Come e perché è iniziato
l'interesse degli Stati Uniti per l'Irak? Un semplice e fondamentale
quesito che, in tutte le innumerevoli ore che i media corporativi
dedicano alla diffusione delle menzogne dell'amministrazione Bush e
delle falsità sull'Irak, non è quasi mai stato posto. E per un valido
motivo. Sin dal suo effettivo inizio, ottant'anni fa, la politica
statunitense verso l'Irak si è sempre concentrata su di un unico
obiettivo: assumere il controllo delle risorse petrolifere di quel
paese.
L'intervento statunitense in Irak affonda le sue radici negli strascichi
della Prima Guerra Mondiale, che fu una guerra fra imperi capitalistici.
Da un lato gli imperi germanico, austroungarico ed ottomano (turco);
dall'altro l'intesa imperiale britannico-franco-russa. Il Medio Oriente
ricadeva in gran parte sotto il controllo ottomano.
I britannici, tramite il loro agente T.E. Lawrence -conosciuto come
"Lawrence d'Arabia"- promisero ai leader arabi che se avessero
combattuto a fianco della Gran Bretagna contro i dominatori turchi, al
termine del conflitto essa avrebbe appoggiato la creazione di uno stato
arabo indipendente.
Nel contempo i ministri degli esteri britannico, francese e russo
stavano stipulando in segreto l'accordo Sykes-Picot, che ridisegnava il
Medio Oriente e che venne reso pubblico dopo la Rivoluzione Russa del
1917 dal Partito Bolscevico, che lo denunciò in quanto imperialista.
Quando le popolazioni arabe e curde scoprirono il tradimento perpetrato
dalle "democrazie" imperiali, in tutto il Medio Oriente
scoppiarono rivolte di massa. Le ribellioni poi continuarono durante
tutto il periodo coloniale. La pressione fu brutale sino all'estremo.
Nel 1925, ad esempio, i britannici sganciarono gas velenosi sulla città
curda di Sulaimaniya in Irak -fu la prima volta che del gas veniva
lanciato da aerei da guerra-.
Francia e Gran Bretagna si
spartiscono il Medio Oriente.
Dopo il 1918, a guerra finita, Francia e Gran Bretagna procedettero
con il loro piani. Il Libano e la Siria, secondo gli accordi, sarebbero
stati annessi all'impero francese; la Palestina, la Giordania e le due
province meridionali dell'Irak -Baghdad e Basra- sarebbero entrate a far
parte dell'esteso impero britannico.
Non si accordarono invece su chi si sarebbe impossessato della provincia
di Mosul, l'area settentrionale dell'Irak odierno che, secondo l'accordo
Sykes-Picot, doveva far parte della "sfera d'influenza"
francese. I britannici, tuttavia, erano determinati ad aggiungere Mosul,
la cui popolazione era in massima parte curda, alla loro nuova colonia
irachena. A sostegno delle proprie rivendicazioni, l'esercito britannico
occupò Mosul quattro giorni dopo la resa turca, nell'ottobre 1918
-e non se ne andò più-.
La risoluzione della contesa inter-imperialista tra Francia e Gran
Bretagna per Mosul determinò l'inizio del ruolo statunitense in Irak.
L'importanza di Mosul per le grandi potenze si basava sulle note,
benché all'epoca ben poco sfruttate, risorse petrolifere. Gli Stati
Uniti erano entrati in guerra a fianco di Francia e Gran Bretagna nel
1917, dopo che i loro alleati e nemici si erano in gran parte sfiancati;
le condizioni degli Stati Uniti per entrare in guerra comprendevano la
richiesta che, nel panorama mondiale postbellico, venissero tenuti in
considerazione i loro obiettivi politici ed economici, fra cui vi era
l'accesso a nuove fonti di materie prime, in particolare il petrolio.
Nel febbraio del 1919 Sir Arthur Hirtzel, ufficiale coloniale britannico
di grado elevato, ammonì i cuoi soci: "Bisognerebbe tenere
presente che la Standard Oil Company è assai ansiosa di acquisire il
controllo dell'Irak" (Citato in Britain in Iraq, 1914-32, di
Peter Sluglett, Londra 1974)
Di fronte alla dominazione franco-britannica della regione, gli Stati
Uniti inizialmente richiesero una politica di "Porte Aperte",
di modo che alle società petrolifere statunitensi fosse consentito di
trattare liberamente con la nuova monarchia fantoccio di Re Faisal, che
i britannici avevano installato sul trono dell'Irak.
La soluzione alla contesa degli alleati vittoriosi riguardo all'Irak fu
la spartizione del petrolio di quel paese; i britannici mantennero Mosul
come parte della loro nuova colonia irachena.
Nemmeno una goccia per l'Irak
Il petrolio iracheno venne spartito in cinque quote: un 23,75 per
cento a testa a Gran Bretagna, Francia, Olanda e Stati Uniti; il
restante cinque per cento destinato ad un magnate del petrolio, tale
Caloste Gubenkian, noto con soprannome di "Mister Cinque
Percento", che contribuì a negoziare l'accordo.
All'Irak apparteneva esattamente lo zero per cento del petrolio
iracheno. Le cose sarebbero rimaste così sino alla rivoluzione del
1958.
Nel 1927 si diede l'avvio a importanti esplorazioni petrolifere e nella
provincia di Mosul furono scoperti enormi giacimenti. Due anni dopo fu
costituita la Iraqi Petroleum Company - composta da anglo-iraniani (oggi
British Petroleum), Shell, Mobil e Standard Oil of New Jersey (Exxon)-
che, nel giro di pochi anni, avrebbe completamente monopolizzato la
produzione petrolifere irachena.
Nello stesso periodo la famiglia al-Saud, appoggiata dagli Stati Uniti,
conquistò gran parte della vicina penisola arabica. L'Arabia Saudita
nacque negli anni '30 come neocolonia degli Stati Uniti. L'ambasciata
statunitense a Riad, capitale dell'Arabia Saudita, aveva sede
nell'edificio della Aramco (Arab American Oil Company).
Però le società petrolifere statunitensi ed il loro governo di
Washington non erano soddisfatte; volevano il controllo totale del
petrolio mediorientale, così come avevano il quasi-monopolio delle
riserve petrolifere dell'emisfero occidentale. Ciò significava
soppiantare i britannici che, in quella regione, facevano ancora la
parte del leone.
Gli Stati Uniti mirano agli
interessi britannici.
Per gli Stati Uniti l'opportunità derivò dalla fine della Seconda
Guerra Mondiale. Anche se Stati Uniti e Gran Bretagna vengono
generalmente raffigurati come i più stretti alleati in tempo di guerra,
di fatto erano allo stesso tempo in feroce contrasto.
La guerra indebolì assi l'impero britannico, sia sul territorio
nazionale che all'estero, con la perdita delle importanti colonie in
Asia. Nelle prima fasi del conflitto, fra il 1939 ed il 1942, non si
sapeva nemmeno se la Gran Bretagna sarebbe sopravvissuta; non avrebbe
mai più recuperato la sua antica posizione di dominio.
Gli Stati Uniti, d'altronde, divennero sempre più potenti nel corso del
conflitto -prima di entrare nel quale i capoccioni di Washington avevano
atteso ancora una volta il momento più opportuno-. Nelle ultime fasi
della Seconda Guerra Mondiale, le amministrazioni Truman e Roosevelt,
dominate dai forti interessi di colossi bancari, petroliferi e di altro
tipo, erano determinate a ristrutturare il mondo postbellico onde
assicurare la posizione predominante agli Stati Uniti. Gli elementi
chiave della loro strategia furono:
1) Superiorità militare negli armamenti convenzionali e nucleari;
2) Globalizzazione corporativa dominata dagli Stati Uniti, da
conseguirsi tramite il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, creati nel
1944, e affermazione del dollaro come valuta mondiale;
3) Controllo delle risorse globali, in particolare il petrolio.
Mentre sui campi di battaglia infuriava la guerra, dietro le quinte tra
Stati Uniti e Gran Bretagna si dipanava una contesa per il controllo
economico globale, contesa che fu talmente aspra che il 4 marzo del 1944
-tre mesi prima del D-Day, giorno dello sbarco in Normandia- il primo
ministro britannico Wiston Churchill inviò al presidente degli Stati
Uniti Franklin Delano Roosevelt un messaggio alquanto insolito per il
contenuto imperialista ed il tono ostile:
"Grazie infinite per le sue assicurazioni sull'assenza di occhi
di triglia [guardare con invidia -RB] verso i nostri giacimenti
petroliferi in Iran ed in Irak. Lasci che io ricambi garantendole che
noi non abbiamo la minima intenzione di intrometterci nei vostri
interessi o proprietà in Arabia Saudita. A questo riguardo, così come
per tutto il resto, la mia posizione è che da questa guerra la Gran
Bretagna non ricerca alcun beneficio territoriale o di altro genere;
essa, d'altra parte, non verrà privata di alcunché le appartiene di
diritto dopo aver contribuito nel migliore dei modi alla giusta causa,
quantomeno non fino a quando il vostro umile servitore avrà l'incarico
di occuparsi dei suoi affari" (Citato in The Politics of War,
di Gabriel Kolko, NY 1968)
Quello che questa nota evidenzia con chiarezza è che i leader
statunitensi erano così risoluti ad acquisire il controllo su Iran e
Irak che avevano fatto suonare il campanello d'allarme presso le élite
di comando britanniche.
Nonostante il discorso minaccioso di Churchill, non c'era nulla che i
britannici potessero fare per contenere la potenza in ascesa degli Stati
Uniti; nell'arco di pochi anni, la classe dirigente britannica si
sarebbe adattata alla nuova realtà ed avrebbe accettato il ruolo di
socio di minoranza di Washington.
L'espansione del ruolo statunitense
dopo la Secondo Guerra Mondiale.
Nel 1953, dopo che la CIA con un colpo di stato aveva messo sul trono lo
Scià, gli Stati Uniti assunsero il controllo dell'Iran. Alla metà
degli anni '50, l'Irak era sotto controllo congiunto di Stati Uniti e
Gran Bretagna.
Nel 1955 Washington, assieme alla Gran Bretagna, istituì il Patto di
Baghdad, che comprendeva i suoi regimi satelliti in Pakistan, Iran,
Turchia ed Irak; Il Baghdad Pact, o CENTO -Central Treaty Organitation-
aveva un duplice scopo.
Da una parte contrastare l'ascesa degli arabi e di altri movimenti di
liberazione in Medio Oriente e nel sud-est asiatico; dall'altra
rappresentare l'ennesima di una serie di alleanze militari -le altre
erano NATO, SEATO ed ANZUS- che accerchiassero il campo socialista di
Unione Sovietica, Cina, Europa Orientale, Corea del Nord e Vietnam del
Nord.
L'Irak, il cuore del CENTO, era indipendente solo nominalmente; i
britannici vi mantenevano basi dell'aeronautica militare. Anche se il
paese era estremamente ricco di petrolio, ospitando il 10% delle
riserve mondiali, tuttavia contava una popolazione che viveva in
condizioni di fame e di miseria; il tasso di analfabetismo era dell'80%,
c'era un solo medico ogni 6000 abitanti ed un dentista ogni 500.000.
L'Irak era governato dalla monarchia corrotta di Faisal II e da una
consorteria di proprietari terrieri feudali e mercanti capitalisti.
Alla base della povertà dell'Irak, vi era il semplice fatto che l'Irak
stesso non disponeva dei suoi vasti giacimenti petroliferi.
La rivoluzione irachena.
Il 14 luglio del 1958, l'Irak venne scosso da un'energica esplosione
sociale. Una rivolta militare si trasformò in una rivoluzione
nazionale, ed il re e la sua amministrazione, oggetto della giustizia
popolare, furono di colpo scalzati.
Washington e Wall Street erano sbalordite. Nella settimana che seguì il
New York Times, il "quotidiano ufficiale" degli Stati Uniti,
sulle sue prime 10 pagine non riportava altre notizie che quelle
relative alla rivoluzione irachena. Mentre oggi si ricorda meglio
un'altra grande rivoluzione che sarebbe avvenuta appena sei mesi dopo a
Cuba, all'epoca Washington considerava l'insurrezione irachena assai
più pericolosa per i propri interessi vitali.
Il presidente Dwight D. Eisenhower la definì "la più grave crisi
dai tempi della Guerra in Corea". Il giorno successivo alla
rivoluzione irachena, 20.000 marine iniziarono a sbarcare in Libano; il
giorno dopo, 6600 paracadutisti britannici furono paracadutati in
Giordania.
Questa è quella che divenne poi nota coma la "Dottrina
Eisenhower". Gli Stati Uniti sarebbero intervenuti direttamente
-entrati in guerra- per impedire la diffusione della rivoluzione nel
vitale Medio Oriente.
I corpi di spedizione britannici e statunitensi intervennero per
salvaguardare i governi neo-coloniali di Libano e Giordania; se non
l'avessero fatto, l'impulso popolare proveniente dall'Irak avrebbe
sicuramente abbattuto i corrotti regimi dipendenti di Beirut ed Amman.
Però Eisenhower, i suoi generali ed il suo arci-imperialista segretario
di stato John Foster Dulles avevano anche ben altro in mente: invadere
l'Irak, rovesciare la rivoluzione ed insediare un nuovo governo
fantoccio a Baghdad.
Tre fattori indussero Washington ad abbandonare il progetto nel 1958; il
carattere travolgente della rivoluzione irachena; l'annuncio della
Repubblica Araba Unita, confinante con l'Irak, in base al quale, nel
caso gli statunitensi avessero cercato di invadere, le sue forze
avrebbero combattuto contro le forze imperialiste; e l'energico sostegno
della Repubblica Popolare Cinese e dell'Unione Sovietica alla
rivoluzione. Quest'ultima avviò una mobilitazione di truppe nelle
repubbliche sovietiche meridionali vicine all'Irak.
La combinazione di questi fattori costrinse i leader statunitensi ad
accettare la rivoluzione irachena come fatto compiuto; Washington però
in realtà non si rassegnò mai alla perdita dell'Irak.
Nei tre decenni successivi, il governo statunitense adoperò numerose
tattiche per indebolire e scalzare l'Irak in quanto stato indipendente.
In varie occasioni -come successe dopo che l'Irak nel 1972 portò a
termine la nazionalizzazione della Iraqi Petroleum Company e stipulò
con l'Unione Sovietica un trattato di difesa- gli Stati Uniti fornirono
massicci aiuti militari agli elementi curdi di destra che combattevano
Baghdad ed aggiunsero l'Irak alla loro lista degli "stati
terroristi".
Gli Stati Uniti appoggiarono gli elementi più reazionari all'interno
della struttura post-rivoluzionaria contro le forze comuniste e
nazionaliste di sinistra e, ad esempio, alla fine degli anni '70
plaudirono alla soppressione del Partito Comunista Iracheno e dei
sindacati di sinistra da parte del governo del partito Ba'ath di Saddam
Hussein.
Negli anno '80, gli Stati Uniti incoraggiarono e contribuirono a
finanziare ed armare l'Irak nella sua guerra contro l'Iran, nazione in
cui la Rivoluzione Islamica del 1979 pose fine alla dominazione
statunitense; in realtà lo scopo degli Stati Uniti era quello di
indebolire e distruggere entrambi quei paesi. L'ex Segretario di Stato
Henry Kissinger rivelò il vero atteggiamento statunitense riguardo alla
guerra quando affermò: "Spero che si ammazzino gli uni con gli
altri".
Il Pentagono fornì all'aviazione militare irachena fotografie
satellitari degli obiettivi militari iraniani, mentre nello stesso tempo
lo scandalo Iran-Contra svelò che gli Stati Uniti stavano inviando
all'Iran missili antiaerei. La guerra Iran-Irak fu un disastro, costò
la vita a milioni di persone e indebolì entrambi i paesi.
Il collasso dell'unione sovietica e
la guerra del golfo
Quando infine nel 1988 la guerra Iran-Irak terminò, le vicende in
atto in Unione Sovietica stavano costituendo un nuovo e più grave
pericolo per l'Irak, che aveva stipulato con quest'ultima un trattato di
collaborazione militare e di amicizia. La leadership di Gorbaciov,
nell'ottica di una "distensione permanente" con gli Stati
Uniti, iniziò a tagliare i fondi destinati ai suoi alleati dei paesi in
via di sviluppo. Nel 1989, Gorbaciov si spinse ancora più in là e
ritirò l'appoggio ai governi socialisti dell'Europa Orientale, i quali
in gran parte crollarono. Questo brusco cambiamento nei rapporti di
potere a livello mondiale -che culminò due anni più tardi con la fine
della stessa Unione Sovietica- costituì la più grande vittoria
dell'imperialismo statunitense sin dalla Seconda Guerra Mondiale.
Inoltre spianò la via alla guerra statunitense del 1991 contro l'Irak e
a più di un decennio di sanzioni, blocchi e bombardamenti che hanno
devastato l'Irak e la sua popolazione.
Oggi l'amministrazione Bush, adducendo come argomento "armi di
distruzione di massa" e "diritti umani", sta cercando di
guadagnarsi il sostegno dell'opinione pubblica ad una nuova guerra
contro l'Irak. In realtà a Washington non interessano né una ridotta
capacità militare dell'Irak né i diritti umani di qualsiasi angolo
della mondo; quello che nel 2002 spinge la politica statunitense in
direzione dell'Irak è lo stesso obiettivo che motivò Washington e Wall
Street 80 anni fa: il petrolio!
Tratto da Nexus
ed. italiana nr. 42 (gennaio-febbraio 2003) |