Home Page - Contatti - La libreriaLink - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori

- Pitagora di Samo

Pitagora: l’illuminato di Samo
Tratto dal libro “I grandi iniziati” Edouard Schuré

La grandissima Grecia d’Orfeo che si adunava nel tempio di Delfo cominciava a decadere.
Nel settimo secolo prima di Cristo gli ordini di Delfo non erano più rispettati e si violavano i territori sacri. I sacerdoti erano corrotti, si vendevano ai poteri politici dell’epoca, e la loro moralità andava lentamente a dimenticarsi.
All’antica monarchia sacerdotale e agricola succedeva da una parte la tirannia pura, l’aristocrazia militare e altrove una democrazia anarchica.

I templi erano divenuti impotenti a prevenire una dissoluzione minacciosa di valori, per cui serviva una profonda ventata di rinnovamento: la divulgazione delle dottrine esoteriche s’era fatta assolutamente necessaria. Le conoscenze andavano divulgate.
Nonostante sia storicamente esistito, Pitagora è rimasto un personaggio semi-leggendario, semidivino. Forse la ragione sta nella persecuzione accanita che ha subìto, che costò la vita a numerosi pitagorici, ma soprattutto per quello che portò sulla Terra.
Vista dall’alto, aperta con le chiave dell’esoterismo, la sua dottrina presenta un magnifico complesso, un tutto organico, le cui parti sono tutte collegate.

Quasi contemporaneamente e in diversi punti del globo, altri grandi riformatori volgarizzavano dottrine analoghe: Lao-Tze spuntava in Cina, l’ultimo Buddha, Sakyamuni, predicava sulle rive del Gange, a Roma il re Numa tentava di frenare l’ambizione minacciosa del senato romano.
Non a caso nello stesso momento storico, appaiono, presso popoli così lontani e diversi, grandi personaggi le cui missioni concorrono ad uno scopo comune e che dimostrano che una stessa corrente spirituale ha attraversato misteriosamente tutta l’umanità del periodo.

Gli anni del viaggio
Al principio del sesto secolo avanti Cristo, l’isola di Samo era una delle isole più fiorenti della Ionia.
Pitagora era figlio di un ricco mercante di anelli e di una donna chiamata Partenide. Non un figlio qualunque, sarebbe stata una persona “utile a tutti gli uomini in tutti i tempi”, almeno così profetizzò Pizia, l’oracolo di Delfo dell’epoca, che venne consultato dai giovani sposi durante un viaggio.
L’oracolo inoltre spedì la giovane coppia a Sidone in Fenicia, lontano da influenze perturbatrici della sua patria, affinché il figlio predestinato fosse concepito nel miglior modo possibile. Ad un anno sua madre, sempre seguendo i consigli dei sacerdoti di Delfo, portò Pitagora nel tempio di Adonai, nella valle del Libano, per ricevere la benedizione del gran sacerdote.

Pitagora fin da piccolo era bellissimo, dolce, moderato e pieno di giustizia e la sua sete di conoscenza insaziabile.
Lungi dal contrariarlo, i parenti lo incoraggiavano nei suoi studi, e così Pitagora ha potuto conferire con i sacerdoti di Samo e con tutti i sapienti della sua città.
A diciotto anni aveva seguito le lezioni di Ermodomante di Samo, di Ferecide a Siro, s’era intrattenuto con Talete e Anassimandro da Mileto, ma tutti questi grandi maestri gli avevano aperto nuovi orizzonti, ma nessuno aveva spento la sua sete di sapere.
Fra tutti i loro insegnamenti contradditori egli cercava interiormente il legame, la sintesi, l’unità del tutto.
Voleva trovare l’accordo tra i tre mondi: Terra (Demetra la madre), il Cielo e l’umanità. I tre mondi esistevano immutabili, come il seno di Demetra, la luce degli astri e il cuore umano, ma soltanto colui che sapesse trovare il loro accordo e la legge del loro equilibrio sarebbe un vero saggio; egli solo possederebbe la scienza divina e potrebbe aiutare gli uomini.

E’ nella sintesi dei tre mondi che risiede il segreto del cosmo, si disse una sera Pitagora, e pronunciando la parola cosmo, si alzò, e il suo sguardo affascinato ed in estasi fissando la facciata dorica del tempio.
Credette di scorgere l’immagine ideale del mondo e la soluzione al problema che cercava, perché la base, le colonne, l’architrave e il frontone triangolare gli rappresentavano la triplice natura dell’uomo e dell’universo, del micro e macrocosmo, coronato dall’unità divina, che è essa stessa trinità.
Allora il cosmo, dominato e penetrato da Dio, formava la Tetrade sacra, immenso e puro simbolo, fonte della natura e modello degli dèi!

Là era nascosta, in quelle linee geometriche, la chiave dell’universo, la scienza dei numeri, la legge ternaria (3) che regge la costituzione degli esseri, e quella settenaria (7), che presiede alla loro evoluzione.
Pitagora vide i mondi muoversi secondo il ritmo e l’armonia dei numeri sacri, l’equilibrio della e terra e del cielo; i tre mondi: naturale, umano e divino, che si sostengono e si determinano reciprocamente, rappresentando col doppio moto, ascendente e discendente, il dramma universale. Intuì le sfere del mondo invisibile, che avvolge il mondo visibile ammantandolo senza posa e concepì la purificazione e la liberazione dell’uomo, per mezzo della triplice iniziazione.
Lo spirito di Pitagora, che aveva acquisito le ali, si pose ad indagare nel suo passato fino a quando un ricordo d’infanzia gli ritornò con precisione: lo ierofante del tempio di Adonai, quando egli aveva solo un anno disse alla madre: “O donna della Ionia, tuo figlio sarà grande per la sua sapienza, ma ricordati che se i greci posseggono ancora la ‘scienza degli dèi’, la ‘scienza di Dio’ non si trova più che in Egitto”.
Con queste parole Pitagora aveva compreso che gli serviva, per penetrare sino in fondo la natura, la “scienza di Dio” e che l’avrebbe trovata nei templi d’Egitto.

Così il giovane samio, partì per la terra dei faraoni!
Furono anni duri perché i sapienti d’Egitto diffidavano dei greci, per cui cercarono in tutte le maniere di scoraggiarlo, ostacolarlo con prove e ostacoli durissime ma la pazienza, il coraggio incrollabili e soprattutto il destino di questa grandissima anima, ebbero la meglio.
Sotto il pontificato del gran sacerdote Sonchis, Pitagora rimase in Egitto per ben 22 anni!
Quando i sacerdoti egiziani riconobbero l’immensa forza d’animo e quella passione impersonale per la sapienza, gli aprirono i tesori della loro sapienza. Presso di loro approfondì le matematiche sacre, la scienza dei numeri o dei princìpi universali.

“La scienza dei numeri e l’arte della volontà sono le due chiavi della magia, dicevano i sacerdoti di Menfi: esse aprono le porte dell’universo”.

In Egitto, Pitagora acquisì la “visione dall’alto”, che permette di comprendere l’involuzione dello spirito nella materia per mezzo della creazione universale, e la sua evoluzione, cioè il risalire verso l’unità per mezzo della creazione individuale che si chiama sviluppo d’una coscienza.
La guerra purtroppo si abbatté sul bacino del Nilo con tutti suoi flagelli, e il figlio del vincitore di Babilonia, Cambise, dilagò per tutto l’Egitto con i suoi eserciti. Lo stesso Cambise fece trasferire Pitagora in Babilonia con una parte del sacerdozio egiziano, dove vi rimane per 12 anni.
Al momento in cui Pitagora giunse in quel paese, tre erano le religioni differenti che coesistevano nell’alto sacerdozio di Babilonia: gli antichi sacerdoti caldei, i superstiti del magismo persiano e il fiore dei prigionieri giudei.
Il suo già vastissimo orizzonte, con questi incontri di destino, si allargò ulteriormente grazie alle conoscenze dei magi eredi di Zoroastro.
I magi persiani si attribuivano il dominio di quelle potenze occulte della natura. Avevano addirittura fatto uno studio speciale sulla potenza suggestiva, attrattiva e creatrice della parola umana, ed usavano per l’evocazione degli spiriti dei formulari graduati presi dai più antichi linguaggi della terra. Queste evocazioni erano quello che più tardi si chiamò magia bianca.

Pitagora dunque a Babilonia penetrò negli arcani dell’antica magìa.
Dopo l’immensa iniziazione egizia, caldaica, e avendo oramai la chiave dei princìpi eterni dell’universo, era tempo di tornare nel suo paese natale: la Grecia.
Dopo 34 anni d’assenza trovò la sua patria fiaccata sotto un satrapo del gran re: scuole e templi chiusi, poeti e sapienti fuggiti.

Il Tempio di Delfo
Pitagora arrivò a Delfo dopo aver visitato tutti i templi importanti della Grecia.
La situazione dei templi e dei sacerdoti era andata peggiorando anno dopo anno e quando Pitagora vi giunse, l’arte divinatoria era ormai spenta. Il suo compito quello di restituirle profondità, forza e soprattutto prestigio.
Teoclea, la sacerdotessa di Delfo quando vide e ascoltò Pitagora, la sua anima fu scossa da un sussulto a tal punto che riconobbe immediatamente il suo maestro.
All’epoca Pitagora, nel pieno delle sue forze, indossava la classica veste bianca chiusa all’egiziana, e una fascia di porpora gli cingeva la vasta fronte.
Con discorsi profondissimi Pitagora riuscì a rendere ai sacerdoti di Delfo la coscienza della loro importantissima missione.
Rimase un anno ad istruire i sacerdoti dopodiché partì per la Magna Grecia perché la sua missione non era quella di insegnare la dottrina esoterica a un circolo di scolari scelti, ma di applicarne i princìpi all’educazione della gioventù e alla vita dello Stato!

Per fare questo era necessaria la fondazione di un istituto per l’iniziativa laica.
Prevedendo l’evoluzione delle idee e la caduta dell’ellenismo, egli pensava a deporre nello spirito umani i princìpi di una religione scientifica.
Nella città di Crotone, Pitagora produsse una vera e propria rivoluzione.
Dinnanzi al senato o Consiglio dei mille, manifestò le sue straordinarie e innovative idee sull’educazione, dimostrando che queste non minacciavano la costituzione dorica di Crotone, anzi l’avrebbero rafforzata.
Nacque così il famoso istituto pitagorico, il quale era un collegio di educazione, un’accademia scientifica e una cittadina modello sotto la guida d’un grande iniziato.
Con la teoria e la pratica, con le scienze e le arti riunite, si poteva giungere a quella scienza delle scienze a quell’armonia magica dell’anima e dell’intelletto con l’universo, che i pitagorici consideravano come l’arcano della filosofia e della religione.
La scuola pitagorica ha un importanza suprema perché fu il più notevole tentativo d’iniziazione laica: sintesi anticipata dell’ellenismo e del cristianesimo: innestò il frutto della scienza sull’albero della vita.

Il novizio entrato nella scuola doveva superare alcune prove.
Pitagora ovviamente era molto esigente nell’ammissione dei novizi, era convinto che “non ogni legno era adatto per farne un Mercurio”.
Tutti i giovani che volevano entrare nella società, dovevano sottoporsi a un periodo di prova e di esperimento, durante i quali il Maestro osservando dall’esterno con attenzione i gesti, le parole, il modo di camminare, di ridere era in grado di comprendere il carattere e caratteristiche morali e spirituali. Tutto ovviamente per avere un’idea precisa dei futuri discepoli.
Anche la fisionomia veniva usata come studio profondo dell’anima, non a caso Oriène vuole che sia stato proprio Pitagora l’inventore della fisiognomica.

Il primo grado – preparazione
Solo allora iniziava il noviziato, detto preparazione (paraskeiè), che durava almeno due anni e poteva continuare sino a cinque.
I novizi o uditori (akustikoì) erano sottoposti, durante le lezioni, alla regola assoluta del silenzio: non avevano il diritto né di fare obiezioni ai loro maestri né di discuterne gli insegnamenti, che dovevano accettare con rispetto e meditare profondamente in sé stessi.
Lo scopo di Pitagora era di sviluppare nei suoi allievi, la facoltà primordiale e superiore dell’uomo cioè l’intuizione. Per questo non insegnava cose misteriose o difficili, ma partendo da sentimenti naturali, dai primi doveri dell’uomo al suo affacciarsi alla vita, ne mostrava il rapporto con le leggi universali.
Pitagora inculcava nei giovani l’affetto verso i genitori, paragonando e associando l’idea di padre a quella di Dio, il grande creatore dell’Universo e la madre alla Natura generosa e benefica.
Il figlio dunque doveva onorare nel padre e nella madre la manifestazione terrena  di queste grandi divinità. I genitori ci sono dati non dal caso ma da un ordine antecedente e superiore.
Bisogna onorare padre e madre, e si deve scegliere l’amico.

L’amico è un altro se stesso: bisogna onorarlo come un dio”, diceva il Maestro. Estendendo questo discorso si capisce perché i pitagorici non odiavano, ma amavano e rispettavano tutti gli esseri viventi, anche e soprattutto i più indifesi i bambini e gli animali.

Lo spirito del discepolo così si abituava a trovare l’impronta di un ordine invisibile sulla realtà visibile.
Mattina e sera i versi aurei suonavano all’orecchio del discepolo con accenti della lire:

Gli eterni dèi col sacro culto onora,
Tua fede osserva

Con questa massima, si mostrava che gli dèi, diversi in apparenza, erano in sostanza gli stessi presso tutti i popoli, perché corrispondevano alle stesse forze intellettuali ed animiche, attive in tutto l’universo.
Nel culto degli eroi e dei semidei l’iniziato contemplava la dottrina della vita futura e il mistero dell’evoluzione universale. Non si svelava questo segreto al novizio, ma lo si preparava a comprenderlo, parlandogli una gerarchia d’esseri superiori all’umanità, chiamati eroi e semidei, che ne sono le guide e i protettori. Essi servivano da intermediari fra l’uomo e la divinità.
Nell’intimo dei misteri antichi si riducevano tutti gli dèi al Dio unico e supremo e questa rivelazione diventava la chiave del cosmo.
Il novizio non ne sapeva nulla, ma si lasciava che intravedesse questa verità attraverso quello che gli si insegnava dei poteri della musica e del numero.
Perché i numeri, diceva Pitagora, contengono il segreto delle cose, e Dio è l’armonia universale: i sette modi sacri, costruiti sulle sette note dell’eptacordo, corrispondono ai sette colori della luce, ai sette pianeti e ai sette modi dell’esistenza, che si riproducono in tutte le sfere della vita materiale e spirituale, dalla più piccola alla più grande.
A questa purificazione dell’anima corrispondeva necessariamente quella del corpo, che si otteneva con l’igiene, l’alimentazione e la severa disciplina dei costumi: vincere le passioni era il primo dovere dell’iniziazione: chi non ha fatto del proprio essere un’armonia non può rispecchiare l’armonia divina.
L’ideale della vita pitagorica non ha nulla di ascetico perché, per esempio, il matrimonio era considerato santo.

La giornata dei pitagorici
Appena il sole usciva dalle onde azzurre del mar Ionio e indorava le colonne del tempio delle Muse, i giovani cantavano un inno ad Apollo, eseguendo una danza dorica di carattere sacro. Dopo le abluzioni si faceva una passeggiata al tempio, in silenzio. Ogni risveglio è una resurrezione e l’anima doveva raccogliersi al principio della giornata e restar vergine per la lezione del mattino. Nel bosco sacro si adunavano intorno al maestro e la lezione continuava all’ombra degli alberi.
A mezzogiorno si faceva una preghiera agli eroi, ai genii benefici, poiché la tradizione esoterica supponeva che gli spiriti buoni preferiscono avvicinarsi alla terra col raggiar del sole, mentre quelli cattivi vivono nell’ombra e si spandono nell’atmosfera con la notte.
Il pasto frugale di mezzogiorno si componeva di pane, miele e olive. Il pomeriggio era consacrato agli esercizi ginnici, poi allo studio, alla meditazione e a un lavoro mentale sulla lezione del mattino.
Dopo il tramonto si faceva una preghiera in comune. La lunga e laboriosa giornata terminava col pasto serale, dopo il quale il più giovane faceva una lettura commentata dal più anziano.

Secondo grado – purificazione
Era un giorno felice, un “giorno aureo” quello in cui Pitagora riceveva il novizio nella sua casa e l’accettava solennemente fra i discepoli.
Si cominciava così ad entrare in rapporti continui e diretti col maestro e si penetrava nel cortile interno della sua abitazione, da qui il nome di esoterici (interni) ed essoterici (esterni).
La vera iniziazione aveva inizio.
Questa rivelazione consisteva in un’esposizione compiuta e ragionata della dottrina occulta, dei suoi princìpi, contenuti nella scienza misteriosa dei numeri. Questa scienza dei numeri era nota con diversi nomi nei templi d’Egitto e dell’Asia ed era scrupolosamente tenuta nascosta. Le cifre, le lettere, le figure geometriche che servivano da segni a questa algebra del mondo occulto, non era comprese che dall’iniziato, il quale non ne scopriva il senso agli adepti se non dopo aver avuto da essi il giuramento del silenzio.

Pitagora formulò questa dottrina in un libro scritto di suo pugno, intitolato “Hieròs Lògos” o “Parola sacra”, che naturalmente non ci è giunto, ma gli scritti di pitagorici come Filolao, Archita e Ierocle, i dialoghi di Platone, i trattati di Aristotele, di Porfirio e di Giamblico ne fanno conoscere i princìpi.
Pitagora chiamava i suoi discepoli matematici, perché il suo insegnamento superiore cominciava dalla dottrina dei numeri. Ma questa matematica sacra, o scienza dei numeri, non c’entra nulla con la classica matematica che tutti noi conosciamo.
Il NUMERO non era considerato come una quantità astratta, ma come virtù intrinseca e attiva dell’UNO supremo, di Dio, fonte dell’armonia universale.

La scienza dei numeri era quella delle forze vive, delle facoltà divine in azione nei mondi e nell’uomo, nel macrocosmo e nel microcosmo. Penetrandoli, distinguendoli e spiegando il loro meccanismo, Pitagora non faceva dunque che una teogonia o una teologia razionale.
Una vera teologia dovrebbe fornire i princìpi di tutte le scienze.
Ecco appunto l’ufficio che aveva nei templi egiziani la scienza della parola sacra, formulata e precisata da Pitagora sotto il nome di scienza dei numeri: suo fine era di dare la chiave dell’essere, della scienza e della vita.
Il Maestro impartiva questi insegnamenti nel giardino chiuso del tempio delle Muse.
Nell’interno di questo giardino le nove Muse in marmo con al centro Hestia o Vesta il custode del principio divino presente in tutte le cose. Urania aveva l’astronomia e l’astrologia, Polimnia la scienza delle anime nell’altra vita e l’arte divinatoria, Melpomene con la sua maschera tragica la scienza della vita e della morte, delle trasformazioni e delle rinascite. Queste tre Muse superiori costituivano insieme la cosmogonia o fisica celeste.

Calliope, Clio ed Euterpe presiedevano la scienza dell’uomo o psicologia, con le arti corrispondenti: medicina, magia, morale.
L’ultimo gruppo Tersicore, Erato e Talia abbracciava la fisica terrestre la scienza degli elementi, delle pietre, delle piante e degli animali.
Queste Muse – diceva Pitagora – non sono che le immagini terrestri delle potenze divine, di cui voi contemplerete in voi stessi l’immateriale e sublime bellezza. E a quel modo che da esse emanano il ritmo e la melodia, così voi dovete tuffarvi nel fuoco centrale dell’universo, nello Spirito divino, per espandervi con lui nelle sue manifestazioni visibili”.
Allora Pitagora, toglieva i discepoli dal mondo delle forme e delle realtà, cancellava il tempo e lo spazio, e li faceva discendere con lui nella Grande Monade, nell’essenza dell’essere increato.
Pitagora lo chiamava l’Uno primo, l’Unico, l’Eterno, l’Immutabile.
Dio, la sostanza indivisibile, ha dunque per numero l’Unità, che contiene l’infinito, per nome quello di Padre, di Creatore o di Eterno Mascolino, per segno il Fuoco vivente, simbolo dello Spirito, essenza di tutto. Ecco il primo dei princìpi.
La Grande Monade, diceva Pitagora, agisce come Diade creatrice
Dal momento che Dio si manifesta, esso è doppio: essenza indivisibile e sostanza divisibile: principio mascolino attivo, animatore e principio femminile passivo, o materia plastica animata.
La Diade rappresentava dunque l’unione dell’Eterno Mascolino e dell’Eterno Femminino in Dio, le due facoltà divine essenziali e corrispondenti.

Orfeo aveva poeticamente espresso quest’idea nel verso:

Giove è il celeste Sposo e la divina Sposa

Questa natura vivente, eterna, questa Sposa di Dio, non è solo la natura terrestre, ma la natura celeste invisibile ai nostri occhi di carne, l’Anima del mondo, la Luce primordiale, volta a volta Maia, Iside o Cibele che vibrando per prima sotto l’impulso divino, contiene le essenze di tutte le anime, i tipi spirituali di tutti gli esseri. Poi diventa Demetra, la terra vivente e tutte le terre coi corpi che contengono, in cui quelle anime vengono ad incarnarsi. Infine essa diventa la Donna, compagna dell’Uomo. Nell’umanità la donna rappresenta la natura e l’immagine perfetta di Dio non è l’uomo solo, ma l’uomo e la donna.
Onore dunque alla donna, sulla terra e nel cielo; – diceva Pitagora – essa ci fa comprendere questa grande Donna, la Natura. Che essa ne sia l’immagine santificata, e che ci aiuti a risalire per gradi sino alla grande Anima del Mondo, che partorisce, conserva e rinnova, sino alla divina Cibele, che trascina il popolo delle anime nel suo manto di luce”.

La Monade rappresenta l’essenza di Dio, la Diade la sua facoltà generatrice e riproduttiva. Questa genera il mondo, espansione visibile di Dio nello spazio e nel tempo.
Ora il mondo reale è triplice: poiché a quel modo che l’uomo è composto di tre elementi, distinti ma fusi l’uno nell’altro, il corpo, l’anima e lo spirito, così l’universo è diviso in tre sfere concentriche: il mondo attuale, l’umano e il divino.
La Triade o legge del ternario è dunque la legge costitutiva delle cose e la vera chiave della vita: dalla costituzione della cellula organica al funzionamento sanguigno sino alla costituzione metafisica dell’uomo a quella dell’universo e di Dio.
Così la Triade apre come per un incantesimo, allo spirito meraviglioso la struttura interna dell’universo, mostra le corrispondenze infinite del macrocosmo.

Pitagora ammetteva che lo spirito dell’uomo o intelletto deriva da Dio la sua natura immortale, invisibile, assolutamente attiva; ed egli chiama il corpo la parte mortale, separabile e passiva di esso, e pensava che quella che noi chiamiamo anima è strettamente congiunta allo spirito, ma formata da un terzo elemento intermedio che deriva dal fluido cosmico.
L’anima assomiglia ad un corpo etereo, che lo spirito si tesse e si costruisce da sé.
Senza questo corpo etereo, il corpo materiale non potrebbe essere vivificato e non sarebbe che una massa inerte. L’anima ha una forma simile a quella del corpo, che essa vivifica, e gli sopravvive dopo la morte. Essa diventa allora, il veicolo sottile, che porta lo spirito verso le sfere divine o lo lascia ricadere nelle regioni tenebrose della materia. Ora la costituzione, l’evoluzione dell’uomo si ripete, in circoli sempre più grandi, su tutta la scala degli esseri e in tutte le sfere.

Come l’umana Psiche lotta fra lo spirito, che l’attira, e il corpo che la trattiene, così l’umanità lotta fra il mondo naturale e animale e il mondo divino dei puri spiriti.
Si può capire l’importanza capitale che Pitagora attribuiva alla legge del Ternario: si può dire che essa forma la pietra angolare della scienza esoterica.
Un oracolo di Zoroastro dice:

“Il numero tre regna ovunque nell’universo,
E la monade è il suo principio”

Il merito di Pitagora sta nell’averla formulata con chiarezza del genio greco: egli ne fece il centro della sua teogonia e il fondamento delle scienze.
Come il ternario universale si concentra nell’Unità di Dio e nella Monade, così il ternario umano si concentra nella coscienza dell’io e nella volontà, che aduna tutte le facoltà del corpo, dell’anima e dello spirito nella sua vivente unità.
Il ternario umano e divino, concentrato nella Monade, costituisce la Tetrade Sacra.
Per il Maestro i princìpi essenziali sono contenuti nei quattro primi numeri, poiché sommandoli o moltiplicandoli si trovano tutti gli altri. Allo stesso modo, l’infinità varietà degli esseri, che compongono l’universo è prodotta dalle combinazioni delle tre forze primordiali: materia, anima e spirito, sotto l’impulso creatore dell’unità divina, che le mescola e le differenzia, le concentra e le vivifica.
Pitagora attribuiva una grande importanza al numero sette e al numero dieci.
Sette essendo composta di tre e quattro, significa l’unione dell’uomo e della divinità, è la cifra degli adepti e dei grandi iniziati, e poiché esprime l’attuazione perfetta d’ogni cosa in sette gradi, rappresenta anche la legge dell’evoluzione.
Il numero dieci, formato dall’addizione dei quattro primi numeri e contiene il sette, è il numero perfetto per eccellenza, poiché rappresenta tutti i princìpi della divinità evoluti e riuniti in una nuova unità.

Terzo grado – perfezione
Il discepolo aveva ricevuto dal maestro i princìpi della scienza e questa prima iniziazione aveva fatto cadere l’involucro della materia che offuscava gli occhi del suo spirito.
Pitagora amava fare le sue lezioni di notte, in riva al mare, sui terrazzi del tempio di Cerere, al lieve sussurro dell’onda ionica, sotto le lontane fosforescenze del cosmo stellato, oppure nelle cripte del santuario dove le lampade egiziane di nafta spandevano un chiarore uguale e dolce.
L’evoluzione materiale e spirituale del mondo sono due moti inversi, ma paralleli e concordi in tutta la scala dell’essere. L’uno non si può spiegare che con l’altro e veduti insieme spiegano il mondo. L’evoluzione materiale rappresenta la manifestazione di Dio nella materia per virtù dell’Anima del Mondo che la trasforma.
L’evoluzione spirituale rappresenta l’elaborazione della coscienza nelle Monadi individuali e i loro tentativi di raggiungere, attraverso il ciclo di vite, lo spirito divino, da cui emanano. Vedere l’universo dal punto di vista fisico o spirituale non è considerare un oggetto diverso, ma guardare il mondo da due punti opposti: dal punto di vista terreno la spiegazione razionale del mondo deve cominciare dall’evoluzione materiale, ma facendoci vedere il lavorio dello spirito universale nella materia e seguire lo svolgimento delle monadi individuali, essa conduce insensibilmente al punto di vista spirituale e ci fa passare dall’esterno all’interno delle cose, dal rovescio del mondo al suo diritto.

La seconda parte del suo insegnamento cominciava la cosmogonia.
Al centro dell’universo Pitagora pone il fuoco (di cui il Sole non è che un riflesso).
In tutto l’esoterismo orientale, il fuoco è il segno rappresentativo dello Spirito, della Coscienza divina, universale.
La regione sublunare designa la sfera in cui si esercita l’attrazione terrestre, ed è chiamata il circolo delle generazioni. Gli iniziati comprendevano da ciò che la terra è per noi la regione della vita corporea. Qui si fanno tutte le operazioni, che accompagnano l’incarnazione e la disincarnazione delle anime. La sfera dei sei pianeti e del sole risponde alle categorie ascendenti degli spiriti. Questa astronomia puerile nasconde invece una concezione dell’universo spirituale.

Aristotele dice che i pitagorici credevano al moto della terra intorno al sole e Copernico afferma che l’idea della rotazione terrestre intorno al suo asse gli venne leggendo a Crotone che un certo Iceta di Siracusa aveva parlato del moto diurno della terra. Pitagora, senza alcun strumento scientifico, sostenne che le stelle sono stati sistemi solari governati dalle stesse leggi del nostro.
Sapeva che ogni mondo solare forma un piccolo universo, che la sua corrispondenza nel mondo spirituale e il suo proprio cielo e che i pianeti servivano a segnare la scala.
Ma queste conoscenze esoteriche che avrebbero messo soqquadro la mitologia popolare e le conoscenze dell’epoca, venivano insegnate sotto il suggello della più profonda segretezza.
L’Universo visibile - diceva Pitagora -  il cielo con tutte le stelle, non è che una forma passeggera dell’anima del mondo, della grande Maia, che concentra la materia sparsa negli spazi infiniti, poi la dissolve e la semina come fluido cosmico imponderabile.

I quattro elementi, di cui sono formati gli astri e tutti gli esseri, si riferiscono a quattro stati ascendenti della materia. Il primo, il più denso è il più refrattario allo spirito; l’ultimo essendo il più raffinato, si presenta molto affine allo spirito. La terra rappresenta lo stato solido, l’acqua lo stato liquido, l’aria il gassoso e il fuoco l’imponderabile. Il quinto elemento o eterico, rappresenta uno stato della materia così sottile e vivace che non è più atomico ed è dotato di penetrazione universale: è il fluido cosmico originario, la luce astrale od anima del mondo.
Dalla cosmogonia fisica alla cosmogonia spirituale, Pitagora spiegava ai suoi allievi, l’evoluzione della terra e l’evoluzione dell’anima attraverso i mondi.
Ma quanti viaggi e incarnazioni, quanti cicli planetari ancor da passare perché l’anima umana, così formata, diventi l’uomo che noi conosciamo?

Secondo le tradizioni esoteriche dell’India e dell’Egitto, gli individui che compongono l’umanità avrebbero cominciato la loro esistenza su altri pianeti, dove la materia è molto meno densa che sul nostro. Solamente incarnandosi su pianeti sempre più densi, secondo la dottrina d’Ermete, l’uomo s’è materializzato; incarnandosi in una materia più spessa, l’umanità ha perduto il suo senso spirituale, ma, in virtù della lotta sempre più forte col mondo esteriore, ha sviluppato potentemente la ragione, l’intelligenza e la volontà. La terra è l’ultimo gradino di questa discesa nella materia che Mosè chiama l’uscita dal paradiso e Orfeo la caduta nel cerchio sublunare.

La legge dell’incarnazione e disincarnazione ci scopre dunque il vero senso della vita e della morte: essa è il nodo principale nell’evoluzione dell’anima.
La nascita terrestre è una morte per lo spirito e la morte una risurrezione celeste: l’alternarsi delle due vite è necessario allo svolgimento dell’anima.
Non vi è parola né atto, che non abbia una eco nell’eternità, dice un proverbio.
Per Pitagora le ingiustizie apparenti del destino, le deformità, le miserie, i colpi di fortuna, le disgrazie di ogni genere trovano la loro spiegazione in questo fatto, che ogni esistenza è la ricompensa o il castigo della precedente.
Gli animali sono parenti dell’uomo e l’uomo è parente degli dèi”, diceva Pitagora.

Quarto grado – Epifania
All’iniziazione dell’intelletto doveva succedere quella della volontà, la più difficile di tutte. Si trattava ora per il discepolo di far scendere la verità nell’intimo del suo essere, di metterla in opera nella pratica della vita.
Per raggiungere ciò, secondo Pitagora bisognava riunire tre perfezioni: realizzare la verità nell’intelletto, la virtù nell’anima, la purezza nel corpo.
Una igiene sapiente doveva mantenere una purezza fisica, necessaria non come fine, ma come mezzo. Ogni eccesso corporeo lascia una traccia e come una macchia nel corpo astrale, organismo vivente dell’anima, e quindi nello spirito, perché il corpo astrale partecipa a tutti gli atti del corpo materiale ed è anzi esso che li compie. Poi è necessario che l’anima, illuminata dall’intelligenza, acquisti coraggio, devozione e fede, in una parola: Virtù!
Epifania” o visione dall’alto faceva vedere in modo profondo le cose della terra e permetteva all’uomo di diventare adepto.
I sensi interni dell’anima si aprono, la sua volontà irraggia negli altri.
Il suo magnetismo corporeo, compenetrato dagli effluvi dell’anima astrale, elettrizzato dalla volontà, acquista un potere quasi miracoloso: talvolta guarisce i malati con l’imposizione delle mani o con la sua sola presenza; spesso coglie i pensieri degli uomini con lo sguardo, talvolta, allo stato di veglia, vede accadimenti che si producono a distanza.
Sono rarissimi gli adepti che arrivano a tale potenza, la Grecia ne conobbe solo tre: Orfeo all’aurora dell’Ellenismo, Pitagora al suo apogeo e Apollonio di Tiana al suo tramonto. Orfeo fu il più grande ispirato e il grande iniziatore della religione greca, Pitagora fu il grande ordinatore della scienza esoterica e della filosofia nelle scuole, Apollonio lo stoico moralizzatore e mago popolare.

Il matrimonio e la famiglia di Pitagora
Bisogna rintracciare l’infinitamente grande nell’infinitamente piccolo per sentire la presenza di Dio. Per Pitagora l’eterna verità di manifesta nell’unione dell’Uomo e della Donna, nel matrimonio.
La bellezza dei numeri sacri si trovano nella radice stessa della vita. Se l’uomo crea col desiderio e con la volontà, la donna fisicamente e spiritualmente genera per virtù d’amore.
Per l’uomo e la donna iniziati, la creazione del figlio ha un senso molto più bello e profondo. Il padre e la madre sanno che l’anima del bimbo preesiste alla sua nascita terrena, la concezione diventa un atto sacro, il richiamo di un’anima all’incarnazione.
L’insegnamento di Pitagora, incominciato con la trinità divina, finiva al centro della vita con la trinità umana: Padre, Madre e Figlio.

Fra le donne che seguivano l’insegnamento del maestro di Samo si trovava Teano, una giovinetta di somma bellezza. Ella fu attratta dalla luce quasi soprannaturale del mago greco che all’età di sessant’anni, era all’apogeo della sua potenza.
Pitagora naturalmente non aveva cercato di attirarla, anche perché il suo affetto apparteneva a tutti i discepoli.
Un giorno mentre meditava da solo vide avvicinarsi questa bella vergine, a cui non aveva mai parlato in particolare.
Essa s’inginocchiò dinnanzi a lui supplicando il maestro di liberarla da un amore impossibile ed infelice che consumava il suo corpo e la sua anima. Pitagora volle sapere il nome di colui che amava: dopo un lungo esitare Teano confessò che era lui!
Pitagora non rispose parola, fu molto scosso: i suoi sensi sapeva ben vincerli, la sua immaginazione l’aveva compressa, ma il lampo di quest’anima s’era insinuato nella sua.
Pitagora col matrimonio con Teano, pose il suggello della realizzazione alla sua opera. L’unirsi, il fondersi di due vite fu perfetto.
Ella diede due figli: Arimnesto e Telauge ed una figlia, Damo.
La famiglia di Pitagora offrì all’ordine un vero modello.

La scuola e le sue sorti
Pitagora visse a Crotone trent’anni. Mai nessun filosofo esercitò un potere così prodigioso come il suo. All’epoca Crotone aveva una costituzione aristocratica: il Consiglio dei Mille, composto dalle grandi famiglie, che esercitava il potere legislativo e sorvegliava il potere esecutivo.
Pitagora che voleva che lo Stato fosse un ordine ed un’armonia, accettando tale e quale la costituzione dorica, cercò d’inserirvi un nuovo congegno: creare al di sopra del potere politico un potere scientifico che avesse voce deliberativa e consultiva quelle questioni vitali e diventasse la chiave di volta, il regolatore supremo dello Stato.

Al di sopra del Consiglio dei mille, costituì il Consiglio dei trecento, scelto dai primi, ma formato solo da iniziati, persone sagge. Pitagora voleva alla testa dello stato un governo scientifico e quello che realizzò per un momento restò il sogno di tutti gli iniziati che si occupano di politica.
Il Consiglio dei trecento formò dunque una specie d’ordine politico, scientifico e religioso.
L’influenza suprema d’un grande spirito e d’un grande carattere, questa magia dell’anima e dell’intelletto eccita gelosie tanto più terribili, odii tanto violenti, quanto più è inattaccabile.
La sovranità di Pitagora durava da venticinque anni, l’adepto infaticabile era vicino ai novant’anni, quando scoppiò la reazione…
La scintilla partì da Sibari, la rivale di Crotone, dove a sèguito di una sollevazione popolare, il partito aristocratico fu vinto. Cinquecento esiliati domandarono asilo politico a Crotone ma i sibariti ne chiesero immediatamente lo sfratto. Intervenne Pitagora che si rifiutò di abbandonare quegli infelici. Sibari allora dichiarò guerra a Crotone.

L’esercito dei crotoniani, comandato da un discepolo di Pitagora, il celebre atleta Milone, batté completamente i sibariti; ne seguì la rovina di Sibari. La città fu presa, saccheggiata, distrutta dalle fondamenta e trasformata in deserto.
Né Milone, né Pitagora poterono tenere a freno le passioni scatenate di un esercito vittorioso, alimentate da antiche gelosie.
Ogni vendetta porta con sé un contraccolpo di passioni sfrenate.
La Nemesi di questa fu terribile e ricadde su Pitagora. Il popolo chiese la divisione delle terre e il partito democratico propose di togliere i privilegi al Consiglio del mille e sopprimere il Consiglio dei trecento.

Iniziò così l’odio verso i pitagorici.
Un certo Cilone, respinto dal’ordine di Pitagora per il suo carattere violento ed imperioso diventò un avversario potente e pino d’odio.
Una sera mentre i quaranta membri dell’ordine erano riuniti a casa di Milone, assieme ad alcune bande, circondarono la casa e appiccarono il fuoco. Trentotto pitagorici e lo stesso Pitagora morirono nelle fiamme dell’incendio, gli altri messi a morte dal popolo. Solo Archippo e Liside scamparono al massacro.
Così morì un grandissimo saggio, un uomo illuminato che aveva tentato di fare entrare la sua sapienza nel governo degli uomini.
Le città d’Italia cacciarono i disgraziati discepoli del maestro e l’ordine fu disperso.

L’ordine durò 250 anni, ma le idee e le tradizioni vivono anche oggi.
Pitagora a Delfo diede una nuova forza alla scienza della divinazione, rafforzò l’autorità dei sacerdoti e Delfo diventò il centro morale della Grecia.
Pitagora fece entrare la morale, la scienza e la religione nella propria vasta sintesi, la quale è la dottrina esoterica.
Il filosofo di Crotone non fu l’inventore, ma l’ordinatore luminoso di quelle verità primordiali nell’ordine scientifico.
Pitagora fu un adepto, un iniziato che ebbe la vista diretto dello spirito, chiave delle scienze occulte e del mondo spirituale. Egli attingeva alla fonte prima della Verità.

E poiché a queste facoltà trascendenti dell’anima intellettuale e spiritualizzata aggiungeva l’osservazione minuziosa della natura fisica e la classificazioni magistrale delle idee in virtù della sua elevata ragione, nessuno era più adatto di lui a costruire l’edificio della scienza del cosmo.
Platone prese da Pitagora tutta la sua metafisica, benché l’abbia espressa con meno rigore e precisione; la scuola alessandrina ne occupò i piani superiori; la scienza moderna ne ha preso il pian terreno e consolidato le fondamenta; molte scuole filosofiche e sètte mistiche e religiose ne hanno abitato diversi appartamenti.
Ma nessuna filosofia ne ha mai abbracciato il complesso!

Le raccomandazioni di Pitagora
Molto importante, per Pitagora, era porre attenzione a due momenti particolari della giornata: quello che precede il sonno e dopo essersi alzati.

È buona esaminare le azioni compiute o che si ha in animo di compiere, perché ciascuno possa dare un rendiconto delle azioni passate e fare una previsione del futuro.

Prima di abbandonarsi al sonno, il “fratello minore della morte” era bene:

Non permettere che il dolce sonno chiuda i tuoi occhi senza aver ripassato con te stesso ciò che hai fatto durante il giorno.

In che cosa ho sbagliato? Che cosa ho fatto? Ho omesso qualcosa che avrei dovuto fare?

Ripassa tutte le azioni che hai fatto, cominciando dalla prima e senza dimenticarne nessuna.

Prima di alzarsi invece era importante:

Dapprima, quando ti desti al sorgere del dolce sole, esamina bene cosa farai durante il giorno.


www.disinformazione.it