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Il
passaggio del Mar Rosso
A
cura di Flavio Barbiero – estratto dalla rivista “Hera” –
gennaio 2001
RITENUTO
DAGLI STORICI SOLTANTO UN MITO, È UN AVVENIMENTO REALMENTE ACCADUTO,
FRA I PIÙ IMPORTANTI E DECISIVI DELLA STORIA. UN CAPOLAVORO DI
STRATEGIA E DI GENIALITÀ DI CUI MOSÉ FU AUTORE
Un
punto fondamentale che oggi continua ad alimentare lo scetticismo degli
studiosi e degli esegeti biblici circa la veridicità della narrazione
del Pentateuco è il passaggio
degli ebrei attraverso il Mar Rosso. È questo l'avvenimento centrale e
più importante dell'epopea dell'Esodo. Senza di esso Mosé non avrebbe
potuto trascinare il popolo ebraico nel deserto ed imporgli la sua
legge; la religione ebraica non sarebbe mai sorta e neppure il
cristianesimo. La storia umana avrebbe avuto un corso totalmente
diverso. Il passaggio del Mar Rosso, quindi, si pone in prospettiva come
uno degli avvenimenti più importanti e decisivi della Storia. Ironia
della sorte, sono proprio gli storici i primi a negargli ogni realtà
storica.
Per una qualche ragione il passaggio attraverso il Mar Rosso, come viene
descritto dalla Bibbia, è sempre apparso agli studiosi talmente al di
fuori della realtà, che lo hanno sempre rigettato a priori, dedicandosi
a ricercare soluzioni alternative. Neppure una di queste proposte
alternative, però, appare più credibile dello stesso racconto biblico,
per cui alla fine è prevalsa l'opinione che non ci sia mai stato un
passaggio del Mar Rosso se non a livello simbolico. A nessuno è mai
passato per la mente che l'unica spiegazione realistica di quell'episodio
è proprio fornita dalla Bibbia stessa. Un'analisi accurata del racconto
esclude che esso sia stato inventato e porta a concludere che quel
passaggio deve essere avvenuto realmente ed esattamente dove, quando e
come descritto in Esodo.
Sorprendentemente, infatti, è possibile trovare una spiegazione
soltanto a patto che non si rinunci ad una sola delle indicazioni
fornite dalla Bibbia, sempre, beninteso, che quest'ultima racconti i
fatti come sono stati vissuti dai loro protagonisti, ai quali sfuggiva
la spiegazione razionale di ciò che accadeva e perciò ricorrevano
all'intervento sovrannaturale.
- Gli
Ebrei sono transitati "in
mezzo" ad un vero mare, avendo acqua sia sulla loro destra che
sulla loro sinistra (Es.14,22) (tradizionalmente il mare in questione
viene identificato con il Mar Rosso, e non c'è ragione, sulla base del
testo, di rigettare questa identificazione).
-
Sono transitati attraverso il mare di notte, in una notte senza luna,
quindi durante un novilunio (Es. 14,20; Deu. 16, 1).
-
Prima e durante il passaggio si era levato un vento teso (Es. 14,2 1).
- Le truppe egiziane si sono gettate all'inseguimento alle prime luci
dell'alba lungo la stessa via percorsa dagli ebrei, ma sono state
travolte dalle acque prima li riuscire a passare (Es. 14,23; 14,27
ecc.).
- I corpi
dei soldati annegati sono stati trascinati dalla corrente sulla spiaggia
del mare (Es. 14,20). Si tratta di appurare se esiste la possibilità
che questi fatti siano accaduti così come
LE
RAGIONI DI UN PERCHÉ
Gli
Ebrei, dopo lunghe e laboriose trattative con il faraone, inframmezzate
da eventi calamitosi straordinari, avevano ottenuto l'autorizzazione a
recarsi nel deserto, "a tre
giorni di cammino" (la "giornata
di cammino" era una unità di misura delle distanze
corrispondente a circa 35-40 km; perciò la meta degli ebrei si
trovava a più di un centinaio di km da Ramsess), per compiere sacrifici
al proprio Dio (Es.8,27), non certo di andarsene dall'Egitto. Da mesi,
tuttavia, si stavano preparando alla fuga barattando i propri beni
immobili con preziosi (Es.3,24; 11,2; 12,35); la voce che essi avrebbero
cercato di fuggire dall'Egitto doveva essere di dominio pubblico.
Nell'autorizzarli a recarsi nel deserto, gli egiziani dovettero prendere
delle precauzioni e, infatti, distaccarono un contingente di 600 carri
da guerra (Es. 14,7), con l'incarico di seguirli per impedire ogni
tentativo di fuga. Che le truppe egiziane si fossero accodate agli ebrei
fin dall'inizio del viaggio appare del tutto evidente dal racconto. In
Es. 14,8 è detto esplicitamente che 'faraone
si pose all'inseguimento degli israeliti mentre questi uscivano a mano
alzata (da Ramsess)", cioè fin dal primo giorno dell'Esodo. E
i versetti 14,20 e 14,24-26 dimostrano al di là di ogni possibile
dubbio che durante il viaggio gli egiziani si accampavano regolarmente
nei pressi del campo ebraico. Gli ebrei avendo con sé vecchi, donne e
bambini, greggi e masserizie erano lenti e impacciati; erano disarmati e
senza esperienza di guerra. Le truppe carrate egiziane erano
infinitamente più veloci e potenti; non esisteva la benché minima
possibilità di fuga se non venivano tolte di mezzo in qualche modo.
Quando, infatti, gli ebrei si resero conto di essere seguiti, vennero
presi dalla costernazione e Mosé per indurli a proseguire dovette
assicurare loro che sarebbe stato il Signore stesso a sterminare i
soldati egiziani (Es. 14,10-14). Lo scopo del passaggio attraverso
il Mar Rosso non poteva essere altro che questo: liberarsi
definitivamente dei sorveglianti.
UN
FENOMENO MIRACOLOSO
Mosé fu l'ideatore ed esecutore materiale del piano, ma non
possiamo certo pensare che avesse realmente il potere di dividere le
acque del mare. Doveva essere a conoscenza di un qualche fenomeno che si
verificava allora nel Mar Rosso e che oggi non avviene più. Secondo la
maggioranza degli storici ed esegeti gli avvenimenti in questione
sarebbero accaduti nel 13° secolo a.C., poco più di 3000 anni fa. Cosa
c'era allora di diverso rispetto ad oggi? Il livello dei mari su tutta
Il
fenomeno si ripeteva soltanto in occasione delle maree sigiziali, quando
luna e sole sono in congiunzione allo zenit, cioè nel novilunio più
prossimo a solstizio d'estate; sempre di notte. Perciò nessuno, (
quasi, ne era a conoscenza. Data la sua irrilevanza a fini pratici,
forse nessuno prima di Mosé si era curato di stabilirne le cause, la
durata e la periodicità.
Mosé doveva esserne venuto a conoscenza durante 1, sua fuga nel Sinai
(Es.2,15); la cosa doveva averlo impressionato moltissimo, tanto da
indurlo a tornare per anni sul posto per studiare a fondo il fenomeno
non dovette essere difficile per lui capirne la meccanica, legato
com'era alle fasi lunari e ai movimenti del sole. Per mettere a punto il
suo piano, Mosé doveva necessariamente conoscere il giorno e l'ora in
cui le secche sarebbero affiorate e l'ora in cui sarebbero scomparse.
Alcuni
elementi "collaterali" che egli aveva certamente messo in
conto, assunsero un ruolo importante. La notte buia senza luna, ad
esempio, che consentì agli ebrei di muoversi senza essere visti. Questo
però, poteva essere un gravissimo ostacolo alla loro marcia lungo le
secche; sennonché le calde acque del Mar Rosso pullulavano di
microrganismi luminescenti e la forte brezza notturna faceva frangere le
onde sulle secche, eccitandoli e segnando così la strada, senza bisogno
di illuminazione, altrimenti indispensabile. Il vento, quindi, pur non
avendo alcuna influenza sul ritiro delle acque, venne a svolgere un
ruolo molto importante.
Una volta accettata l'idea che a quell'epoca le secche della Baia di
Suez affiorassero durante le basse maree sigiziali, diventa
relativamente facile ricostruire il piano di Mosé nelle linee
essenziali, attenendosi strettamente alle indicazioni contenute nella
Bibbia e tenendo presente che ogni più piccolo particolare del racconto
è stato tramandato soltanto in quanto ebbe una qualche importanza nella
economia del fatto e quindi deve trovare una sua precisa spiegazione
razionale.
Gli
Ebrei erano migliaia; possedevano carri trainati da una coppia di buoi (Nm.7,3‑9),
mandrie e greggi. In movimento formavano una colonna interminabile ed
erano sparpagliati per chilometri. Guidare e coordinare i movimenti di
una massa del genere costituiva un grosso problema. Mosé lo risolse in
modo alquanto semplice: in testa alle colonne in marcia, pose, su un
carro un grande braciere di bitume ardente. Sprigionava una "colonna"
di denso fumo che vista a chilometri di distanza fungeva da guida
durante la marcia. Di notte la posizione del braciere era segnalata dal
bagliore delle fiamme (Es. 13,2 1).
Le
truppe egiziane seguivano a distanza gli ebrei, ed è naturale che si
regolassero anch'esse sui movimenti del braciere. Era un punto
essenziale del piano di Mosé; dai versetti Es. 14,19-20, infatti,
risulta evidente che il braciere, la notte in cui fu attraversato il Mar
Osso, dovette svolgere un ruolo di notevole importanza. Dopo un viaggio
di 15 giorni (il popolo ebraico non poteva coprire più di una
quindicina di chilometri per ogni giornata di marcia; inoltre, ogni tre
giorni doveva effettuare una sosta di almeno una giornata per abbeverare
il bestiame), il giorno del novilunio, Mosé piantò il campo sulla riva
del Mar Roso, di fronte alle secche di cui lui solo conosceva
l'esistenza, e che in quel momento erano ben nascoste, essendo la marea
al culmine.
Le truppe egiziane si accamparono su di un'altura, bene in vista del
campo ebraico, ma abbastanza lontano per non potersi accorgere di quello
che vi accadeva durante la notte. Questa era una condizione essenziale
per la riuscita del piano e Mosé doveva aver escogitato qualcosa per
ottenere che gli egiziani non si accampassero troppo vicino. Dal
racconto è facile capire come: in una delle soste precedenti gli
egiziani si erano evidentemente accampati nelle immediate vicinanze del
braciere (Es. 14,24); Mosé doveva aver organizzato una incursione nel
loro campo e bloccato le ruote dei carri da guerra (Es.14,25),
probabilmente riempiendo i mozzi di sabbia.
Dopo
quell'incidente, gli egizi dovevano aver adottato misure di sicurezza,
intese ad evitare di essere colti di sorpresa. La cosa più logica e
sensata da fare era di piantare il campo a distanza da quello ebraico (Es.
14,25) e di mettere sentinelle; così doveva aver fatto anche quella
sera.
Mosé aveva provveduto a sistemare il braciere bene in vista, alle
spalle del campo ebraico, dal lato del deserto, proprio in faccia agli
egiziani, schermandolo dal lato del campo ebraico, in modo che non si
potesse vedere quello che vi succedeva (Es.14,19-20). Scese la
notte (Es.
Doveva
essere circa l'una di notte, quando venne dato l'ordine della partenza:
gli ebrei si precipitarono ne Mar Rosso in colonne ordinate e
silenziose. Impiegarono circa tre ore per passare dall'altra parte. Era
un percorso di poco più di
UN'ABILE
STRATEGIA
Nel
campo egizio, intanto, dormivano. Il vento portava smorzato dalla
lontananza, il belato delle greggi e l'abbaiare dei cani. Doveva
apparire insolito e probabilmente le sentinelle si innervosirono; ma la
loro consegna doveva essere quella di sorvegliare i movimenti del
braciere in fiamme e perciò non c'era ragione di allarmarsi finché
rimaneva al suo posto. Dovevano essere circa le tre di notte quando il
braciere si mise in movimento. Venne subito dato l'allarme gli egiziani
si armarono e aggiogarono i cavalli ai carri. Soltanto poco dopo le tre
e mezza dovettero essere in grado di iniziare l'inseguimento del
braciere, il quale nel frattempo si muoveva inspiegabilmente in mezzo al
mare, verso la sponda opposta.
Mosé doveva aver contato molto sul fattore psicologico, per attirare
gli egiziani nella trappola mortale. Possiamo immaginare la confusione,
lo sbalordimento e l'angoscia del comandante egiziano man mano che, nel
buio, si avvicinava al luogo in cui la sera prima erano accampati gli
ebrei. Aveva la consegna di impedirne la fuga; era certo che,
imbottigliati com'erano fra il mare e il campo egizio (Es. 14,3), non
avevano alcuna possibilità di muoversi. Ma arrivato sulla punta El
Adabiya, delle migliaia di persone che dovevano esserci, delle loro
tende, dei carri e del bestiame non esisteva più la minima traccia.
Volatilizzati, come per magia! passati attraverso il mare? Ma come
poteva essere possibile? Eppure il braciere era proprio là in mezzo al
golfo.
Quando
giunse sulla riva del mare era già l'alba; uno spettacolo inatteso e
incredibile gli apparve al debole chiarore dell'aurora: una lunga
striscia di sabbia univa come un ponte le due sponde e al centro di essa
il braciere degli ebrei si affrettava verso la riva opposta. Un urlo di
rabbia e, senza pensarci due volte, si precipitò all'inseguimento,
seguito dalle sue truppe, lungo quella striscia di sabbia che cominciava
allora restringersi. La marea stava salendo rapidamente. Gli Egiziani
spronavano i cavalli; correvano disperatamente. Avevano già
oltrepassato il centro della bai, quando gli ultimi lembi di sabbia
scomparvero sotto la marea avanzante. Fu il disastro! (Es.24,28)
Sull'altra sponda, ritto su uno scoglio, Mosé osserva va la scena. Il
sole stava sorgendo alle sue spalle (Es. 14,27). Guardava i cavalli che
si dibattevano nelle acque e i soldati che affondavano, trascinati dalle
loro armature (Es. 15,4 e seg.). In cuor suo trionfava gonfio
d'orgoglio. E ne aveva di che! Per la genialità e audacia della
concezione, la complessità delle operazioni, la meticolosa
pianificazione e l'esecuzione brillante e decisa, è un'impresa che non
ha paragoni nella storia. Mosé calcolò esattamente i tempi; gli
egiziani dovevano arrivare in riva al mare in un me mento ben preciso.
Alla luce dell'alba, essi avrebbero impiegato non più di mezz'ora a
percorrere
Un grosso rischio! Calcolato, è vero, ma con un margine di sicurezza di
soli 15 o 20 minuti. In ogni caso fu un'impresa di un'audacia tale da
mozzare il fiato Andò bene per gli ebrei: l'armata egiziana fu
annientata. I corpi dei soldati annegati finirono sparsi lungo le rive
del mare per chilometri all'intorno (Es. 14,30) a tangibile
testimonianza della potenza di Jahweh e del suo portavoce Mosé.
Gli
Ebrei poterono allontanarsi nel deserto indisturbati verso il loro nuovo
destino.