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Il
cosiddetto “rapimento” del piccolo Tommy, assume giorno dopo
giorno...
di Gabriella
Pasquali Carlizzi - http://www.lagiustainformazione.it
Nel caso relativo al “rapimento” (le virgolette non sono casuali)
del piccolo Tommaso Onofri, avvenuto il 2 marzo 2006, giorno in cui il
nostro calendario ci ricorda San Quinto, noto come taumaturgo,
guaritore, immaginando di dover sviluppare una tesi capace di spiegare
il caso giudiziario relativo al piccolo Tommy, mi comporterei nel
seguente modo.
Per prima cosa, annoterei ogni elemento che ha attratto la
mia attenzione in modo particolare.
E subito dopo, analizzerei se tra questi elementi, vi sia o meno una
connessione.
In caso positivo, circoscriverei il campo della mia ricerca, alle sole
ipotesi possibili e applicabili agli elementi da me analizzati.
Ciò mi consentirebbe di elaborare una serie di quesiti, da porre
necessariamente ai soggetti cui sono riconducibili gli elementi oggetto
delle osservazioni.
In questo particolare caso, non avendo io facoltà di
interrogare alcuno, introdurrei il metodo deduttivo, ricavandone una
serie di dati tali da riscontrare attraverso ricerche storiche, relative
al territorio specifico, alla geografia del territorio, all’interesse
che quel territorio ha mostrato nel passato sulle problematiche simili a
quelle ipotizzate nel caso specifico.
Fino a poter configurare, con fondatezza, una situazione complessa ma
scomponibile in dati di fatto, come tanti tasselli da collocare ciascuno
nel posto giusto, ed avere un quadro d’insieme almeno verosimile e
quanto più vicino alla realtà.
Sia pure sommariamente, ho illustrato il procedimento del ricercatore,
figura assai più libera degli addetti ai lavori, i quali devono
necessariamente attenersi alle procedure imposte dai codici, nei limiti
delle deleghe formulate dal magistrato.
Ed anche il magistrato inquirente, il Pubblico Ministero, a
sua volta deve rispettare le procedure, i cui tempi purtroppo spesso
sono più lunghi del previsto.
Tanto per fare un esempio, se ad un investigatore venisse in mente una
certa pista da seguire e necessitasse di alcune iniziative, dovrebbe
chiederne delega al Pubblico Ministero, il quale se condivide
l’intuito dell’investigatore, almeno per determinate disposizioni
deve chiedere l’autorizzazione al Gip.
Il Gip, esaminato il fascicolo e le ragioni esposte dal Pubblico
Ministero, accoglie o respinge la richiesta.
E’ chiaro che in casi come quello del piccolo Tommy, sono previsti i
cosiddetti “Atti Urgenti”, proprio perché alcune operazioni non
risentano della burocrazia, tuttavia, in considerazione
dell’impressionante aumento di certi efferati delitti, sarebbe il caso
che le forze di polizia godessero di maggiore autonomia e mezzi….
Per attività che chiamano in causa impegni di tale
delicatezza, viene spesso a mancare l’autonomia, in danno delle
indagini, e soprattutto i mezzi materiali, se solo si considera che
indagare è costoso….dal caffè che il poliziotto paga di tasca
propria se ritiene di osservare qualcuno che entra nel bar, fino ad un
cumulo di spese che lo Stato non retribuisce.
Ma torniamo all’iter del ricercatore, il quale è autonomo, e dà
seguito al proprio intuito senza dover chiedere permessi o copertura
delle spese a nessuno.
Nel caso in esame, gli elementi che hanno particolarmente richiamato la
mia attenzione sono i seguenti.
Innanzitutto il messaggio che il papà di Tommy ha inviato, servendosi
dei mezzi di comunicazione, giornali, radio, televisione, ai
“rapitori”, con tono determinato e quasi “sbrigativo”:
“Se non me lo ridate, vengo a prendermelo io”
Sicuramente, quando sarà stato interrogato, gli inquirenti
su un’affermazione del genere gli avranno fatto, come si usa dire,
“il pelo e il contro pelo”, né ci è dato sapere come Onofri si sia
districato nel fornire una risposta che di certo avrà
“giustificato” come un’espressione mossa dallo stato emotivo e di
rabbia in cui si trovava.
Personalmente non ho creduto che il “messaggio” di Onofri fosse
frutto di una frase buttata lì per caso, o per effetto della
disperazione, sentimento che induce piuttosto alle lacrime, fino ad
implorare i criminali stessi, pur di riabbracciare una creaturina
innocente.
L’avere poi associato l’uso del plurale alla “minaccia” di
andarsi a prendere Tommaso da solo, dunque escludendo inquirenti e
investigatori, potrebbe essere indicativo di un luogo già frequentato
dallo stesso Onofri, e probabilmente non per fatti di pedofilia, o solo
per essi, bensì un luogo ove forse si praticano rituali sperimentali, a
sfondo scientifico o pseudo religioso, e ad opera di qualche
“scienziato” di quelli che pure sono affascinati da tradizioni
antiche più vicine alla magia che alla medicina tradizionale.
Il dubbio mi viene osservando un altro elemento,
estremamente ripetitivo, per quanto inconsueto da parte dei genitori
di bambini malati di epilessia.
Infatti, pur lanciando l’appello a che al bambino venisse
somministrato un certo farmaco, in particolare il Tegretol, indicandone
gli orari e le modalità cui il bimbo stesso era abituato alla terapia,
non era affatto necessario, diffondere il tipo di malattia, specie se
parliamo di epilessia.
Semmai, a doverne essere informati erano gli inquirenti, relativamente
alla specifica patologia.
Infatti, questo farmaco non è indicativo solo per i malati di
epilessia, ma viene utilizzato anche per altre patologie, quelle ad
esempio che interessano le nevralgie del trigemino, cui molti bambini
sono soggetti e sappiamo quanto dolore provochi questo nervo.
Come
pure, le statistiche ce lo confermano, i genitori di bambini epilettici,
sono i più restii a diffondere tale problema, anche in considerazione
di non creare al proprio figlio, nei rapporti relazionali durante la
crescita, una situazione di complessi, ingenerati da una società ancora
molto incline ad emarginare portatori di taluni handicap.
E va anche osservato che dopo aver invitato i “rapitori”a
somministrare quel farmaco al bimbo, senza parlare di epilessia, qualora
fosse intervenuta una crisi, si presume che leggendo le indicazioni per
quel farmaco, tra cui vi è anche l’epilessia, avrebbero capito quale
fosse la patologia di cui il piccolo è affetto.
Ma
c’è di più: la
contraddizione
Non si è affermato, stando al racconto di Paolo Onofri,
che sicuramente i “rapitori” conoscevano la casa, perfino dove erano
collocati gli interruttori?
Tanto che gli inquirenti hanno perquisito gli operai che avevano
lavorato in quella casa, e di cui uno, pare avesse anch’egli un figlio
con la stessa malattia di Tommaso.
E dunque se si pensa a chi frequentava quella casa, è ovvio dedurre che
costoro sapessero anche dell’epilessia del bimbo.
Invece, la privacy di Tommy, che è un diritto di tutti anche dei
bambini, è stata violata con reiterata insistenza dei genitori,
richiamando l’attenzione di tutti su una malattia che ancor oggi si
tende a nascondere.
O volevano richiamare in particolare l’attenzione di qualcuno?
Si è appreso che gli inquirenti hanno interrogato il
pediatra di Tommaso, ma nulla si sa , se sia stato ascoltato il medico
più importante per questo bimbo, e di certo non è il pediatra, ma chi
lo ha in cura per l’epilessia.
Dunque un altro elemento attentamente osservato è l’ "Epilessia”
Ma Paolo Onofri,
ieri ha “alzato il tiro”, usando una espressione ancora più
particolare:
“Ho fatto
Caspita!
E’ pur vero che Onofri intendeva dire come cerchi di ricordare anche
il minimo particolare che possa essergli sfuggito, sia relativamente
alla dinamica dei fatti, sia anche rivisitando il suo passato al fine di
intravedere un possibile episodio che possa avere determinato un movente
per il “rapimento” di Tommaso, ma il linguaggio usato da questo
padre, consentitemi di definirlo estremamente inusuale. Chiunque si
sarebbe espresso dicendo magari: “Mi sto arrovellando il cervello
cercando un motivo…”, o frasi del genere, alla portata di tutti,
anche di chi pensa e ripensa, per notti intere, pur di trovare un minimo
indizio.
Invece no, Onofri, che non risulta sia un medico e come tale incline
all’uso di parole professionali, dice: “Ho fatto
Mi chiedo se abbia semplicemente detto, o invece abbia mandato a dire:
un messaggio in codice?
E’ noto che
Insomma immagini come fotografie.
Mi chiedo: Onofri è in possesso di immagini
compromettenti, per soggetti insospettabili, e che risalgono a chissà
quanto tempo fa, visto che parla di memoria?
E si rivolge per caso a qualcuno che è esperto nel campo delle
Risonanze Magnetiche?
A questo punto la ricerca può circoscriversi in un ambito medico e
paramedico specialistico.
E per il ricercatore diviene elemento importante evidenziare che
l’epilessia la si diagnostica proprio mediante
Cos’è che potrebbe sapere il papà di Tommy, e ancor oggi non aver
detto agli inquirenti?
E di questo eventuale segreto, come ne è venuto a
conoscenza, direttamente, o con gli strumenti che un dirigente delle
Poste sicuramente conosce e sa usare?
Qualcuno ricorderà che vi fu una iniziativa collettiva, cioè di
servirsi di Hacker capaci di entrare nei siti dei pedofili, “bucare la
rete”, che pur essendo un reato, fu considerato “non punibile”
data la finalità.
E se Onofri avesse riconosciuto qualcuno?
In fondo a pochi passi dalla sede del suo Ufficio, c’è
E di certo a Parma non mancano illustri “strizzacervelli”, più
pazzi e deviati dei poveretti rinchiusi nel vicino manicomio di Colorno,
che fu
Il caso di Tommaso Onofri, secondo il mio pensiero, è un caso molto
complesso, e che necessita di osservazioni da parte di esperti
criminologi e ricercatori, che diano un serio aiuto, anche come
ausiliari di Polizia Giudiziaria alle indagini e nelle direzioni che
guardano in alto.
Così come non a caso, l’Università di Parma, ha elaborato una
ricerca sulla pedofilia e il turismo sessuale, che merita di essere
letta, se non altro per conoscere una realtà che sembra aver voluto
mettere profonde radici negli ambienti della cultura, della medicina,
dell’informatica, e di talune pratiche alternative, ben nascoste
dietro la scienza ufficiale, ma intrise di dottrine esoteriche volte
alle “guarigioni” dei mali della mente e del sesso.
Realtà come queste richiedono consistenti giri di denaro, per pagare
come sempre, il silenzio degli innocenti.
Ricerca dell'Università di Parma ed Ecpat sul turismo sessuale
Maschio
nel 90-95% dei casi, tra i 20 e i 40 anni, appartenente alle diverse
classi sociali.
Il profilo del turismo sessuale?
Maschio nel 90-95% dei casi (tra i 20 e i 40 anni),
appartenente alle diverse classi sociali. Sono stati presentati oggi i
primi risultati di una ricerca su 400 casi, condotta dall’Università
di Parma – in collaborazione con quella di Modena e Reggio Emilia,
Lugano, finanziata dalla Fondazione Manodori – e coordinata da Ecpat
Italia, nel corso della “Conferenza europea per la protezione dei
minori dallo sfruttamento sessuale del turismo”, che si conclude oggi
alla Ex Sala Convegni del Giubileo. Organizzata dalla Direzione generale
per il turismo, in collaborazione con l’organizzazione mondiale del
turismo e con il contributo dell’Unione europea, la conferenza è la
prima di quattro incontri regionali previsti per il 2003: i prossimi si
svolgeranno in America Latina (Costa Rica) il 4 e 5 maggio, in Asia
(Indonesia) il 26 e 27 giugno e in Africa (Senegal) il 29 e 30
settembre.
L’indagine si basa sullo studio di casi reali, ha
spiegato Marco Scarpati, presidente di Ecpat Italia e docente di diritto
comparato di famiglia all’Università di Parma, che insieme ai suoi
collaboratori ha analizzato materiali di archivi personali e di
giuristi, indagini in corso condotto da Polizia e Carabinieri, siti
internet e chat. Nel “cliente” e nel pedofilo abita “la netta
sensazione di non essere arrestato”, ha sottolineato Scarpati:
infatti, su circa 2 milioni i minori sfruttati sessualmente nel mondo,
per un giro d’affari di oltre 5 miliardi di dollari all’anno, è
ancora esiguo il numero di coloro che sono perseguiti dalla legge.
Inoltre queste persone hanno “molti contatti con i pari, cioè con chi
cerca lo stesso tipo di filmati, notizie, foto via internet”. Quando
il fenomeno è declinato al femminile, “le vittime solitamente non
sono bambini, ma adolescenti – ha riferito il presidente di Ecpat –
L’esperienza eterosessuale viene vissuta con un carattere meno
negativo: il gigolò ha un’accezione più positiva rispetto alla
prostituta”. Sulle donne pedofile gli studi sono ancora poco numerosi:
“I casi sono pochi e spesso avvengono nel contesto familiare;
l’approccio sessuale è meno genitale, la ricerca è mirata a una
sessualità erotica e meno pornografica”. Le mete del turismo sessuale
femminile?
Soprattutto l’America Centrale e il Senegal. Tuttavia esistono delle
differenze tra pedofilo e cliente: nel primo l’età si innalza (ha in
genere più di 25 anni) e gli episodi sono ricorrenti; nel 40% dei casi
i pedofili che raccontano le loro esperienze su internet hanno subito
abusi in età infantile e arrivano a questo tipo di scelta sessuale
“con molta sofferenza – ha osservato Scarpati – mentre il cliente
di turismo sessuale non ha coscienza di compiere qualcosa di illecito e
pensa di controllare la situazione, quindi è più pericoloso del
pedofilo”.
Sul web clienti e pedofili sono maschi nel 97% dei casi, un
terzo dei quali omosessuali; il materiale sequestrato dalla Polizia è a
contenuto gay nel 45% dei casi. E l’utilizzatore di internet è ancora
più giovane di chi viaggia: l’età scende a 18-35 anni, “con non
pochi casi di 15-16enni che hanno foto o rapporti con bambini tra i 6 e
gli 8 anni”, a riferito Scarpati. In questi reati la recidiva è
altissima (75%), mentre negli altri reati contro la persona in genere
non supera il 30%. Nei contatti attraverso la rete, in particolare nelle
chat, il cliente “è alla ricerca dei pari: una scelta forse legata
alla diminuzione dell’età – nota il presidente dell’Ecpat Italia
-. Internet aiuta la creazione della comunità, il sentirsi normali
all’interno di un gruppo perché si coltivano tendenze condivise”.
Comunque le chat non si svolgono mai in gruppo, ma “one to one: la
stessa persona viene frequentata 2 o 3 volte alla settimana”; i
contenuti dei dialoghi vanno dalle amicizie al commercio dei materiali
pedo-pornografici, alla conoscenza delle regole e dei siti, fino allo
“scambio di esperienze: al processo i racconti delle persone fermate
risultano falsi nei ¾ dei casi”
Turismo sessuale, progetto pilota delle agenzie del
Ventaglio ed Ecpat nella Repubblica Domenicana
Un progetto pilota del gruppo di agenzie di viaggio
Ventaglio, in collaborazione con Ecpat è stato avviato nella Repubblica
Domenicana e prevede sia la sensibilizzazione e formazione del personale
che il coinvolgimento delle comunità locali. L’iniziativa è stata
presentata nel corso della “Conferenza europea per la protezione dei
minori dallo sfruttamento sessuale del turismo”, che si conclude oggi
pomeriggio a Roma.
“Pur consapevole che il fenomeno non ‘viaggia’ principalmente
tramite i canali del turismo organizzato ma in genere predilige vie
secondarie, l’industri turistica ritiene di avere comunque un ruolo
importante e strategico soprattutto in termini di sensibilizzazione”,
ha rilevato Ellen Bermann, esperta dell’Astol, a cui è associato il
gruppo Ventaglio che ha firmato ufficialmente nel marzo scorso il Codice
di condotta dell’industria turistica italiana per la protezione dei
minori.
A livello internazionale
Antonio Tozzi della Flavet ha ricordato alcune cifre del triste fenomeno
del turismo sessuale: “Uno sfruttato per la pornografia; 500mila
bambine e adolescenti dedite alla prostituzione soltanto in Brasile, in
Thailandia potrebbero superare le 800mila. In India i bambini che
lavorano nell’industria del sesso sono 400-400 mila: il 20% delle
ragazze hanno meno di 18 anni e la metà di loro è sieropositiva”.