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Placebo,
secondo i neurologi non sarebbe autosuggestione
Di
Luigi Sparti - «Libero» 24 febbraio 2004
La
nostra psiche condizione direttamente il sistema immunitario!
Si
progettano farmaci capaci di provocare chimicamente l’effetto.
Ann
Arbor – Ricercatori americani hanno identificato le basi neurologico
dell’effetto placebo, fornendo così una prova scientificamente
piuttosto robusta dell’esistenza di questo controverso fenomeno. A
effettuare l’interessante studio sono stati Tor Wagner e il suo team
dell’Università del Michigan (ad Ann Arbor).
Con il termine «effetto placebo» (introdotto per la prima volta nel
1955) si indica il fenomeno per cui la psiche umana sarebbe in grado di
influire in modo per così dire diretto su certe funzioni
dell’organismo, e più in particolare sul sistema immunitario: in
sostanza la fiducia che un paziente ha nella validità di una certa
terapia (anche se quest’ultima è in realtà del tutto inefficace)
eserciterebbe un influsso sensibile sullo stesso processo di guarigione.
La
ricerca medica ha preso molto su serio l’effetto placebo (tanto che
moltissimi test sui farmaci prevedono strategie atte a limitarne
l’influsso in sede sperimentale), ma nonostante ciò in seno alla
comunità scientifica permangono ancora molti dubbi sull’effettiva
esistenza e sul funzionamento di tale fenomeno.
Wagner ha selezionato un certo tipo di volontari, sottoponendoli a
stimoli dolorosi ma innocui (lievi scariche elettriche e così via);
dopo le prime sessioni di «tortura» il team ha dato ad alcuni dei
soggetti-cavia una crema per la pelle, sostenendo (in modo ingannevole)
che il prodotto in questione era in grado di ridurre la percezione del
dolore: scopo dell’operazione era dunque quello di scatenare nei
volontari l’effetto placebo (tanto che coloro che utilizzarono la
crema dichiararono in media di soffrire di meno).
Nel
frattempo Wagner e colleghi hanno monitorato l’attività cerebrale dei
partecipanti mediante la risonanza magnetica. Risultato: mentre i
soggetti sprovvisti di crema attivarono soprattutto aree nervose
deputate alla percezione del dolore (ad esempio il talamo), gli altri
volontari attivarono anche la corteccia prefrontale (collegata alle
attività cognitive superiori), segno inequivocabile che l’effetto
placebo è una realtà, e che non agisce cancellando le sensazioni
dolorose (che i volontari continuavano a provare), ma processandole e «interpretandole»
in modo diverso.
E
il team del Michigan sta già pensando alla possibilità di sviluppare
farmaci specifici in grado di stimolare chimicamente le aree cerebrali
preposte al placebo, provocando questo fenomeno a comando.