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«Il
Polemos è il padre di tutte le cose»
Di
Francesco Cardone
«Il
Polemos è il padre di tutte le cose»; é un frammento di Eraclito di
circa duemila e cinquecento anni fa. Eppure esso rimane una sorta di
vessillo di tutta la cultura occidentale, e non solo. Alla lettera il
frammento dice che la Guerra, in tutte le sue forme, è l'unico arbitro
della vita, ed in particolare per ciò che riguarda la commedia umana.
Se provassimo infatti a rivedere l'intera storia dell'uomo, dalle sue
origini fino ad oggi, si dovrebbe ammettere che il polemos è stato il
minimo comun denominatore di tutte le epoche. Il polemos non è però
solo la semplice manifestazione della violenza concreta dell'uomo nei
confronti degli altri - uomini, animali, cose -, esso ha costruito il
pensiero dell'uomo, rendendo possibile qualcosa come la «cultura».
Pensiamo solo alla «dialettica»: due interlocutori si fronteggiano
argomentando le loro «verità», ognuno di loro vuole «vincere»
sull'altro, inficiare l'argomento dell'altro; chi vince è colui che
dice il vero...ma questo vero non è tale per sé stesso, è bensì il
«risultato» di una guerra.
La «verità» delle religioni non è mai qualcosa di vero, ma il
risultato di un processo storico, in cui una verità sopprime l'altra, e
trionfando viene condivisa da tutti. La verità si rivela al popolo
mediante l'argomento della «potenza», quanto cioè più una verità è
«potente» tanto più è «vera». Quanto più il «mio» dio è
potente su qualsiasi altra divinità, tanto più «io sono potente»
sugli altri.
Non bisogna farsi illusione su questo punto: la volontà di potenza, di
dominio, è la medesima volontà di verità...certo di una verità che
non è tale perché è vera, ma solo perché vince, domina, condiziona
l'abitare dell'uomo. In fin dei conti l'argomento più valido per
sostenere l'esistenza di Dio sta nel dominio della sua verità su tutta
la comunità.
Ogni conquista dell'uomo, nel bene e nel male - al di là del bene e del
male - è sempre stata il risultato di un polemos, condizionato quindi
da quest'ultimo.
La guerra infinita di cui parla egregiamente Giulietto Chiesa, se vista
mediante lo sviluppo della storia umana, è solo il compimento di questo
processo, di questo tragico processo. L'inizio di questa «ultima»
guerra, non manifesta altro che la malattia dell'uomo, la quale non è
semplicemente la manifestazione del suo «agire», ma ancora più
profondamente è la conseguenza di come egli «vede», «pensa» il
reale. Fin quando cioè l'uomo penserà la realtà tout
court in termini di polemos, ogni guerra, per quanto sia spregevole,
menzognera nelle sue ragioni, sarà giustificata.
Il problema di fondo non è quindi la superficie in cui si compiono le
guerre, ma il sottosuolo a partire dal quale la guerra si giustifica,
perché appunto mostra l'alfa e l'omega della vita, in tutte le sue
manifestazioni.
La sua più grande rivoluzione l'uomo non l'ha mai compiuta; la sua
evoluzione ha riguardato «solo» gli strumenti per affinare il polemos:
la tecnica. Al termine di questo processo storico infatti sta la
tecnica, la quale non fa altro che potenziare all'infinito la capacità
del polemos. La tecnica con la sua capacità di produrre e distruggere
tutto il reale, non fa altro che compiere perfettamente la sentenza di
Eraclito, testé citata.
Certo, noi possiamo criticare con tutti gli argomenti possibili il
fenomeno che si sta compiendo oggi, mostrare come l'amministrazione
americana stia portando sull'orlo del baratro tutta la civiltà umana,
mostrare come i loro argomenti siano menzogneri ed irresponsabili; tutto
questo è giusto è va fatto «sempre». Ma questo non elimina il
problema di fondo: «Il Polemos è il padre di tutte le cose».
Se nel cuore della nostra cultura non affiorerà un pensiero veramente
alternativo, un pensiero che percepisca la realtà non in termini di
produzione-distruzione, la civiltà umana sarà sempre sul procinto di
autoannientarsi. In fin dei conti basterebbe essere veramente coscienti
del fatto che tutte le cose sono tra loro intimamente connesse, e non
solo con tutto ciò che è adesso presente, ma anche con tutto ciò che
è passato e con tutto quello che ancora deve venire.
È questo un pensiero paradossalmente antichissimo, ma mai veramente
compiuto dall'uomo; se infatti la tecnica attuale domina il
reale,compiendo il polemos, mediante la convinzione che la realtà possa
essere smembrata; in cui cioè le cose, i rapporti umani, possano essere
isolati da tutto il resto; questo pensiero antichissimo vuole
affratellare tutto, perché vede che tutto è affratellato. La
distruzione di qualcosa – rapporti, uomini, culture, popolazioni –
non è isolata da tutto il resto del mondo, ogni volta che isolando
qualcosa la distruggiamo in verità distruggiamo l’intero mondo.
Certo non fisicamente, ammesso che il nostro modo di pensare il reale
sia veramente corretto, eppure l’aria che tutti noi respiriamo è la
«medesima», e se viene inquinata, tutti noi ne subiremo le
conseguenze. L’uomo pensa che il mondo possa essere isolato in
compartimenti stagni, in cui se nasci in quello «giusto» sei
fortunato, se invece hai la sfortuna di vivere in quello sbagliato la
tua vita sarà miseria. Ma questi compartimenti stagno in realtà sono
aperti, e tutto quello che produci «male» in un luogo «lontano»
prima o poi ti ritorna «vicino», estremamente vicino.
Il
polemos della tecnica è convinto di poter controllare e distruggere, se
«necessario», regioni del mondo. Demandare ad esempio alle regioni
povere del mondo la produzione a basso prezzo di manufatti, che
l’occidente ricco poi comprerà. Ma ritenete veramente che alla lunga,
ma non troppo, quell’indigenza non si riverserà sulle regioni ricche?
Credete veramente che la povertà possa essere controllata e separata da
«noi», gli eletti di questo processo storico?
Se
il polemos continuerà a guidare il pianeta «uomo» sempre di più con
la globalizzazione noi ci ritroveremo all’erigersi di muri sempre più
alti, altro che integrazione! Il nostro «benessere» deve essere
preservato – negli USA dicono: il nostro stile di vita non
è negoziabile –, questo significa che la preservazione deve
comportare l’isolamento della parte «buona» da quella «cattiva».
Nella cultura occidentale il «buono» è sinonimo di «bello» e il «cattivo»
di «brutto». La nostra società mediante i «bisturi» ci assicura di
diventare «belli», e addirittura un esponente di questa attuale
maggioranza qui in Italia ci conferma che chi è «bello» è «naturalmente»
disposto alla «bene», chi invece è «brutto» è orientato verso il
«male». Con la tecnica noi saremo tutti belli «fuori» e buoni «dentro»,
e quelli brutti dovranno essere isolati, impiegati nei lavori più
spregevoli, e ogni tanto scremati, perché si sa i brutti si riproducono
sempre di più. Alcuni ipotesi dicono che le armi di distruzione di
massa di noi occidentali potrebbero venir usate per questi scopi, non
solo quelle chimiche – la SARS? –, ma anche quelle «climatiche»:
HAARP. Un popolo «brutto» e «cattivo» si sta sviluppando troppo? Che
problema c’è! Creiamo una forte siccità – uragani, tempeste,
terremoti – nella loro regione, così da sfoltirli, e il problema è
risolto.
È
questo l’evoluzione umana? Questi i suoi valori? Questa la sua
direzione?