Due miracolose piante
bibliche efficaci contro l’Alzheimer
Dottor Russell
Blaylock, traduzione per Disinformazione a cura di Lorenza Veronese
L’Alzheimer è la ormai più
comune forma di demenza, colpisce la memoria e i processi cognitivi del
cervello.
Al giorno d’oggi, più di 5 milioni di americani convivono con l’Alzheimer che
vanta il sesto posto nella classifica delle cause di decessi, negli Stati Uniti.
Mentre gli scienziati continuano a ricercare una cura per questa malattia
mortale del cervello, alcuni ricercatori stanno valutando le potenzialità
curative di antiche piante conosciute fin dai tempi Biblici.
Una di queste piante è la
SALVIA, molto spesso utilizzata come spezia per dare sapore ai cibi.
Sono svariati gli usi della salvia che ci provengono dalla medicina popolare, di
fatto il nome botanico della salvia deriva dalla parola latina “salvere” che
significa “essere salvati”. Gli antichi guaritori non solo utilizzavano la
salvia per migliorare la memoria e le funzioni cerebrali, ma anche per diverse
tipologie di disfunzioni cardiache, infertilità e per offrire longevità alle
persone.
La salvia è anche
conosciuta come la “Pianta del Candelabro a 7 braccia” perché, quando pressata e
appiattita, la pianta di salvia prende la forma del Candelabro a 7 braccia o
Menorah, importante simbolo ebraico descritto nel libro dell’Esodo.
Finalmente, ai nostri giorni la scienza conferma ciò che gli antichi guaritori
dell’era Biblica già sapevano. Infatti, qui sotto sono riportati due studi
recenti che documentano i potenziali benefici della salvia nel trattamento
dell’Alzheimer.
In uno studio “doppio cieco”*, randomizzato* e placebo controllato, riportato
nel Journal of Clinical Pharmacy and Therapeutics si conferma che la salvia
ufficialmente incrementa e sostiene le funzioni cognitive e dimostra l’efficacia
nel mitigare gli effetti dell’Alzheimer.
In aggiunta, uno studio
riportato nel Journal of Pharmacology and Experimental Therapeutics dimostra
l’effetto protettivo della salvia nelle cellule nervose contro i danni dovuti ad
una elevata presenza delle proteine amiloidi riscontrata negli individui affetti
da Alzheimer.
L’acido rosmarinico presente nella salvia possiede proprietà antiossidanti e
antinfiammatorie oltre alla capacità di arrestare la morte delle cellule
nervose.
La salvia è sorella del
ROSMARINO, altra erba culinaria che offre altrettanti benefici per la salute,
anch’essi scoperti ai tempi Biblici.
Il rosmarino è conosciuto come la “Pianta della Memoria” ed è la pianta che una
volta protesse la Vergine Maria nel suo viaggio verso l’Egitto. In qualità di
“Pianta Curativa Biblica” il rosmarino è stato utilizzato nei secoli per
accrescere la memoria e per ridurre le palpitazioni cardiache, aumentare le
energie, curare le cataratte e per curare molti altri problemi.
Il rosmarino possiede componenti chimici che prevengono la perdita di
acetilcolina, elemento fondamentale per pensare e ragionare. Gli individui
affetti da Alzheimer sono spesso carenti di acetilcolina.
Un recente studio condotto
dalla Saint Louis University School of Medicine dimostra che gli estratti del
rosmarino migliorano l’apprendimento e la memoria e riducono l’ossidazione
dovuta a stress, fattore caratteristico del declino dell’invecchiamento.
Il rosmarino e la salvia contengono un altro ingrediente conosciuto come acido
carnosico il quale favorisce la protezione delle cellule cerebrali. Ricerche
riportate nel Cell Journal dimostrano che l’acido carnosico previene la
degenerazione dei nervi.
Nella loro lunga tradizione di erbe mediche, sia il rosmarino che la salvia sono
state utilizzate nella preparazione di tisane curative.
Per favore considerate che l’utilizzo di erbe mediche come il rosmarino e la salvia a scopi curativi non deve fungere da sostituto di adeguati trattamenti medici.
NOTE
*Una sperimentazione controllata randomizzata è un disegno di studio sperimentale nel quale il trattamento studiato è prescritto ad una sola frazione dei soggetti arruolati nell’indagine, selezionati casualmente (randomizzazione), secondo uno schema predeterminato e imposto agli operatori sanitari esecutori della ricerca. Al gruppo di controllo dello studio viene prescritto un trattamento di cui si conosce l’effetto, oppure nessun trattamento. Lo studio si definisce “a doppio cieco” quando né i partecipanti, né le persone che raccolgono i dati sanno se, rispettivamente, ricevono o prescrivono il trattamento in studio o quello di controllo.
Definizione tratta dal sito “BMV Biblioteca Medica Virtuale”