a compiere operazioni in pieno conflitto di
interessi e a sottoscrivere prodotti troppo onerosi e sottoperformanti.
Questa figura professionale nasce circa quindici anni fa, con la legge
191 che istituiva le SIM (società d’intermediazione finanziaria) e,
di fatto, non faceva altro che rendere il mercato della gestione del
risparmio un autentico monopolio per i gruppi bancari.
Da questa
riforma nasce il promotore finanziario: una figura il cui compito
solleva non poche perplessità sui meccanismi d’efficienza e
trasparenza con cui dovrebbero essere gestiti i risparmi e gli
investimenti delle persone che si appoggiano al suo operato.
Tanto per iniziare, dovete sapere che il promotore finanziario è
legato, attraverso un monomandato di rappresentanza, alla sua banca o
sim, con la quale s’impegna a non promuovere o distribuire i prodotti
di altri concorrenti. Il promotore percepisce la sua remunerazione sul
volume dei prodotti che riesce a collocare tra il pubblico risparmiatore
e viene pagato dalla stessa banca.
Già qui,
possiamo fare una prima osservazione per comprendere la loro
remunerazione: i prodotti che promuovono non hanno lo stesso tasso di
provvigione, di solito, i più rischiosi per voi sono i più
remunerativi per loro ( per esempio, i fondi azionari high tech).
Il conflitto d’interessi è sin troppo evidente: chi vi assicura che
il vostro promotore non vi faccia sottoscrivere quel tipo di prodotto
che magari a lui genera il massimo di retrocessione provvigionale? Nel
dubbio, meglio starne fuori.
Come se
questo non bastasse, immaginate che il vostro promotore sia un soggetto
dinamico, preparato (ne ho conosciuti solo due sino ad ora) e sapiente
conoscitore dell’andamento dei mercati, pur tuttavia, se fosse a
conoscenza di un prodotto o forma di investimento particolarmente
interessante, offerto magari da un concorrente, non potrebbe proporvelo.
Eventualmente, se la sua etica professionale fosse significativamente
ineccepibile, vi potrebbe indirizzare da un promotore a lui concorrente
(in quanto appartenente ad un’altra rete di promozione e/o banca), ma
con il rischio di perdervi definitivamente come cliente investitore, nel
qual caso voi decideste di migrare tutte le vostre disponibilità su
quella stessa banca. Farebbe bella figura, ma perderebbe un cliente.
Non
dimenticate, a questo punto, le spiegazioni che devono dare gli stessi
promotori alle direzioni d’area, quando perdono un cliente per
interruzione del rapporto e/o migrazione verso un concorrente.
Nella maggior parte dei casi, invece, ho visto tutto il possibile per
screditare l’avversario o il concorrente, arrivando a dire che di
quella banca non c’è da fidarsi, che in passato i rendimenti erano
stati mediocri, che il suo personale è incompetente e così via.
Recentemente
ho potuto constatare di persona tutto questo proprio dal personale di
sportello di alcune banche del mio territorio, le quali, in seguito alle
mie recenti conferenze, in cui rappresentavo la convenienza di un noto
conto di liquidità (di un gruppo bancario europeo), queste stesse,
vedendo come molti loro correntisti volevano aderirvi, iniziarono a
denigrarlo, affermando che non bisogna fidarsi, che la tale banca poteva
fallire, che il tasso di rendimento non era poi così elevato e che loro
avevano un prodotto migliore, meno rischioso e così via.
Tutto questo
perché subirono un forte drenaggio di liquidità a scapito dei loro
prodotti: mi piacerebbe farvi i nomi e cognomi di queste persone, ma,
come al solito, rischierei una querela ed un mega-risarcimento di danni.
Che ci volete fare: siamo in Italia.
Come se non bastasse, il promotore risulta essere anche un
professionista la cui opera di consulenza non è indipendente, in quanto
anche qui, come per il settore bancario, se la direzione di area della
sua rete di promozione ha deciso che per il prossimo trimestre si deve
raggiungere un determinato budget di raccolta su un nuovo prodotto da
poco emesso, state certi che il vostro promotore vi telefonerà,
dicendovi che dovete switchare dal vecchio prodotto, che vi aveva fatto
sottoscrivere alcuni mesi fa, per entrare in quello nuovo fresco fresco
che sta per uscire. Alla faccia dell’indipendenza e della trasparenza.
Con molta probabilità, sarà un prodotto che contempla una commissione
d’ingresso per la sua sottoscrizione.
Vi siete mai
fermati a pensare a cosa servono le commissioni d’ingresso? Ve lo dico
io: a pagare il vostro promotore. Eh sì, perché, quando investite
100.000 euro su un fondo azionario e vi dicono che per entrare su questo
fondo dovete pagare una commissione pari al 2-4-5%, quel denaro serve
per pagare anche lo stesso promotore !
Accidenti che servizio brillante, pagate per non avere nulla in cambio,
anzi, per la verità, pagate per avere una persona che, con il vostro
denaro, farà il possibile per massimizzare il proprio tornaconto
(raramente coincide anche con il vostro, per non dire quasi mai).
Perciò,
come dico sempre durante i miei show finanziari, chi è desideroso di
continuare a sodomizzarsi con questo sistema, ne ha piene facoltà.
Quanto sopra potrebbe essere esteso anche al sistema bancario italiano:
il vero cancro terminale del nostro paese. Tuttavia p rima di procedere
alla rappresentazione dello stato del mercato bancario italiano, di
fatto monopolizzato da quattro grandi gruppi, nati si e no da qualche
anno in seguito a forzati meccanismi di accorpamento e concentrazione,
ritengo opportuno schematizzare la situazione sul mercato statunitense,
forse il più brillante al mondo da questo punto di vista.
Dopo il
crack del 29, che portò al fallimento centinaia di banche private ed al
collasso del sistema creditizio, il legislatore americano, sotto le
vesti di Franklin Delano Roosevelt, all’interno del piano per
rilanciare gli investimenti industriali e non, il famoso New Deal, fece
varare il “Glass Steagall Act”, dal nome dei deputati che al
Congresso proposero la legge.
Questa disposizione legislativa, concepita più di 75 anni fa,
rappresenta, senza alcun dubbio, il più efficiente sistema per
salvaguardare il denaro in tutte le sue forme ed usi, tutelando i suoi
aventi diritto, sia essi risparmiatori che investitori.
Il Glass
Steagall Act impone una netta ed inviolabile separazione tra due
tipologie di banche: quelle di prestito e quelle d’investimento.
Ciò significa che la banca, una volta deciso di strutturare,
distribuire e promuovere prodotti e formule per investire i risparmi, può
fare solo ed esclusivamente quello. Lo stesso accade per la banca di
credito commerciale, la quale può generare la sua redditività solo
attraverso la remunerazione sul prestito del denaro.
Non entro
nei meriti tecnici o giuridici della legge, immaginate che vi abbia
sintetizzato al massimo la ratio che sta dietro a questa legge:
innanzitutto creare soggetti fortemente specializzati, quasi di nicchia,
con competenze molto dedicate.
In Italia invece che cosa avviene: abbiamo banche che vi possono
vendere, come se fossero un grande discount ricco di merce di seconda
qualità, polizze vita, assicurazioni auto, conti correnti, prestiti per
cassa, piani di accumulo, telefoni cellulari in promozione e a rate,
certificati di deposito, quote di fondi da loro stesse creati e altre
forme succedanee di investimento generico o in qualche modo
personalizzato.
Così
facendo, abbiamo un soggetto autorizzato a vendere quasi tutto, con il
solo scopo di generare una proliferazione di commissioni ad ogni
richiesta di servizio dell’investitore.
Qui sta il problema principale del sistema bancario italiano, ovvero che
ogni banca, presa nella sua genericità, per creare la propria
redditività, punta sulle cosiddette aree di ricavo per prestazione di
servizio: questo significa che il suo scopo è quello di chiedervi il
massimo, per darvi un servizio che negli altri paesi europei e
statunitensi si considera scontato all’interno del rapporto di conto
corrente.
Quindi un
bonifico vi può costare anche 5 euro, un invio di estratto conto 3
euro, una richiesta di elenco movimenti altri 3 euro, una telefonata che
vi fanno per avvisarvi su una nuova emissione 2 euro e così via. Tutto
questo crea a loro una redditività certa impressionante, priva tuttavia
di rischio bancario, non male quindi come rapporto rischio/beneficio.
Mentre quando andate a chiedere un prestito o rinegoziate un vecchio
fido, passano voi, vostra moglie e i vostri genitori ai raggi x, oppure
vi chiedono in garanzia 100 per prestarvi 50: negli USA, invece, le
banche finanziano sulla base di ipotesi di redditività e business plans,
piuttosto che di sole garanzie.
Non mi
esprimo sul personale che lavora in banca (anche se qualcuno fa
eccezione) il cui grado di competenza e di efficienza è diretta
conseguenza di quanto rappresentato sopra, in quanto, se nascono e si
evolvono banche prive di una propria specializzazione, capite
serenamente che il personale che vi lavora non deve avere chissà quali
competenze e/o capacità per lavorarvi.
Anzi, nella maggior parte dei casi, trovate innanzi agli sportelli
persone frustrate, impantanate in un lavoro che non ha futuro, destinate
per anni a contare il denaro e gli assegni, oppure a passare carte su
carte tra lo sportello e la direzione amministrativa.
Come se non
bastasse, questo li demotiva ancora di più: pertanto scordatevi di
trovare quello che conosce la vera evoluzione e l’andamento dei
mercati azionari e ve li sa commentare, anche perché, se lo sapesse
fare e vorrebbe consigliare come posizionarvi sul mercato in maniera
efficiente, non lo potrebbe fare. Già, non lo potrebbe fare, in quanto,
dall’alto, gli vengono imposti dei budget commerciali circa la vendita
di questo o quel prodotto, da poco ideato dalla stessa banca per la
quale lavora.
Ecco perché non vi dovete fidare di quello che vi propongono: primo,
perché innanzi a voi ci sta una persona che del mercato e delle sue
opportunità non sa quasi nulla; secondo, perché quello che vi
presenta, o vi spinge ad acquistare, deve prima portare ricchezza alla
stessa banca. Riprova di questo sono stati i disastrosi collocamenti
delle obbligazioni Cirio e Parmalat, assieme a tanti altri prodotti
porcheria, grazie a cui le banche hanno trasformato il credito, che
vantavano nei confronti di questi due gruppi industriali, in prestiti
obbligazionari da piazzare come super opportunità da non farsi sfuggire
al pensionato mammalucco di turno. Chi pensa di recuperare qualcosa da
questi collocamenti rimarrà ulteriormente deluso.
Eugenio
Benetazzo
operatore di borsa indipendente
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contact@eugeniobenetazzo.com