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Esclusivo:
così alcuni istituti di credito «vendevano» ai clienti più «deboli»
Prendi e soldi e sbanca
Di
Silvano Guidi – tratto da «Famiglia Cristiana» del 25/01/2004
Un
sondaggio tra i bancari dell’Emilia-Romagna rivela che metà di loro
aveva ricevuto ordine di piazzare prodotti finanziari a rischio agli
ignari clienti.
L’indagine è di quelle che scottano. Forse per questo su 12 mila
questionari distribuiti fra i bancari dell’Emilia-Romagna, solo 500
sono tornati indietro, compilati in forma anonima. «Il sondaggio non ha
valore assoluto, ma è un illuminante distillato di umori e disagi di
chi, in banca, siede al di là dello sportello, esponendo sé stesso e
la propria affidabilità nel delicato rapporto con la clientela»,
spiega Maurizio Vescogni, segretario regionale della Fiba, il sindacato
di settore aderente alla Cisl, ideatore dell’iniziativa.
La ricerca evidenzia che circa la metà di quei 500 lavoratori bancari
dichiara di aver ricevuto indicazioni dall’alto per piazzare
particolari prodotti finanziari a clienti "deboli"; chi, poi,
per questioni di coscienza si è rifiutato, o è stato rimosso dal
proprio incarico o ha avuto comunque problemi in azienda.
«È
assai probabile che l’eco di queste rappresaglie abbia indotto tanti
possibili obiettori a adeguarsi alle leggi, scritte e non scritte, degli
istituti di credito», accusa Vescogni. «Ne è riprova, a nostro
avviso, il fatto che fra coloro che hanno venduto prodotti inadatti, ben
il 75 per cento dichiara di aver sofferto per crisi di coscienza e
ammette, in parte, che sarebbe stato comunque suo dovere morale
rifiutarsi di farlo».
L’imperativo: «vendere comunque»
Cliente "debole". Che
cosa vuol dire? «È la persona non in grado di decidere da sola se la
proposta che riceve è la più idonea, se il prodotto finanziario
offerto è più o meno rischioso, se l’investimento suggerito è
quello più rispondente alle sue capacità di reddito», chiarisce
Giuseppe Orizio, massimo responsabile dei bancari della Cisl.
«Tutto
quanto sta accadendo noi lo chiamiamo "mal di budget", quel
meccanismo retributivo dei bancari legato ai risultati che l’azienda
chiede di raggiungere. La pressione per la vendita di prodotti
finanziari è diventata troppo stressante, con privilegio della quantità
sulla qualità. L’imperativo è vendere comunque, e non vendere
ponderatamente in funzione del cliente che hai di fronte. Un prodotto può
essere valido in sé, ma non necessariamente adatto a tutti. Volendo
estremizzare: una polizza-vita che duri 15-20 anni offerta a un
ottantenne diventa una proposta indecente».
Ma il bancario addetto alla vendita di prodotti finanziari, come i corporate
bond, è professionalmente all’altezza del compito? «Conosce
tecnicamente il prodotto, non necessariamente la sua solidità. È
impensabile, del resto, che un semplice impiegato faccia, in prima
persona, l’analisi del titolo; si fida di quanto gli viene trasmesso
dal vertice aziendale», è la risposta di Orizio. «Non dimentichiamo
che è proprio il bancario a "spendere" la propria faccia nei
confronti del cliente, che è assai spesso un conoscente».
Come viene vissuta da dietro lo
sportello la vicenda dei bond Parmalat? «Male e con molta
preoccupazione: i clienti hanno chiesto conto di consigli e suggerimenti
ricevuti. I bond sono obbligazioni emesse da imprese in cerca di
finanziamenti; banche o consorzi di banche provvedono al loro
collocamento presso investitori istituzionali, in cambio di una
commissione variabile fra lo 0,5 e l’1 per cento. È solo in una
seconda fase che interviene il mercato, quando i risparmiatori privati
entrano in gioco con i loro acquisti. Con il senno di poi, abbiamo
venduto e consigliato titoli spazzatura, spacciandoli per investimenti
un po’ più rischiosi della media, in un precario gioco d’equilibrio
fra disposizioni aziendali, risultati da raggiungere e consulenza alla
clientela».
Nei confronti del passato gli
investimenti consigliati oggi sono più raffinati; a volte si tratta di
"scatole cinesi" rispetto alle quali l’ignaro risparmiatore
non ha altro metro di valutazione se non la semplice fiducia nello
sportellista.
«È
vero. Un risparmiatore male informato fa cattive scelte, la cattiva
scelta si riverbera sulla reputazione dell’intermediario che ha
guidato il cliente; poi, a catena, la sfiducia rischia di contaminare,
ingiustamente, l’intera industria bancaria. Diventa allora difficile,
se non impossibile, promuovere l’immagine degli istituti di credito
come aziende socialmente ed eticamente responsabili. Il rischio è che
non ci creda più nessuno».