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Chiamiamo le cose con il loro nome
di Carlo Bertani - 18 giugno 2007

Le tremende vicende che attanagliano, ancora un volta, la Terra Santa nascono – come molti sapranno – dall’inganno: se Israele avesse, a suo tempo, rispettato le risoluzioni 242 (1967) e 338 (1973), non ci troveremmo in queste tristi ambasce.
E’ necessario ricordarne alcuni passaggi, perché la memoria di quegli eventi sta diventando terribilmente “corta”:
 

Risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

Sottolineando ulteriormente che tutti gli Stati Membri con la loro accettazione del Trattato hanno sottoscritto l’impegno ad agire in conformità all’articolo 2 del Trattato,

I.                     Afferma che l’applicazione dei principi del Trattato, richiede un’immediata e duratura pace in Medio Oriente, che dovrebbe includere entrambi i seguenti principi:

a.        Ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto.

b.       Termine di tutte le rivendicazioni e stati di belligeranza, e rispetto per il riconoscimento di sovranità, integrità territoriale e sovranità politica per ogni Stato dell’area e il loro diritto a vivere in pace, con confini sicuri e riconosciuti e liberi da trattati e atti di forza.

II.                   Afferma inoltre la necessità:

a: Di garantire libertà di navigazioni attraverso le acque internazionali dell’area.

b: Di una giusta soluzione del problema dei profughi.

c: Di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza politica di ogni Stato dell’area, attraverso misure, tra cui l’istituzione di zone demilitarizzate

Il primo atto della vicenda nasce quindi dalla non applicazione delle risoluzioni dell’ONU, quelle stesse risoluzioni che vengono invece imposte ad altri a suon di bombe, sganciate o minacciate: Iraq, Serbia (anche se la Russia fu contraria!), Afghanistan, Corea del Nord e, domani, forse l’Iran. Gli “altri”, guarda a caso, sono sempre i nemici degli USA. Perché non ci fu una risoluzione ONU per l’atomica pakistana? Al Pentagono non sapevano nulla? Quante cose non sanno in Virginia!
Il secondo atto della vicenda, invece, nasce tutto dal concetto di “esportazione della democrazia”, tanto caro ai neocon americani. In Palestina, riescono ad esportarla così bene che funziona: si svolgono normali elezioni, che tutti gli osservatori internazionali definiscono “regolari”. Mica come quelle irachene, dove consegnavano i certificati elettorali insieme alle tessere annonarie per l’acquisto del pane.

I palestinesi votano così regolarmente che spediscono a casa la corrotta amministrazione di Fatah: quella che li lasciava alla fame mentre i dirigenti viaggiavano tutti in Mercedes, la stessa cricca che consegnò alla vedova di Arafat una liquidazione stratosferica. Manco fosse stata la regina d’Inghilterra.
Hanno votato regolarmente, ma hanno “sbagliato”. Questo è il giudizio dell’Occidente: attenzione, Italia (di Berlusconi e di Prodi) compresa.
Perché hanno “sbagliato”?
Poiché hanno eletto dei terroristi.

Hamas usa la forza, terrorista o no, nei confronti degli israeliani: verissimo. Israele, pensa invece di liquidare il capo storico di Hamas – Ahmid Yassin – con un missile. Mettetevi d’accordo, perché io non noto sostanziali differenze fra il crepare (uomini, donne e bambini, da entrambe le parti) spappolati da un attentatore suicida oppure dalla granata di un Merkawa israeliano. Anzi, mi sembra la domanda imbecille del giornalista scemo: «Dimmi, bimbo, soffriresti di più se ti ammazzassero la mamma oppure il papà?»
Non tiriamo in ballo storie come quelle degli “errori”, del “fuoco amico” ed altre cazzate del genere, perché non è con il rincrescimento che si resuscitano i morti.

Domandiamoci, allora, perché Hamas è giudicato così diverso da Fatah? Perché, sostanzialmente, non riconosce lo stato d’Israele, mentre Fatah s’aggrappa ai decrepiti accordi di Oslo, dei quali Israele ha mostrato più volte e con diversi governi di farsene un baffo. Attenzione: questo è quel che raccontano.
Hamas, in realtà, chiede la cosa più semplice e chiara di questo mondo: non s’aggrappa ad accordi di 15 anni fa, e chiede semplicemente che il riconoscimento sia reciproco. Io riconosco Israele ed Israele riconosce la Palestina : fine della storia. Quando mai, in una trattativa diplomatica, uno degli attori si può permettere di non riconoscere l’altro? Quale accordo può nascere da simili premesse?

Il bello della storia è che tutte le diplomazie occidentali piangono lacrime di coccodrillo – ora per l’uno, ora per l’altro – mentre avallano nei fatti la maledetta ingiustizia che trancia le basi di qualsiasi, serio negoziato.
Hamas ha vinto? Bene. Non ci sono più aiuti economici per la Palestina. Hamas scaccia Fatah da Gaza? Cattivoni, vedrete quel che vi capiterà.
Fatah scaccia Hamas dalla Cisgiordania? Bene, ora possiamo “sdoganare” finalmente gli aiuti economici. Così, i caporioni di Fatah potranno continuare a basare il loro potere sulla corruzione.

E’ anche interessante notare il metodo seguito da Abu Mazen per risolvere la situazione: un governo “d’emergenza”. Guarda a caso, composto da personalità “neutrali”, ma tutte vicine a Fatah. Il nuovo governo dovrà ricevere l’assenso del parlamento (democraticamente eletto)? Benissimo: come tutti sanno, Israele non consente ai deputati di Hamas di recarsi a Ramallah (sede del parlamento), ed il gioco è fatto.
Insomma, con la complicità di tutti i mezzi d’informazione, l’Occidente (Italia compresa) sta finanziando un vero e proprio colpo di stato. Altrimenti, ditemi voi come chiamereste la destituzione di un governo nato da un parlamento regolarmente eletto, mentre il nuovo “governo” nasce per volontà del re e senza uno straccio di maggioranza parlamentare.

Illuminanti sono state le dichiarazioni del nuovo Ministro per i Prigionieri: «Io, laico, non voglio vivere, a Gaza, in uno stato confessionale musulmano.» Affermazione sacrosanta, ma auguri per i poveri prigionieri palestinesi, con un siffatto approccio.
Peccato che il “via alle danze” – ossia il primo stato confessionale dell’area – sia stato proprio Israele: perché non è possibile raggruppare Israele ed i territori in un solo stato, bandire regolari elezioni e comportarsi come ci si comporta nelle vere democrazie?
Poiché la demografia non è favorevole agli israeliani: più di 5 figli per donna fra i palestinesi, 2,4 fra gli israeliani. Col trascorrere del tempo, ci sarebbero più arabi che israeliani.

Allora, Israele protegge la sua identità religiosa e nessuno ha niente da ridire. Se lo fa Hamas, è invece un crimine.
“Le parole sono pietre”, e lo scriveva proprio un ebreo: purtroppo, troppo poco ascoltato, ossia Primo Levi. Iniziamo a dare alle cose il loro vero nome, e forse un barlume di verità ci aiuterà a venirne a capo.

Carlo Bertani articoli@carlobertani.it www.carlobertani.it


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