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Petrolio.
E poi?
Di
Maurizio Blondet - «Avvenire» 4 marzo 2004
Gli
esperti: «La produzione presto comincerà a calare» Il «picco»
estrattivo potrebbe essere molto vicino: a maggio un convegno cercherà
risposte Ma le compagnie sono già all'opera per il futuro.
Geologi, economisti, presidenti di multinazionali energetiche: saranno tutti a Berlino il prossimo maggio. Richiamati da un convegno internazionale che cercherà di rispondere a una domanda inaudita, ed anche minacciosa: il picco petrolifero è già arrivato? «Picco petrolifero» è un termine che va spiegato, visto che dovremo conviverci. Ogni pozzo aperto dalla Shell, dall'Eni o dalla Exxon ha una durata di vita determinata: se ne estrae un numero crescente di barili (equivalenti a 159 litri) di oro nero, fino a che il pozzo raggiunge il «picco» produttivo: dopo il quale, l'emissione di grezzo diminuisce, fino ad esaurirsi. Inesorabilmente. Un famoso geofisico scomparso nel 1989, King Hubbert, radunò i dati di tutti i pozzi aperti ai suoi tempi (gli anni Settanta) per prevedere il momento del declino produttivo globale. Da allora, il grafico della produzione mondiale di greggio (Curva di Hubbert) viene continuamente aggiornato, grazie alle più avanzate tecniche di prospezione. Esiste addirittura, in Danimarca, un istituto dedito alla sorveglianza del grafico di Hubbert: è l'Aspo, Associazione per lo studio del picco petrolifero. Tra gli esperti, nessuno dubita che la civiltà fondata sul petrolio sia al tramonto. La sola differenza: gli ottimisti pongono il declino della produzione fra il 2020 e il 2030, i pessimisti fra il 2004 e il 2010. Non si tratta, stavolta, di messaggi allarmistici come quello sulla «fine delle risorse» lanciato dal Club di Roma negli anni '60.
Sono le sorelle petrolifere ad inquietarsi, perché i loro pozzi, in ogni luogo del pianeta, «buttano» sempre meno. Nel dicembre scorso, alla Borsa di Londra, si è brindato la notizia che un nuovo «grande» giacimento era stato scoperto nel Mare del Nord. Grande quanto? Abbastanza da coprire il fabbisogno del pianeta per 4 giorni. L'oro nero non sparirà da un giorno all'altro. Ma diverrà sempre più caro, e più costoso da estrarre. In un mondo dove la domanda cresce impetuosamente, con l'entrata di Cina e India nella società dei consumi. Oggi il mondo consuma 9 miliardi di tonnellate di petrolio ed equivalenti (tep) l'anno, ma con enormi disparità: dai 4,5 tep per persona l'anno nel Primo Mondo l'anno, ai 0,7 tep l'anno per ogni persona del Terzo. Se la domanda di costoro (cinque miliardi di uomini) si avvicinerà a quella occidentale, nel 2050 occorrerà produrre 30 miliardi di tep. Il triplo di oggi. Forse non a caso la BP, mantenendo la celebre sigla, ha cambiato nome: da British Petroleum s'è ribattezzata Beyond Petroleum (oltre il petrolio) e investe molto nel solare. Mentre la Total si è buttata nell'eolico. E non a caso, da tempo le Sette Sorelle non costruiscono nuove raffinerie. Il guaio è che nessuna altra fonte può davvero sostituire il liquido nero come motore della civiltà quale la conosciamo. Delle 4,5 tonnellate che ciascuno di noi consuma ogni anno, solo il 16 per cento finisce nel serbatoio della nostra auto.
Il 31 per cento ci fornisce fertilizzanti e materiali chimici d'ogni genere (dai pesticidi alle plastiche ai medicinali), il 19 per cento serve a far funzionare impianti e fabbriche, il 13 per cento serve all'irrigazione. Se il petrolio rincara, rincara anche il cibo, la cui produzione moderna dipende dal carburante in proporzione inimmaginabile. Se il petrolio sparisce, la produzione agricola torna al Medio Evo. «Ogni americano ha a disposizione l'energia su cui poteva contare un signore romano padrone di 200 schiavi», spiega Jospeh Tainter, archeologo presso il ministero americano dell'Agricoltura. «Una riduzione del 30 per cento dell'energia, come potrebbe verificarsi nei prossimi vent'anni, renderebbe impossibile alimentare tu tti gli attuali abitanti della Terra».