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Rivelazioni
sul caso Parmalat
Andrea
Cinquegrani – “
Tratto da www.lavocedellacampania.it
Ve lo ricordate il super spot di casa Bistefani? Quel
proprietario improvvisamente tramutato in uno strageneroso Babbo Natale,
per la gioia dei consumatori, anche a costo di rimetterci di tasca sua?
Ebbene, oggi quel Babbo Natale è tornato, è tra noi. E si chiama Bondi.
Lo 007 delle imprese impossibili, lo stratega che grazie al suo sguardo
lungo, lunghissimo, tutto vede e prevede. Con la capacità di uno
stregone, di un mago e l’equilibrismo dell’acrobata provetto.
L’uomo capace di far quadrare il cerchio, di trasformare il crac più
clamoroso della storia italiana, quello targato Parmalat, nell’araba
fenice, un titolo in grado di risorgere più forte e più solido che
pria - direbbe Petrolini. Una gran mucca da mungere, da spremere fino
all’ultimo milione di euro, per la gioia di parecchi. Ma soprattutto
di alcuni. Vediamo di chi, mentre si è appena alzato il sipario sul
maxi processo, con il primo interrogatorio dedicato proprio al super
007, Enrico Bondi, l’amministratore delegato della Nuova Parmalat,
partito lancia in resta contro le banche.
Intanto viene “sospeso dal servizio” per tre mesi - una
sorta di cartellino giallo - il numero uno di Capitalia e maxi
finanziatore di Calisto Tanzi, Cesare Geronzi, il superbanchiere
rigogliosamente cresciuto sotto la protettiva ala andreottiana, poi
“trasversale”, ecumenico e di rubinetto facile per tutti, ora difeso
dal senatore ds, dalemiano doc, l’avvocato Guido Calvi. Per la serie,
triple capriole carpiate. Cerchiamo allora di ricostruire alcuni
tasselli dell’incredibile puzzle. Moltissimi dei quali portano alle
Americhe & oltre, altri arrivano fino in Campania.
GIUGNO BOLLENTE
Giugno 2005. Un’estate bollente per l’economia del
nostro paese. Animata soprattutto dagli “esiti” del super crac di
Collecchio. E’ del 16 giugno la notizia che “per Parmalat si
vota”. Si esce una buona volta dal tunnel, dopo il Natale nero del
2003, e il fermo ai box del titolo per oltre un anno? Pare proprio di sì.
La notizia che arriva dal tribunale di Parma parla esplicitamente di «due
mesi di tempo, dal 28 giugno al 26 agosto per dare il proprio assenso,
in quanto creditori a vario titolo, alla conversione degli stessi
crediti in azioni».
I magistrati - Giuseppe Coscioni e Pasquale Liccardo - sono decisi:
avrebbero ricevuto da Bondi i documenti, le carte necessarie e
sufficienti per dar disco verde all’operazione. Il “prospetto
informativo”, basilare per varare il tutto, avrebbe ricevuto l’ok da
parte della Consob, il super organismo di vigilanza che purtroppo,
spesso e volentieri, ha chiuso gli occhi sulle acrobazie finanziarie più
spericolate (e i napoletani ne sanno qualcosa: dal crac Socofimm di fine
anni ‘80 a quello targato Sim Professione & Finanza del gruppo De
Asmundis a metà ’90).
Mancherebbe solo il sì da parte delle autorità di
vigilanza di parecchi altri paesi europei coinvolti con i loro istituti
di credito nella voragine, ad esempio quelle di Danimarca, Germania,
Lussemburgo, Olanda. Regno Unito e Svezia. Ma i primi conti della
massaia - a casa Bondi - si cominciano a fare. E con grande alacrità.
Se il concordato va in porto,
Gennaio 2005. Il mondo finanziario nostrano & oltre fa
segnare sommovimenti anomali. Il tam tam sull’ex impero di Collecchio
e il suo prossimo destino rimbalzano nei mercati finanziari, tra advisor,
operatori finanziari e gruppi speculativi: sembra quasi sia scattato il
via - commentano in piazza Affari - per una specie di tombola, o di
monopoli, dove i valori sono del tutto virtuali e “un po’ tutti
cominciano a dare i numeri”. Più d’uno, tra vascelli, navi
d’altura e pescecani di varia dimensione, è pronto a scendere in
acqua. Prendiamo lo smisurato arcipelago dei fornitori (si va dai 450
euro per la celebre velina Elisabetta Canalis a mega istituti di
credito, passando per piccole e medie aziende di mezza Italia, Campania
abbondantemente compresa, dall’Irpinia fino ad Ischia), un mare in
miliardi di euro, popolato sia dai cosiddetti “creditori
privilegiati” che da quelli “chirografari”: tutti devono avere dei
soldi, in concreto, ma c’è una scala di priorità, e su questa base i
giudici del tribunale stilano una sorta di graduatoria. Che per i solo
fornitori di Parmalat è di circa un centinaio di pagine.
«Senza contare - aggiungono gli esperti - i fornitori
delle altre sei società controllate che rientrano a pieno titolo nella
procedura concorsuale, a partire da Eurolat, l’ex municipalizzata del
latte di Roma acquistata da Sergio Cragnotti e passata a Tanzi ad un
prezzo stratosferico, imposto dall’onnipresente Geronzi (il quale si
premurò subito di girare la somma nelle casse di Capitalia per turare
le falle dell’ex patron della Lazio). E’ uno degli attuali capi
d’accusa per Geronzi; l’altro riguarda un’operazione simile,
questa volta per mettere una pezza a colori sulla sforacchiata azienda
di acque minerali di Giuseppe Ciarrapico (
Torniamo ai fornitori e ai loro… corteggiatori. Ora
comincia l’asta e, per favore, occhio alle cifre e alle date. 3
febbraio 2005. Dagli uffici di Madison Avenue, a New York, della
PrimeShares (per esteso, PrimeShares World Markets Group) parte una
raffica di offerte ai fornitori del gruppo Parmalat, sollecitati a
“vendere” i loro crediti per una cifra che subito fa rizzare le
orecchie: 70 per cento. «Cifra alta, molto alta - commentano alcuni
analisti finanziari - addirittura per crediti chirografari, quando nelle
consuete prassi non si va mai oltre il 30 per cento. Certo, la procedura
concorsuale si stava sviluppando ma la cifra appare del tutto
spropositata». PrimeShares è a sua volta affiliato ad un altro gruppo,
VonWin, per esteso VonWinAsset Management LLC, specializzati entrambi
negli investimenti ad “alto rischio”. E quello su Parmalat,
evidentemente, era ad altissimo rischio...
DAL SANNIO A LONDRA
Passano meno di cento giorni, siamo a metà maggio, quando
dall’elegante sede londinese del gruppo Advicorp - corazzata nel
settore dell’acquisto di crediti difficili - parte un’altra sfilza
di offerte, sempre indirizzate ai fornitori della galassia Parmalat. «Advicorp
è disposta a pagare l’82 per cento del valore nominale del suo
credito commerciale chirografario. La nostra offerta non è in azioni,
come indicato dal piano di riparto dell’amministratore, ma in cash e
il pagamento verrà effettuato in una tempistica alquanto rapida»: così
efficacemente preannuncia la missiva. Per concretizzare l’operazione
basta poco, ovvero sottoscrivere «la documentazione di cessione di
credito pro-soluto che normalmente utilizziamo», e che Advicorp ha già
usato in analoghe circostanze, come Cirio e Del Monte. A siglare
l’offerta il numero due della società, Marco Massimiliano Elser, e
Celestino Amore, che dal Sannio ha spiccato il volo verso i business
londinesi. L’estate comincia a farsi bollente. La vista forse si
annebbia, soprattutto per chi ha crediti “incagliati”. E i miraggi
possono trovarsi dietro l’angolo. Per questo pare degna del miglior
Totò alle prese con la vendita della fontana di Trevi l’offerta che a
luglio parte da Cipro (Nicosia, 25 Aprhodites Street) verso i soliti,
sbigottiti fornitori Parmalat: una misteriosa Sprand Limited arriva a
varcare - udite udite - la soglia del cento per cento, offrendo
addirittura il 105 per cento.
Mai porre limiti alla provvidenza. Ad ottobre si fa
viva l’ennesima sigla, questa volta italiana doc, la bolognese Fast
Finance, nelle sembianze del Babbo Natale Bistefani doc. Arriva ad
offrire, per la solita operazione, il 140 per cento. Sono ben chiari,
nella loro “proposta di acquisto”, i titolari di Fast Finance: «come
preannunciato, a seguito dell’approvazione della proposta di
concordato avvenuta sabato 1 ottobre - scrivono - tutti i crediti nei
confronti del Gruppo Parmalat sottomessi al concordato sono stati
convertiti in azioni della Nuova Parmalat che vi saranno accreditati nei
prossimi giorni». Prosegue poi la missiva: «E’ sempre nostra
intenzione procedere all’acquisto della vostra posizione, tuttavia a
causa dell’impossibilità tecnica di procedere all’acquisto del
vostro credito (in quanto il credito è stato convertito in azioni) vi
proponiamo la firma di un contratto che preveda….». Che prevede il
140 per cento e passa dello stesso credito !
ADUSBEF
ALL’ATTACCO
Misteri & interrogativi, su svariati fronti, si
moltiplicano. Quanti fornitori (ovviamente banche escluse) hanno venduto
i loro crediti alle quattro fameliche società che nel giro di pochi
mesi si sono fatte vive con offerte stratosferiche, dal 70 fino al 140
per cento? Quanti hanno ceduto alla prima, oppure alla seconda, terza o
quarta sigla (soprattutto se i creditori-fornitori avevano problemi di
liquidità)? Quali enormi plusvalenze hanno poi ottenuto le 4 sorelle,
visto che alla fine di tutto il titolo è sbarcato sul mercato ad un
valore triplo rispetto a quello in origine previsto? Ci sono dei
“burattinai” alle spalle di questa incredibile operazione? «Tutto
è stato studiato accuratamente a tavolino - osservano alcuni analisti -
fin dal varo della legge Marzano dopo il crac, una sorta di Prodi bis
per i salvataggi dei grandi gruppi. Al solito, quando fallisce una
società di non colossali dimensioni, come è capitato tante volte,
nessuno se ne frega, hai voglia a parlare di legge sulla tutela dei
risparmiatori». E i risparmiatori, comunque, gli obbligazionisti che
avevano puntato sul titolo Parmalat ci stanno rimettendo, E parecchio.
Secondo le valutazioni dell’Adusbef - la battagliera
associazione che tutela i cittadini nei confronti di banche,
assicurazioni & C, presieduta da Elio Lannutti, candidato dei Verdi
alle prossime politiche - «ai risparmiatori è stata restituita una
percentuale media tra il 12 e il 18 per cento del capitale investito»:
si tratta di un esercito composto da ben 135 mila cittadini. Può essere
molto istruttivo, a questo punto, seguire una mini cronistoria redatta
proprio dall’Adusbef a fine 2005.
Ecco cosa denunciano, senza peli sulla lingua, a partire
dalla sbarco delle azioni Nuova Parmalat di maggio 2005: «appena
arrivata in borsa l’azione, questa aveva un prezzo esorbitante,
rispetto a quello fissato dalla quotazione, grazie all’accompagnamento
di notizie circa ipotetiche OPA convenienti sull’azienda. Si
ipotizzano quindi una serie di speculazioni di mercato tali da
influenzare enormi somme di danaro». E ancora: «Laddove si dimostrasse
che grandi investitoti cosiddetti “istituzionali” hanno posto in
essere speculazioni atte a manipolare il mercato sfruttando informazioni
riservate, certo si concretizzerebbe quella tipologia di illeciti
rientranti nella fattispecie dell’insider trading». Per concludere,
in modo esplicito: «proprio in relazione a tale rischio di speculazioni
da parte di alcuni soggetti a danno dei tanti risparmiatori gabbati
dalla vicenda Parmalat, Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori hanno
presentato un esposto alla Consob chiedendo l’apertura di
un’indagine volta ad accertare i soggetti attivi delle transazioni
finanziarie che hanno avuto ad oggetto il titolo Parmalat nel periodo
immediatamente antecedente ed in quello successivo alla data
dell’immissione dello stesso nel mercato finanziario». Tempesta in
arrivo sulle 4 sorelle pigliatutto?
Carnevale, tempo di scherzi. Ma non troppo. L’advisor
banking - il gergo è ormai sempre meno a misura di cliente - Advicorp a
metà febbraio 2006 comunica di aver smobilizzato il 90 per cento delle
azioni Parmalat che aveva in portafoglio, per un totale di «diversi
milioni di euro». Ovvero, il bottino rastrellato presso i creditori del
gruppo di Collecchio, per la serie made in Woody Allen “prendi i soldi
e scappa”. Excusatio non petita, il plenipotenziario capitolino di
Advi, Marco Massimiliano Elser, osserva che «il mercato non ha avuto
adeguati ragguagli sui tempi», aggiungendo di «aver venduto tutte le
obbligazioni quando Parmalat ha pubblicato le sue cessioni perché
l’azienda aveva precedentemente promesso di non cedere più debiti».
Parole sibilline. Pronunciate soprattutto da chi ha messo a segno un
colpo miliardario, rastrellando da fornitori & c. di Parmalat e
delle sue consorelle crediti a molti, moltissimi zeri.
E allora vediamo, in concreto, chi sono due fra i
primattori del “rastrellamento”, ossia Advi e Fast Finance. Nasce
una decina d’anni fa Advicorp, e a fondarla, nel 1997, è Andrea
Giorgio Mandel Mantello, nato a Roma, residenza a Londra e cittadino
austriaco. Adeguato il curriculum, degno d’un papiro egizio: che
racconta di una proficua esperienza, tra il 2000 e il 2001, come advisor
di una grossa compagnia statunitense in Israele. Ma prima di fondare
Advi - viene precisato nel suo pedigree - mr. Mantello ha lavorato per
nove anni alla SBC Warburg (fino a diventare il responsabile della SBC
Sim Italia spa), più nota come UBS, ovvero il gruppo svizzero tra i più
potenti al mondo, depositario di molti, inconfessabili segreti (e anche
in quella sua esperienza era incaricato di seguire i business targati
Israele). Non è finita, perché Mantello ha poi lavorato per due anni
alla londinese Chemical Bank International ltd per poi passare alla
nostra Banca Nazionale dell’Agricoltura, finita nell’orbita di
Capitalia. Il numero due del gruppo, Elser, dal canto suo è originario
di Roma (risulta residente in via Sistina) ma ancora cittadino Usa.
Fratelli-gemelli, i due protagonisti di Advi, nati a una settimana di
distanza: quella di fine settembre 1958. I casi della vita.
UBS & STANLEY Secondo le prime ricostruzioni dei
magistrati che indagano sull’affaire Parmalat, UBS e Morgan Stanley -
la star Usa nel settore finanziario - hanno fatto di tutto e di più per
coprire quella colossale voragine: per la precisione, 720 milioni di
euro in obbligazioni, fino a sei mesi prima del crac ufficiale. «Morgan
Stanley - osservano in ambienti giudiziari - ha aiutato Parmalat a
vendere titoli collegati per 300 milioni di euro». Ha fatto ancora di
più UBS, che - secondo altre notizie riportate da Bloomberg - «avvertì
i vertici della Parmalat che era possibile nascondere al mercato il
costo della emissione di 420 milioni di euro in bond ritardandone la
dichiarazione». Secondo uno dei magistrati inquirenti, Stefania
Chiaruttini, «se le vere condizioni per la vendita delle obbligazioni
fossero state comunicate al mercato, ciò avrebbe causato un serio
contraccolpo nel prezzo di vendita degli altri bonds».
Dal pm milanese Francesco Greco, poi, è partita la precisa
accusa, a carico dell’UBS, di aver cercato di «manipolare i prezzi
del mercato circa le garanzie Parmalat». Passiamo alla quarta sigla che
ha cercato di acquistare i crediti Parmalat addirittura al 140 per
cento. Ovvero Fast Finance. Il cui azionariato, pari a 1 milione e passa
di euro, è tutto da scoprire. Vediamolo. In prima fila alcuni
palazzinari bolognesi, la famiglia Di Stefano (Alvise e Jacopo), a bordo
delle srl Nadus e Opera Immobiliare; il cesenate Lamberto Tavoli, in
sella alla sua Montecristo (ovviamente immobiliare); Finross, spa che
vede nel suo multiforme parterre societario, oltre ai fratelli Rossetti,
anche la supergettonata Tamburi Investiments Partenrs spa. Nell’azionariato
di Fast Finance fanno anche capolino la fiduciaria Sofir e la
controllata Blu Opportunità.
Non è certo finita qui: perché la vasta platea azionaria
conta su altre due sigle eccellenti, che - guarda caso - ci portano in
Campania.
DALL’IRPINIA A MANAGUA
Una storia da raccontare, quella di Banca della Campania,
che
Cosa hanno fatto poi i suoi vertici? Un’operazione in perfetto stile
Parmalat. Per non dire di più. «Hanno venduto sul mercato strane
obbligazioni - racconta un imprenditore irpino - tutto il gruppo ha
cartolarizzato crediti per oltre 10 mila miliardi di vecchie lire.
Crediti contestati per almeno la metà, quindi difficilmente esigibili».
Fatto sta che Bper ha ceduto i “presunti” crediti ad una sua
creatura, Mutina, passando per strane “operazioni” presso notai
londinesi. E chi le ha comperate, quelle obbligazioni, ora che fine farà?
Staremo a vedere…
Intanto, un altro, ennesimo mistero, non è stato ancora
chiarito: ma il tesoro di Tanzi dove è finito? Lo 007 Bondi sta
rastrellando crediti a destra e a manca; il malloppo, però, pare ancora
al rifugio in paradisi esteri. Ricordate il viaggio-premio natalizio di
Tanzi nelle Americhe al primissimo scoppiar del crac? Quel viaggio,
ancora oggi, non è stato decifrato. Almeno un paio le mete. Una forse
per depistare, l’altra con ogni probabilità per “collocare” la
cassaforte. Dopo una prima sosta, “culturale”, “per girar musei”
a Madrid - come spiegò subito Tanzi - via alla volta dell’oceano.
Tappa in Ecuador, scalo a Quito. Per ritrovare vecchi amici e visitare
scavi e archeologie. Ma il “vuoto temporale” è un po’ troppo
ampio. Tre mesi dopo, alla redazione della Voce arrivò un’informativa
zeppa di dati, luoghi, nomi e circostanze. La tappa vera, quella per
incontrare le persone giuste, sarebbe stata Managua, capitale del
Nicaragua, dove esisteva una forte Parmalat Nicaragua, una delle
svariate consorelle sparse al caldo dei tropici. Lì - veniva assicurato
- c’era lo scrigno proveniente da Collecchio.
Qualcuno ha fatto qualcosa per trovarlo?