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Chiamiamo
le cose con il loro nome
di Carlo Bertani - 18 giugno 2007
Le
tremende vicende che attanagliano, ancora un volta,
E’ necessario ricordarne alcuni passaggi, perché la memoria di quegli
eventi sta diventando terribilmente “corta”:
Risoluzione
n. 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU … Sottolineando
ulteriormente che tutti gli Stati Membri con la loro
accettazione del Trattato hanno sottoscritto l’impegno ad
agire in conformità all’articolo 2 del Trattato, I.
Afferma
che l’applicazione dei principi del Trattato, richiede
un’immediata e duratura pace in Medio Oriente, che dovrebbe
includere entrambi i seguenti principi: a.
Ritiro
delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente
conflitto. b.
Termine
di tutte le rivendicazioni e stati di belligeranza, e rispetto
per il riconoscimento di sovranità, integrità territoriale e
sovranità politica per ogni Stato dell’area e il loro diritto
a vivere in pace, con confini sicuri e riconosciuti e liberi da
trattati e atti di forza. II.
Afferma
inoltre la necessità: a:
Di garantire libertà di navigazioni attraverso le acque
internazionali dell’area. b:
Di una giusta soluzione del problema dei profughi. c: Di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza politica di ogni Stato dell’area, attraverso misure, tra cui l’istituzione di zone demilitarizzate |
Il
primo atto della vicenda nasce quindi dalla non applicazione delle
risoluzioni dell’ONU, quelle stesse risoluzioni che vengono invece
imposte ad altri a suon di bombe, sganciate o minacciate: Iraq, Serbia
(anche se
Il
secondo atto della vicenda, invece, nasce tutto dal concetto di
“esportazione della democrazia”, tanto caro ai neocon
americani. In Palestina, riescono ad esportarla così bene che funziona:
si svolgono normali elezioni, che tutti gli osservatori internazionali
definiscono “regolari”. Mica come quelle irachene, dove consegnavano
i certificati elettorali insieme alle tessere annonarie per l’acquisto
del pane.
I
palestinesi votano così regolarmente che spediscono a casa la corrotta
amministrazione di Fatah: quella che li lasciava alla fame mentre i dirigenti
viaggiavano tutti in Mercedes, la stessa cricca che consegnò alla
vedova di Arafat una liquidazione stratosferica. Manco fosse stata la
regina d’Inghilterra.
Hanno votato regolarmente, ma hanno “sbagliato”. Questo è il
giudizio dell’Occidente: attenzione, Italia (di Berlusconi e di Prodi)
compresa.
Perché hanno “sbagliato”?
Poiché hanno eletto dei terroristi.
Hamas
usa la forza, terrorista o no, nei confronti degli israeliani:
verissimo. Israele, pensa invece di liquidare il capo storico di Hamas
– Ahmid Yassin – con un missile. Mettetevi d’accordo, perché io
non noto sostanziali differenze fra il crepare (uomini, donne e bambini,
da entrambe le parti) spappolati da un attentatore suicida oppure dalla
granata di un Merkawa
israeliano. Anzi, mi sembra la domanda imbecille del giornalista scemo:
«Dimmi, bimbo, soffriresti di più se ti ammazzassero la mamma oppure
il papà?»
Non
tiriamo in ballo storie come quelle degli “errori”, del “fuoco
amico” ed altre cazzate del genere, perché non è con il
rincrescimento che si resuscitano i morti.
Domandiamoci,
allora, perché Hamas è giudicato così diverso da Fatah? Perché, sostanzialmente, non riconosce lo stato d’Israele,
mentre Fatah s’aggrappa ai
decrepiti accordi di Oslo, dei quali Israele ha mostrato più volte e
con diversi governi di farsene un baffo. Attenzione: questo è quel che
raccontano.
Hamas,
in realtà, chiede la cosa più semplice e chiara di questo mondo: non
s’aggrappa ad accordi di 15 anni fa, e chiede semplicemente che il
riconoscimento sia reciproco. Io riconosco Israele ed Israele riconosce
Il
bello della storia è che tutte le diplomazie occidentali piangono
lacrime di coccodrillo – ora per l’uno, ora per l’altro – mentre
avallano nei fatti la maledetta ingiustizia che trancia le basi di
qualsiasi, serio negoziato.
Hamas
ha vinto? Bene. Non ci sono più aiuti economici per
Fatah
scaccia Hamas dalla
Cisgiordania? Bene, ora possiamo “sdoganare” finalmente gli aiuti
economici. Così, i caporioni di Fatah
potranno continuare a basare il loro potere sulla corruzione.
E’
anche interessante notare il metodo seguito da Abu Mazen per risolvere
la situazione: un governo “d’emergenza”. Guarda a caso, composto
da personalità “neutrali”, ma tutte vicine a Fatah. Il nuovo governo dovrà ricevere l’assenso del parlamento
(democraticamente eletto)? Benissimo: come tutti sanno, Israele non
consente ai deputati di Hamas
di recarsi a Ramallah (sede del parlamento), ed il gioco è fatto.
Insomma, con la complicità di tutti i mezzi d’informazione,
l’Occidente (Italia compresa) sta finanziando un vero e proprio colpo
di stato. Altrimenti, ditemi voi come chiamereste la destituzione di un
governo nato da un parlamento regolarmente eletto, mentre il nuovo
“governo” nasce per volontà del re e senza uno straccio di
maggioranza parlamentare.
Illuminanti
sono state le dichiarazioni del nuovo Ministro per i Prigionieri: «Io,
laico, non voglio vivere, a Gaza, in uno stato confessionale musulmano.»
Affermazione sacrosanta, ma auguri per i poveri prigionieri palestinesi,
con un siffatto approccio.
Peccato che il “via alle danze” – ossia il primo stato
confessionale dell’area – sia stato proprio Israele: perché non è
possibile raggruppare Israele ed i territori in un solo stato, bandire
regolari elezioni e comportarsi come ci si comporta nelle vere
democrazie?
Poiché la demografia non è favorevole agli israeliani: più di 5 figli
per donna fra i palestinesi, 2,4 fra gli israeliani. Col trascorrere del
tempo, ci sarebbero più arabi che israeliani.
Allora,
Israele protegge la sua identità religiosa e nessuno ha niente da
ridire. Se lo fa Hamas, è
invece un crimine.
“Le parole sono pietre”, e lo scriveva proprio un ebreo: purtroppo,
troppo poco ascoltato, ossia Primo Levi. Iniziamo a dare alle cose il
loro vero nome, e forse un barlume di verità ci aiuterà a venirne a
capo.
Carlo
Bertani articoli@carlobertani.it
www.carlobertani.it