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I
padroni dell’atomo
Prof.
Angelo Baracca – tratto da “La Voce delle Voci”
Il nucleare dei lobbysti e delle
speculazioni: una tecnologia che non serve all’Italia in termini
energetici, ma suscita gli appetiti dei costruttori. Parla un docente di
Fisica a Firenze.
Il
mondo torna indietro sul nucleare. L’Italia, che per prima aveva
abbandonato questa scelta grazie alla volontà popolare, nicchia, un
un’altalena di stop and go che mira in primo luogo a “bruciare” il
referendum del 13 giugno e, sull’altro versante, a tranquillizzare
quei colossi dell’imprenditoria nostrana che stanno già mettendo le
mani sul business del secolo. L’effetto Fukushima è un’onda che,
per citare solo il caso più recente, a fine maggio ha portato in piazza
oltre 150mila persone in 21 città della Germania (25mila a Berlino e
Monaco, 20mila ad Amburgo, 10mila a Friburg, annotano i cronisti) per
chiedere al governo di accelerare il ritiro dal Paese della scelta
atomica. Si tratta di un tema da sempre centrale per la riflessione
degli scienziati che, in tutto il mondo, fanno capo a Science and
Democracy, la koiné non governativa di autorevoli “voci fuori dal
coro” nei più diversi ambiti del sapere e della ricerca tecnologica.
Pubblichiamo brani significativi sulla catastrofica scelta nucleare
tratti dalla relazione di Angelo Baracca, docente di Fisica
all’università di Firenze, intervenuto alla convention nazionale che
si è tenuta a Napoli lo scorso aprile.
Dopo
una crescita piuttosto rapida negli anni ’70, gli ordini di nuove
centrali ebbero uno stop in seguito all’incidente di Three Mile Island
del 1979. La crescita proseguì per inerzia negli anni ’80 per il
completamento delle centrali già in costruzione, ma rallentò
sensibilmente negli anni ’90, fino ad appiattirsi, per poi raggiungere
un debole culmine attorno al 2005, e infine rallentare. L’energia
nucleare copre appena il 2% dei consumi finali mondiali di energia.
Questa
tendenza non è destinata ad invertirsi nel futuro poiché, a fronte di
qualche decina di nuove centrali in costruzione, saranno centinaia
quelle, oggi in funzione, molto vecchie e vicine alla chiusura (su circa
440, un centinaio ha più di 30 anni, circa 300 hanno più di 20 anni).
Inoltre i progetti in costruzione sono concentrati soprattutto in India,
in Cina e in altri paesi asiatici, pochissimi riguardano i paesi più
industrializzati. Anche le decisioni, o proposte, da parte di alcuni
governi di prolungare di una decina d’anni la vita operativa delle
centrali attuali quando giungano al termine, oltre ad essere pericolosa,
riflette per lo meno il rinvio, se non la rinuncia, a ordinare nuovi
reattori nucleari; sembrano cioè provvedimenti ponte, per prendere
tempo e consentire il maturare di alternative migliori.
Un
vero rilancio richiederebbe invece la costruzione di almeno un migliaio
di centrali, con costo che si aggirerebbero tra 5.000 e 10.000 miliardi
di euro. Difficilmente compatibile con la situazione economica attuale.
Per fare un esempio, la società francese Areva, che dovrebbe
commercializzare il nuovo reattore EPR, si trova in una situazione
economica gravissima, perché il reattore non si vende e i pochi
prototipi in costruzione incontrano enormi ritardi, problemi ed aumento
dei costi. Va comunque detto che questa situazione non ci autorizza a
dormire sonni tranquilli, perché la lobby nucleare è molto potente,
gli affari in gioco sono miliardari e le pressioni sui governi
fortissime.
Una strage termodinamica
Se
ne deduce che quella nucleare, lungi dall’essere la tecnologia
avanzata di cui spesso si parla, è solo vecchia e pericolosa: se dopo
60 anni è in condizione di stallo e non è, oggettivamente, stata
capace di rinnovarsi, vuol dire che ormai è obsoleta.
Dopo
l’incidente di Chernobyl del 1986, anche i nuclearisti dicevano che
non si possono più costruire questi reattori. In realtà quelli sui
quali ora si punta al rilancio non sono nulla di nuovo: sono gli stessi
reattori, ovviamente con migliorie ed aggiunta di sistemi di sicurezza,
ma con gli stessi problemi dei precedenti (insicurezza, rifiuti
radioattivi, ecc.). L’efficienza termodinamica (percentuale
dell’energia prodotta che viene effettivamente utilizzata) rimane
inchiodata a poco più del 30%, per caratteristiche intrinseche,
chimico-fisiche, del combustibile: intanto il rendimento del ciclo
combinato gas-vapore è schizzato oltre il 55%. Il solo fatto che
l’energia di altissima qualità sviluppata nella fissione nucleare
(corrispondente come qualità a milioni di gradi), sia utilizzata come
calore a poche centinaia di gradi, rappresenta una vera “strage
termodinamica” che conferma il carattere obsoleto di questa
tecnologia.
Un’altra
leggenda da sfatare è che l’energia nucleare sia l’alternativa al
petrolio, il cui esaurimento non è lontano. Infatti con l’uranio si
produce solo energia elettrica, che è meno di un quinto dell’energia
consumata a livello mondiale, con poche variazioni nei vari paesi.
L’energia
nucleare non può in alcun modo sostituire gli altri 4/5 di consumi
energetici, che vanno nei trasporti, usi domestici, agricoltura e altri
usi. Un esempio concreto è la Francia, che produce quasi l’80%
dell’energia elettrica per via nucleare, ma importa più petrolio
dell’Italia, e soprattutto ha i consumi di petrolio pro capite più
alti d’Europa.
Si tenga conto inoltre che anche l’uranio è una fonte primaria
esauribile: la considerazione dei depositi minerari più ricchi valutano
il loro esaurimento in 60-70 anni, ai ritmi di consumo attuali. Questo
conferma l’inconsistenza di programmi nucleari che prevedrebbero la
costruzione di centinaia di reattori, che richiederebbe decenni, e la
cui vita operativa sarebbe di 60 anni!
Si
favoleggia intanto dei reattori di “quarta generazione”, che
dovrebbero avere proprietà portentose: produrre più combustibile di
quanto ne consumano (autofertilizzazione), produrre meno scorie,
bruciare le scorie più pericolose prodotte fino ad oggi, prestarsi meno
alla proliferazione militare, e via favoleggiando. Il problema di fondo
è che questi nuovi reattori non esistono, neanche come prototipi,
sebbene vi si lavori da decenni, ma si parla della loro
commercializzazione dopo il 2050. Il che solleva legittimi dubbi: sembra
che si stia brancolando, più che realizzando programmi realmente
praticabili, ed è veramente disonesto “promettere” risultati
miracolosi da una tecnologia così complessa quando si è così lontani
dal realizzarla. Del resto, la Francia ha sviluppato per 30 anni il
programma di reattori veloci autofertilizzanti al plutonio, che è stato
un colossale fallimento, tanto che Superphenix è stato definitivamente
chiuso qualche anno fa (anche se la Francia ci ha ricavato il proprio
arsenale nucleare militare).
La lobby francese
Come
si vede, nella maggior parte dei paesi (soprattutto in quelli più
industrializzati) la scelta nucleare non risponde a reali necessità, ma
solo ad interessi speculativi del grande capitale ed in particolare
della potente lobby nucleare, e si rivela anzi costosa ed inefficiente.
Torniamo
alla Francia, il paese al mondo che ha scelto di produrre la percentuale
più alta di energia elettrica dal nucleare e viene spesso portata ad
esempio di quanto sia utile questa tecnologia. In realtà il Paese, in
seguito a questa scelta così spinta, sta incontrando grandi problemi,
che si stanno tra l’altro aggravando. Ma la situazione è coperta
dallo Stato, che ha realizzato questa scelta e la sostiene in quanto
speculare al potente arsenale nucleare militare (la Force de frappe), il
terzo al mondo, poiché l’intrinseco dual-use della tecnologia
nucleare consente di ammortizzare, ridurre e nascondere molti costi e
molti problemi.
Sul
piano strettamente energetico, la Francia si è dotata, col nucleare, di
un sistema energetico molto rigido. Le centrali nucleari sono
intrinsecamente poco regolabili, non sono in grado perciò di adeguarsi
alle variazioni giornaliere della domanda di elettricità: per cui se il
parco nucleare fornisce quasi l’80% della potenza, deve arrivare a
coprire i picchi della domanda: di conseguenza nelle ore di calo della
domanda la Francia è costretta a vendere il sovrappiù sul mercato
internazionale. Ma la domanda è scarsa e l’offerta è forte, per cui
la Francia svende questa energia a prezzi molto bassi. Per contro,
quando vi sono picchi della domanda di elettricità (eccezionale
condizione climatica), la Francia è costretta a importare energia che
però, in condizione di picco, deve pagare molto cara. Lo squilibrio è
aggravato dal fatto che, per “giustificare” la scelta del “tutto
nucleare”, la Francia ha promosso utilizzazioni interne dell’energia
elettrica assurde e irrazionali, come il riscaldamento elettrico delle
abitazioni, che costituisce il maggiore spreco energetico.
Inoltre,
se è vero che l’utente francese paga l’elettricità molto meno
dell’utente italiano nella bolletta, non vi è dubbio che paga un
sovrappiù - che nessuno sarà mai in grado di quantificare - occultato
nelle imposte e destinato all’arsenale militare, nel quale, come
dicevamo, sono nascosti molti costi del nucleare civile.
Ma
questi non sono i soli problemi che la scelta nucleare ha creato alla
Francia. Il paese infatti sta letteralmente “scoppiando” di residui
radioattivi. Il problema, sempre più difficilmente gestibile, non è
esploso solo perché il governo lo copre il più rigorosamente
possibile: il nucleare in Francia è un tabù, un presupposto della
grandeur che non può assolutamente venire messo in discussione. Recenti
inchieste televisive hanno denunciato che la Francia ha nascosto in zone
abitate enormi quantitativi di residui a bassa attività derivanti
dall’estrazione dell’uranio; per i residui più pericolosi la
Francia, come tutti i paesi al mondo, non ha trovato una sistemazione;
gli impianti di ritrattamento del combustibile esaurito diMarcoule e La
Hague sono tremendamente inquinanti. Ai primi di novembre 2010 un treno
di scorie radioattive con un carico di 123 tonnellate di scorie
radioattive, partito dalla Normandia, e diretto al deposito di Gorleben,
in Germania, senza che venisse data informazione ufficiale alle
popolazioni, è stato bloccato a Caen da alcuni militanti anti-nucleari,
che hanno creato una catena umana sui binari.
E i nuclearisti italiani
Per
l’Italia, ancor prima di denunciare i costi e i problemi di una
ripresa del nucleare, si deve dire con molta chiarezza che non ne
abbiamo alcun bisogno! È una leggenda, che vergognosamente si fa
credere all’opinione pubblica, che all’Italia manchi energia
elettrica, per cui è costretta ad importarla dalla Francia. I dati
parlano chiaro e chiunque può leggerli sul sito web della Terna
(www.terna.it). L’Italia ha una potenza elettrica installata di circa
97.000 MW4, a fronte di un picco di domanda di circa 55.000 MW (tra
l’altro negli ultimi anni, con la crisi, la domanda di elettricità è
diminuita sensibilmente): il sovrappiù di potenza installata (42%,
aumentato dal 38% di pochi anni fa) è il più alto d’Europa. È
quindi chiaro che l’Italia non ha bisogno di più energia elettrica:
ha invece un sistema elettrico molto inefficiente, e la speculazione fa
il resto.
Per
quanto riguarda l’inefficienza, e le tariffe, va sottolineato che la
situazione non era così grave quando l’energia elettrica era
nazionalizzata: per cui il primo obiettivo dovrebbe essere una
“ripublicizzazione” dell’energia elettrica, da considerare alla
stregua egli altri “beni comuni”: è evidente che la ripresa del
nucleare, con l’allacciamento di unità di enorme potenza, creerebbe
ulteriori problemi all’inefficienza del sistema elettrico.
Per
quanto riguarda poi la speculazione bisogna citare il fatto -
allucinante - che malgrado l’enorme sovradimensionamento del parco
elettrico nazionale, si continuano a costruire a tutto spiano nuove
centrali termoelettriche: è evidente che proprio l’inefficienza del
sistema e l’alto costo dell’elettricità in Italia offrono un
terreno privilegiato di speculazione, che non ha nulla a che fare con i
fabbisogni elettrici! Costruire una nuova centrale (di solito a gas, a
ciclo combinato, con rendimento altissimo) costituisce un affare
lautamente redditizio anche se essa funziona a piena potenza solo pochi
mesi all’anno.
Il
nucleare è il moderno “fuoco di Prometeo”, e l’umanità che lo ha
voluto sottrarre al controllo della natura (che non a caso non utilizza
i processi nucleari sulla Terra, ma solo nei nuclei delle stelle) è
destinata a portarne le conseguenze: ma se errare humanum est,
perseverare è diabolico, suicida ed autodistruttivo.