|
Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Il
picco globale
Tratto da “Collasso”, ed. Nuovi
Mondi Media
La
chiave per comprendere ciò che sta per succederci è contenuta nel
concetto di picco della produzione globale di petrolio. E’ il punto in
cui abbiamo estratto la metà di tutto il petrolio esistente nel mondo,
la metà più facile da ottenere, la metà raggiungibile più
economicamente, la metà di qualità migliore e meno costosa da
raffinare. Il petrolio residuo è quello che si trova in posti
proibitivi di non facile accesso, come l'Artico e le profondità
dell'oceano.
Molta della metà restante è difficile da estrarre e potrebbe
richiedere, in effetti, così tanta energia per estrarla da non valerne
la pena; se, per esempio, ci vuole un barile di petrolio per ottenere un
barile di petrolio, sarebbe inutile. Se ci vogliono due barili di
petrolio per ottenerne uno, sarebbe addirittura folle. Molta della metà
restante si presenta sotto forma di greggio ad alto contenuto di zolfo,
difficile da raffinare, o sabbie bituminose e catrame di scisto, che non
sono liquidi ma solidi che devono essere scavati e poi liquefatti per la
raffinazione, aggiungendo altre due voci ai costi per il loro recupero.
Una parte notevole della metà restante delle scorte originarie di
petrolio mondiali non sarà mai recuperata.
Oltrepassare il picco della produzione petrolifera significa che tutte
le nazioni della Terra messe insieme non potranno mai più estrarre dal
terreno tanto petrolio quanto ne estraevano al momento del picco, quale
che sia la domanda. Ciò ha implicazioni straordinarie per la civiltà
industriale fondata sul petrolio, basata sull'espansione costante e
regolare di tutto: popolazione, prodotto interno lordo, vendite,
profitti, nuovi alloggi, e chi più ne ha più ne metta. Il superamento
del picco della produzione petrolifera rappresenta una crisi economica
senza precedenti che sconvolgerà le economie nazionali, rovescerà
governi, altererà le frontiere nazionali, provocherà conflitti
militari e metterà a repentaglio il proseguimento della vita civile. Al
momento del picco la razza umana avrà generato una popolazione incapace
di sopravvivere con meno della quantità di petrolio prodotta in quel
momento... e una volta superato quel punto l'offerta di petrolio
diminuirà inesorabilmente. Quando ciò accadrà, complessi sistemi
sociali e di mercato saranno sollecitati fino al punto di rottura,
annullando la possibilità di una discesa indolore dal picco.
Le
informazioni migliori di cui disponiamo ci dicono che oltrepasseremo il
picco della produzione mondiale di petrolio tra il 2000 e il 2008. La
data è inesatta per diversi motivi. Uno è che le riserve (il petrolio
che ancora rimane nel sottosuolo) riferite dal settore privato e dalle
compagnie petrolifere nazionalizzate tendono solitamente a essere
sovrastimate, vuoi per favorire le quotazioni delle azioni o per
ottenere vantaggi per le quote di esportazione sui mercati
internazionali, come nel caso dei membri dell'Organizzazione dei Paesi
Esportatori di Petrolio (OPEC).
Un altro motivo è che il "punto di svolta" tenderà a
manifestarsi in vari anni di oscillazioni del mercato, un periodo di
instabilità con ricorrenti scossoni nei prezzi e conseguenti recessioni
che deprimeranno domanda e prezzi, preludendo a un declino fatale. Perciò
il picco lo si riconoscerà soltanto in uno "specchietto
retrovisore" una volta iniziato quel declino fatale. I segni di
protratta instabilità del mercato, quindi, tendono a suggerire il
raggiungimento del picco, che non sarà però dimostrabile se non col
senno di poi.
In altre parole, il picco potrebbe apparire come una sorta di fase di
ristagno o di eccedenza delle uscite sulla disponibilità che durerà
qualche anno, mentre la stagnazione economica (cioè la mancanza di
crescita) ridurrà la domanda. Durante questo periodo di differimento, i
mercati potrebbero ricorrere a strategie di assegnazione per continuare
a rifornire i clienti migliori (industrializzati) a spese delle nazioni
"perdenti" a corto di liquidità (una volta chiamate
"nazioni in via di sviluppo", ma che molto probabilmente
diventeranno "nazioni destinate a non svilupparsi mai”). Poi,
dapprima lentamente e poi accelerando, la produzione petrolifera
mondiale diminuirà, le economie e i mercati di tutto il mondo
mostreranno una crescente instabilità, con oscillazioni sempre più
ampie rispetto alle norme precedenti il picco, ed entreremo in una nuova
era di un'austerità precedentemente inimmaginabile. Questi corsi sono
irreversibili.
Com'è
possibile che una simile catastrofe sia così imminente e persone civili
e colte in paesi liberi con mezzi d'informazione liberi e istituzioni
trasparenti siano così disinformate in merito? Non sono uno che vede
cospirazioni ovunque. Sebbene si siano verificate nella storia, le
cospirazioni devono, quasi invariabilmente, essere molto piccole e
limitate a cerchie ristrette di individui.
Gli esseri umani non sono molto
bravi a mantenere i segreti; l'interesse personale individuale non è
intercambiabile con l'interesse di gruppo e i due sono spesso in
conflitto, soprattutto tra manipoli di cospiratori. Non credo che
l'ignoranza generale a proposito della prossima fine catastrofica
dell'era del petrolio a buon mercato sia il prodotto di una
cospirazione, da parte degli imprenditori, del governo o dei mezzi
d'informazione. E’ in larga misura una questione d'inerzia culturale,
aggravata da un'illusione collettiva e cresciuta nel mezzo di cultura
del comfort e dell'autocompiacimento. Lo scrittore Erik Davis l'ha
definita la "trance del consenso".
Semmai ci pensa, la maggioranza degli occidentali sembra convinta che il
petrolio sia superabbondante, se non illimitato. Crediamo che il mondo
sia pieno di enormi quantità di giacimenti petroliferi ancora da
scoprire e che le "nuove tecnologie" di trivellazione ed
estrazione faranno miracoli nel prolungare la vita dei giacimenti
esistenti. Per molti di noi, perfino i meglio informati, la riflessione
si ferma qui. Le società petrolifere la sanno lunga, ma sanno anche che
le cattive notizie nuocciono agli affari e poiché non ci sono sostituti
bell'e pronti del petrolio hanno deciso di andarci piano con le
informazioni circa il raggiungimento del picco mondiale. Oppure si
mostrano sorridenti e ottimiste.
Colin
Campbell, un geologo esperto di petrolio che ha lavorato per molte delle
principali compagnie petrolifere internazionali, compresa
«La parola che proprio non vogliono pronunciare è esaurimento. t un
termine che puzza nella comunità degli investitori, sempre alla ricerca
di buone notizie e di immagine, e non è facile per loro spiegare tutte
queste cose piuttosto complicate, né in effetti hanno alcun motivo o
responsabilità di farlo. Non spetta a loro badare al futuro del mondo.
1 loro direttori lavorano per fare soldi, per se stessi in primo luogo e
per i loro azionisti quando possono. Perciò penso che sia senz'altro
vero che le società petrolifere rifuggono dall'argomento, non amano
parlarne e sono molto ottuse su ciò che fanno o dicono in proposito.
Loro
stessi capiscono la situazione chiaramente quanto me e le loro azioni la
dicono molto più lunga delle loro parole. Se avessero una grande
fiducia in un aumento della produzione negli anni a venire, perché non
hanno investito in nuove raffinerie? Si costruiscono pochissime
raffinerie nuove. Perché si fondono? Si fondono perché non c'è posto
per tutti. t un settore che va contraendosi. Perché licenziano, perché
appaltano lavori all'esterno?
Il
petrolio del Mare del Nord sta diminuendo rapidamente. Sono restii ad
ammetterlo, ma credo che siano stati trivellati soltanto quattro pozzi
esplorativi quest'anno [20021. Chiuso! Finito! E come possono
I
dirigenti delle grandi società sono soggetti a varie altre pressioni
che limitano le loro capacità mentali. Una è che tendono
comprensibilmente a credere agli economisti del loro settore, che si
oppongono con veemenza a modelli economici che non siano basati su di
una crescita continua. Poiché il fenomeno del picco della produzione
petrolifera esclude sostanzialmente ogni ulteriore crescita industriale
del tipo a cui siamo abituati. Le sue implicazioni non rientrano
assolutamente nel loro modello economico.