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Processo
ai depuratori o controllo mentale preventivo?
24 maggio 2004 - Marcello Pamio
L’Italia
consuma, dopo Canada e Stati Uniti, più acqua minerale al mondo!
Sembrerà strano ma nel nostro paese si producono ogni anno oltre 10
miliardi di litri di acqua minerale[1],
(nel 2002 ha raggiunto quasi 11 miliardi di litri[2],
e le previsioni per il futuro sono in crescita), per un consumo pro
capite che supera i 170 litri[3]. Una cifra di tutto
rispetto che pesa non solo nelle tasche degli italiani, ma anche
nell’ambiente! Secondo il sito ufficiale di Mineracqua[4]
- l’associazione di categoria delle acque minerali aderenti a
Confindustria – infatti il 77% delle bottiglie di acqua minerale
vendute sono di plastica (PET). Sapendo che l’acqua viene
commercializzata in bottiglie da un litro e mezzo, un semplice calcolo
dimostra che oltre 5 miliardi di contenitori (per un totale di 128.000
tonnellate di plastica) finiscono ogni anno nelle discariche pubbliche,
provocando un costo ambientale altissimo che grava sulle singole regioni
e di conseguenza su noi consumatori.
Oltre all’impatto ambientale di non poco conto, tra l’acqua minerale
e quella di rubinetto esiste un’estenuante diatriba qualitativa: chi
afferma la superiorità della prima e chi invece giura per la seconda.
Secondo Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, «le acque minerali
italiane sono tra le migliori in Europa, e il regime che vige in Italia
non ha eguali in nessun altro Paese»[5];
sarà sicuramente vero ma nell’acqua di rubinetto – secondo il
giornalista Giuseppe Altamore autore del libro «Qualcuno vuol darcela a
bere» - vengono controllati almeno un centinaio di parametri contro i
49 di quella minerale.
Chi ha ragione? Secondo il salomonico Ministro della Salute,
Girolamo Sirchia, ce l’hanno entrambi: «l’acqua di rubinetto che
si beve in Italia è tra le migliori in Europa (…) – così anche
- l’acqua minerale è pura e controllata e quindi ha
garanzie altrettanto sicure».
Sicuramente
fortunati ad avere le acque migliori e più controllate del mondo, ma è
d’obbligo fare qualche piccola precisazione per entrambe.
L’acqua di rubinetto, dando per scontato la sicurezza
microbatteriologica, ha un grosso problema: il gusto! Può capitare
infatti che sia fresca, limpida e buonissima, ma anche che sia
assolutamente imbevibile, proprio a causa della perdita di quelle
caratteristiche gusto-olfattive (per usare un termine da sommelier), nel
percorso chilometrico all’interno delle tubature, e a causa dei
sistemi di disinfezione utilizzati (clorazione, ecc.).
Mentre il problema dell’acqua minerale non è tanto il gusto ma la
plastica con cui viene imbottigliata, le informazioni incomplete delle
etichette sulle sostanze chimiche in essa disciolte, e per ultimo ma non
per importanza, il depauperamento delle falde sotterranee – con disagi
ambientali enormi - provocato dall’estrazione continua e forzata di
decine di milioni di litri ogni giorno.
Le etichette, che dovrebbero specificare ai consumatori tutte le
caratteristiche biochimiche dell’acqua, sono assolutamente
insufficienti. I produttori elencano solamente una piccolissima parte
del tutto: qualche sale minerale, residuo fisso, conducibilità, ecc. E
il resto? Per quale motivo le percentuali di sostanze presenti non
vengono stampate? Sostanze dichiaratamente cancerogene come
l’arsenico, la cui quantità (50 microgrammi/litro) può essere fino
cinque volte più alta rispetto a quello dell’acqua di rubinetto (10
microgrammi/litro), o del velenosissimo alluminio che in casa non può
superare i 200 microgrammi per litro mentre nella minerale non ha alcun
limite; o che ne so, il manganese il cui limite è di 50 μg/l e
2000 nella minerale. Per non parlare del fluoro il cui valore massimo è
di 1,5 milligrammi per litro in casa contro nessun limite nell’acqua
minerale!
Di tutte queste sostanze, e la lista non è completa, non c’è
l’obbligo di dichiararlo, cioè di scriverlo nell’etichetta: quindi
perché farlo? Lo permette, pensate, una legge del 1939, e all’epoca
le sostanze pericolose per la salute non erano certamente abbondanti
come oggi!
Un
buon motivo per non farlo potrebbe essere quello di evitare informazioni
«ambigue» alle persone che andranno a bere quell’acqua; informazioni
che però devono assolutamente essere fornite, se non dal punto di vista
informativo, da quello etico e professionale. Una corretta e completa
informazione è fondamentale nel rapporto fiduciario tra produttore e
consumatore!
Se si venisse a sapere per esempio che una bottiglia di minerale
contiene diversi milligrammi di fluoro, o magari anche di più visto che
il limite non c’è, quanti l’acquisterebbero, dopo aver saputo
dell’influenza che tale sostanza chimica ha sul cervello e sul
comportamento? Ma questo lo vedremo in dettaglio alla fine
dell’articolo.
Nel nostro paese l’acqua minerale è un bene demaniale[6]
e lo sfruttamento è permesso a quelle aziende (circa 160 ditte con 250
marchi) che sono titolari di concessioni. I canoni annuali che le
regioni impongono per queste concessioni[7] però rasentano il
ridicolo. Qualche esempio? L’azienda Vera (controllata dalla
multinazionale Nestlé[8])
per estrarre l’acqua in Veneto paga alla regione ogni anno la stratosferica
cifra di 3615,20 euro; mentre la San Benedetto (controllata sempre
dalla Nestlé[9])
ogni anno ne spende addirittura 555,16 euro! Avete capito? Poco
più di un milione di vecchie lire per un intero anno di estrazioni!!!
E’ per questo motivo che l’acqua imbottigliata, distribuita e
pubblicizzata arriva a costare dalle 500 alle 1000 volte in più
rispetto all’acqua di rubinetto (un produttore alla fine paga un litro
di acqua più o meno 0,02 lire, cifra che non è convertibile in euro).
L’aumento dell’estrazione - aiutato da canoni regionali iniqui - però
sta mettendo seriamente in pericolo non solo le falde acquifere stesse
ma anche tutto l’ambiente collegato.
L’ultimo
problema riguarda invece il contenitore utilizzato per l’acqua
minerale, il PET o anche polietilentereftalato
- i cui brevetti per gli Stati Uniti sono nelle mani dell’impero
chimico Du Pont[10].
Secondo Altamore infatti «l’acqua minerale può restare in
circolazione fino a 18 mesi, conservata talvolta in condizioni non
ottimali». Condizioni che riguardano lo stoccaggio, il trasporto e
l’esposizione prolungata al sole. Chi può garantire il mantenimento
della struttura chimica del contenitore e della stessa acqua dopo mesi
dall’imbottigliamento e nelle condizioni appena viste?
Siccome ovviamente nessuno può garantire alla popolazione la
sicurezza assoluta, da qualche anno sempre più persone - nonostante la
campagna mediatica miliardaria delle lobbies delle bollicine che investe
carta stampata e televisioni - si stanno rivolgendo verso quei sistemi
alternativi che permettono la depurazione casalinga dell’acqua. Questa
nuova presa di coscienza è motivata da diversi fattori: incompleta
informazione delle sostanze contenute nell’acqua in bottiglia come
abbiamo visto, risparmio economico, rispetto ambientale e soprattutto
praticità. Basta code al supermercato; basta ai quintali di bottiglie
da trasportare fino a casa; basta alle tonnellate di plastica che
dovranno essere riciclate con costi notevoli. Un bel depuratore e via!
Queste apparecchiature vengono collegate direttamente al rubinetto di
casa o alla tubatura principale e sono in grado di filtrare l’acqua
rendendola non solo più buona ma anche più sicura per la salute. Con
un costo che varia da poche centinaia a qualche migliaio di euro, questi
depuratori, (a filtri oppure a «osmosi»), si ammortizzano in
pochissimi mesi, richiedendo solamente una manutenzione. Manutenzione
che, come vedremo, ha creato non pochi problemi ai produttori…
La differenza di costo tra i due sistemi dipende soprattutto dalla
differente tecnica di filtraggio: quelli più economici, a filtri,
bloccano essenzialmente cariche batteriche e sostanze indesiderate sopra
una certa dimensione (0,3 o 0,4 micron: milionesimo di metro); quelli a
osmosi invece filtrano attraverso una membrana particolare il 90-98%
delle sostanze chimico-tossiche: arsenico, cloruri, cianuri, pesticidi,
mercurio, bromuri, fluoruri, virus, cariche patogene, microbi, ecc.
I depuratori a «osmosi
inversa», questo è il nome tecnico-commerciale, in questi mesi sono
stati oggetto di grossissime polemiche sanitarie e legali, al punto tale
da scatenare una vera e propria campagna mediatica molto simile alla
caccia alle streghe di qualche secolo fa. Articoli di giornali hanno
criticato fermamente questi sistemi, affermando la loro non sicurezza
per la salute. Trasmissioni televisive hanno fatto spazio alla
programmazione per denunciare tutto ciò: «Striscia la Notizia» se
n’è interessata il 2 ottobre 2003 e dopo pochi giorni, l’8 ottobre,
anche i canali nazionali con «Mi manda RaiTre».
Una vera e propria campagna diffamatoria!
L’unica cosa che possiamo dire in proposito è che la stampa e la
televisione si sono interessate così a fondo e con un tale accanimento
a questa vicenda che il sospetto di un conflitto d’interessi è molto
forte. Gli investimenti pubblicitari dei produttori di minerale si sa
raggiungono cifre da capogiro: nel 2002, per fare solo un piccolo
esempio, hanno speso oltre 300 milioni di euro per sponsor suddivisi in
questo modo: televisione (62%), radio (11%), quotidiani (14%), periodici
(10%) e affissioni (2%).[11]
Una canale televisivo o un quotidiano che riceve così tanti
soldi in pubblicità, ovviamente deve stare molto attento a non perdere
la fiducia degli sponsor - in questo caso la minerale - altrimenti
questa sfiducia si potrebbe trasformare in perdita economica vera e
propria! Se lo sponsor spende milioni di euro per decantare le qualità,
la purezza e la sicurezza dell’acqua minerale, secondo voi in quel
giornale o in quella televisione sarà possibile leggere o ascoltare
l’utilità dei depuratori di acqua casalinghi? Penso proprio di no!
Questo fiume di milioni che inonda i media da ogni parte,
potrebbe spegnere qualsiasi approccio critico nei confronti della
minerale, e accendere invece la discussione sulle strade alternative!
Semplici ipotesi, che però s’incupiscono quando si legge del
sequestro da parte dei carabinieri dei NAS di centinaia di depuratori a
osmosi inversa a Padova. Una denuncia privata ha fatto scattare nel
Nord-Est il sequestro cautelativo di oltre 800 impianti e le
perquisizioni a decine di aziende del settore.
A questo punto è
importante precisare che ultimamente numerose aziende, dopo aver fiutato
l’odore del guadagno facile, da un giorno all’alto si sono
improvvisate esperte nella depurazione, lanciando nel mercato numerose
apparecchiature. Costi proibitivi, sistemi di vendita illegali e totale
mancanza di esperienza, hanno creato le condizioni per far scattare le
denunce da parte degli utenti, sfociate poi nei sequestri e indagini. La
manutenzione di questi impianti infatti è fondamentale per il
mantenimento e la qualità dell’acqua.
Oltre all’irresponsabilità di queste neoaziende, che rappresentano la
minoranza, a complicare il quadro si aggiunge una normativa che impone
agli «addolcitori» (apparecchiature che scambiano chimicamente ioni di
calcio con ioni di sodio, ben diversi dai depuratori in oggetto) di non
scendere sotto un certo parametro sulla demineralizzazione. In pratica
non è permesso togliere minerali sotto una certa soglia.
La quantità di sali minerali (Calcio e Magnesio) è chiamata
tecnicamente «durezza» e nell’acqua si misura in Gradi Francesi (°F).
Per intenderci: 1 grado francese (1°F) corrisponde a 10 milligrammi per
litro di idrocarbonato di calcio; ciò significa che un’acqua con «durezza»
di 15 °F contiene 150 milligrammi di carbonato. La legge nell’acqua
potabile non definisce un vero e proprio valore guida, ma piuttosto «consiglia»
valori di durezza compresi tra 15 e 50 °F; maggiore è questo numero e
più alta è la concentrazione di sali! Mentre le cosiddette acque «addolcite»,
cioè le acque dove gli ioni di calcio sono stati sostituti da quelli di
sodio, hanno un limite di 15 °F (Decreto legislativo n° 31 del
02/02/2001) sotto il quale non si può andare. In pratica, la massima «addolcitura»
permessa deve lasciare almeno 150 milligrammi per litro di sali.
Questo è un problema di non poco conto per i depuratori a osmosi, perché
in mancanza di una normativa specifica per questa particolare
depurazione, vengono considerati alla stregua degli «addolcitori»,
nonostante la differenza sia abissale: gli «addolcitori», eseguono un
vero e proprio trattamento chimico all’acqua, mentre nei depuratori a
osmosi il trattamento è fisico (la membrana lascia passare solo le
molecole sotto un certo diametro). Ora, questo trattamento fisico (e non
chimico) dell’osmosi abbatte quasi totalmente la durezza l’acqua, e
quindi per il decreto visto prima (che sarebbe valido solamente per gli
«addolcitori») non sono conformi agli standard. E’ bene ricordare
che le principali marche di acqua minerale in commercio hanno una
durezza inferiore a 15°F, e le più pregiate e costose, addirittura
sono inferiori a 1°F. Ma essendo acque minerali…il discorso
ovviamente non vale.
Quindi le acque
minerali minimamente o quasi per nulla mineralizzate (sotto 1°F) sono
perfettamente legali e salubri, mentre le acque «osmotizzate» no! Come
mai questa discrepanza, e perché vengono considerati uguali, quando non
lo sono, gli «addolcitori» e i depuratori? Le risposte, come al solito
sono scontate.
L’altro motivo per cui si punta il dito verso i depuratori a osmosi è
che l’acqua viene privata per la quasi totalità dei minerali. Ma
anche in questo caso, a confutare tale assurda teoria vi sono numerose
ricerche scientifiche, tra cui, quelle dell’idrologo francese Vincent.
Louis Claude Vincent - consulente del governo, che negli anni ’50
debellò in Libano alcune epidemie facendo bere alla popolazione acqua
bioelettonicamente pura – ha dimostrato infatti che solamente i sali
organici, in grado di fare ruotare la luce polarizzata, possono essere
assimilati dall’organismo umano. Tutti gli altri provocano un
sovraccarico del sangue e di conseguenza del fegato e delle reni. Questo
significa che un sale inorganico per essere assimilato correttamente
dall’organismo deve essere prima «vegetalizzato», cioè reso
organicamente disponibile dalla meravigliosa macchina alchemica chiamata
Natura, altrimenti è come ingerire dei sassi! Secondo voi i minerali
contenuti nell’acqua potabile o in quella in bottiglia sono stati vegetalizzati
prima?
Tornando al discorso dei sequestri e della campagna di discredito
eseguita a 360 gradi fatta contro questi depuratori, a rimetterci la
faccia - grazie soprattutto ai media compiacenti che non fanno
distinzioni alcuna - sono stati tutti quei produttori e/o rivenditori
seri che lavorano correttamente da anni e che seguono in tutto e per
tutto i propri clienti. Questi hanno subito un danno all’immagine e un
danno economico enormi, e faranno molta fatica a riconquistare la
fiducia delle persone, in particolar modo di quelle condizionate
mentalmente dal tubo catodico.
Visto che stiamo parlando di menti condizionate, vorrei aggiungere
un’ultima cosa in merito al processo, prima mediatico e poi legale,
dei depuratori a osmosi inversa, e riguarda una sostanza che si chiama
fluoro, o per essere precisi, fluoruro di sodio.
Ricordiamo quello
che abbiamo detto prima a proposito del fluoro: nell’acqua di
rubinetto la sua presenza è limitata a 1,50 milligrammi per litro,
mentre nell’acqua in bottiglia tale limite non esiste!
Detto questo è necessario sapere che vi sono numerosi studi medici che
mettono in luce gli effetti negativi del fluoro a livello organico e sul
comportamento.
Partiamo dalla d.ssa Mullenix (PhD
alla Harvard University), le cui ricerche hanno dimostrato come dosi
somministrate ai topi prima della nascita davano luogo a marcata
iperattività nella prole, mentre la somministrazione dopo la nascita
determinava quella che la Dr. Mullenix chiama «sindrome da
teledipendente» - un malessere o assenza di iniziativa ed attività.[12]
Siamo assolutamente convinti dell’inutilità e crudeltà dei test
sugli animali, ma questo aumento di iperattività riscontrata a causa
del fluoro, non può essere associato anche all’aumento della ADHD
(Sindrome da iperattività con o senza deficit di attenzione) nei
bambini?
Cosa dire poi della sindrome definita del «teledipendente»? Assomiglia
molto, e non per via del nome, alla totale assenza con mancanza di
reazione dei bambini davanti alla televisione!
Alla Florida International University invece, i ricercatori Rotton,
Tikovsky e Feldman, hanno riscontrato che «...piccole quantità (0.45
p.p.m.) di soluzione di fluoruro di sodio...danneggiano le
caratteristiche sensomotorie della visione» con il conseguente
abbassamento nei tempi delle reazioni mentali e fisiche (J.A.P., voI.
67:2).
Per problemi di spazio, citiamo un ultima ricerca, questa volte eseguita
in Cina[13]
sull’intelligenza di 907 bambini tra gli 8 e i 13 anni. L’indagine
dimostra inequivocabilmente che il quoziente di intelligenza dei bambini
che vivono in aree con alta presenza di fluorosi[14]
è più basso statisticamente di quello riscontrato sempre nei bambini
in zone a bassa presenza di fluorosi. In pratica, i bambini più a
contatto con il fluoro nell’ambiente, riducono il proprio quoziente
intellettivo!
Il fluoro in definitiva ha un’azione diretta sullo sviluppo di una
zona molto particolare del cervello: l’ippocampo. Quest’ultimo
assieme all’amigdala fanno parte del sistema limbico e svolgono la
funzione di regolazione e formazione della memoria e delle emozioni.
Il fluoro quindi va ad interagire nella zona che gestisce e regola la
memoria e le emozioni! In particolare l’amigdala, strettamente
interconnessa all’ippocampo, gioca un ruolo fondamentale
nell’acquisizione della paura condizionata che nasce anche quando lo
stimolo scatenante non è presente! Ricordando che le emozioni
rappresentano una risposta organica a situazioni importanti per l’uomo
come rabbia e paura: quali conseguenze potrà mai avere sul
comportamento umano questa sostanza che troviamo un po’ dappertutto:
acqua, dentifrici, caramelle, gomme da masticare, farmaci, spray, ecc.
E’ forse per questo che le truppe naziste, dopo aver conquistato una
città, la prima cosa che facevano era fluorare l’acqua? Volevano
proteggere lo smalto dei denti - come afferma la scienza medica - della
popolazione o per caso indebolire la loro capacità di reazione,
esaltando contemporaneamente la macchina propagandistica? Sotto questa
luce, anche la strana decisione presa da Margaret Thatcher
(guarda caso laureata in chimica!) ai primi degli anni ‘80 di fluorare
l’acqua dell’Irlanda del Nord, forse non è poi così strana…
Sorge
allora il sospetto che questo accanimento mediatico nei confronti dei
depuratori a osmosi inversa, e solo di essi, non sia del tutto casuale
ma che rientri in un piano strategico ben preciso; anche perché tali
apparecchiature sono le uniche in commercio in grado di filtrare il
fluoro!
In un periodo caratterizzato da censura e guerre preventive, speriamo
che non s’inizi a parlare anche di controllo (mentale) preventivo…
Marcello
Pamio
Per
approfondimenti in rete sul fluoro:
www.nofluoride.org
(inglese)
www.nofluoride.com
(inglese)
www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/index.htm
(italiano)
[1]
«Annuario 2002-2003 delle Acque Minerali e di Sorgente Italia»
[2]
Andrea De Biagi, «Messaggero di Sant’Antonio», febbraio 2004
[3]
Giuseppe Altamore, autore del libro «Qualcuno vuol darcela a bere»,
F.lli Frilli editore
[3]
Fonte: Nielsen, periodo gennaio-dicembre
[4]
www.mineracqua.it
[5]
Andrea De Biagi, «Messaggero
di Sant’Antonio», febbraio 2004
[6]
Demanio: complesso dei beni appartenenti allo Stato in quanto
destinati all’uso diretto o indiretto dei cittadini. «Dizionario
della lingua italiana», Devoto e Oli
[7]
Decreto Regio del 1927
[8]
«Guida al consumo critico», EMI edizioni
[9] Idem
[10] «Enciclopedia
internazionale di chimica» , 1969, edizioni PEM
[11]
Fonte: Nielsen, periodo gennaio-dicembre 2002
[12]
[Massimiliano Benevene - «Attenti al fluoro» - www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/index.htm
[13]
N. doc. BIOSIS/96/00670, pubblicata nel 1996 nel sito governativo
Toxnet: NIM, National Library of Medicine, la Libreria Nazionale di
Medicina degli Stati Uniti.
[14]
Fluorosi: intossicazione acuta o cronica da fluoro; di manifesta con
gravi turbe gastroenteriche e, nelle forme croniche, anche con
lesioni a carico dello smalto dei denti.