|
Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Orfani
del Monopoli di tutto il mondo: unitevi!
di
Carlo Bertani
Sarà
proprio vero che il petrolio sale di prezzo? Non sarà, per caso, che
siamo noi occidentali a “scendere”?
“Essenza, benzina o gasolina,
soltanto un litro: in cambio ti do Cristina.
Se vuoi la chiudo pure in monastero,
ma dammi un litro d’oro nero!”
Rino Gaetano – Spendi spandi
effendi – 1977
Negli
ultimi anni gli analisti economici internazionali attendono il crollo
dell’economia mondiale, poiché la situazione economica della maggior
potenza mondiale – gli USA – è prossima alla bancarotta: complesse
alchimie finanziarie cercano di coprire ciò che oramai non è più
possibile nascondere (a meno d’essere degli assidui fan
dell’informazione di regime).
Con simili abissi di debiti – che comprendono il saldo con l’estero,
il deficit di bilancio statale e l’indebitamento delle famiglie –
non si tratta di stabilire “se” avverrà, ma “quando” avverrà.
Insomma, il re è nudo ed oramai sono in tanti a gridarlo.
I recenti, violenti squilibri fra le monete e l’oro indicano non più
il nervosismo del mercato, bensì una fase oramai parossistica, da
“esaurimento nervoso” dell’economia internazionale.
In
questo contesto, viene spesso incolpato l’alto costo dell’energia
quale fattore che catalizza il disfattismo dei mercati, la loro
“volatilità” e l’altalena delle borse.
Su questo primo aspetto ci sarebbe molto da approfondire, poiché – se
per l’Europa e per gli USA il petrolio è veramente un freno economico
– non sembra essere lo stesso spauracchio per
Se Cina e Russia hanno oramai i forzieri colmi di dollari – circa
1.100 miliardi di dollari in biglietti verdi – altri hanno invece
qualcosa che non teme le avventure monetarie e le acrobazie finanziarie,
ossia le operazioni di “salvataggio” mediante le quali il
governatore della FED Bernanke
cerca di difendere latte e corn flake per milioni di prime colazioni –
i pasti degli americani – anche per dopodomani.
1.100
miliardi di dollari sono un bel gruzzolo, niente da dire: grosso modo
l’intero PIL italiano. C’è però qualcuno che li considera una
miseria e punta più in alto, dove nessuna acrobazia finanziaria può
arrivare.
Sappiamo che il mercato dell’energia è il più esteso del pianeta:
considerando che il consumo energetico mondiale assomma a circa 10
miliardi di TEP[1]
– e che il 65% dell’energia proviene da petrolio e gas – al prezzo
di 70 dollari/barile il mercato di petrolio e gas vale all’incirca
3250 miliardi di dollari l’anno.
Ovviamente non tutta l’energia proviene dal petrolio, ma anche il gas
– in quanto a prezzi – non scherza: considerando che produce – a
parità d’energia prodotta – circa il 30% in meno d’anidride
carbonica, il suo uso è molto gradito da chi deve mantenersi
all’interno dei limiti imposti dal Protocollo di Kyoto.
Si
comprende allora facilmente come
Forse
qualcuno storce il naso per le non proprio “limpide” democrazie
russa e cinese ma, suvvia – pecunia non olet – e, compiendo una profonda genuflessione di
fronte al rubinetto del metano che abbiamo sul balcone, possiamo anche
trascurare qualche dimenticato miliardario che conta lo scorrere dei
tramonti in un carcere siberiano. Mica sovietico eh? Russo, non
scherziamo.
Quei
3.250 miliardi di dollari sono la cifra che ricevono ogni anno che passa
Russia, Arabia Saudita, Venezuela…e tutta l’allegra brigata del
petrolio e del gas.
Sappiamo che le riserve non sono infinite, e possiamo anche ipotizzare
quanto dureranno ancora: agli attuali ritmi d’estrazione avremo ancora
pressappoco 40 anni di petrolio e 60 di gas. Per ora non consideriamo il
carbone, poiché se dovessimo trasformare i 200 anni d’estrazione che
ancora rimangono in energia faremmo prima a cacciarci direttamente il
tubo di scappamento in bocca. Se non altro, si soffrirebbe di meno.
Facendo una media empirica fra i due più importanti combustibili
fossili possiamo affermare che ne avremo ancora per circa 50 anni: chi
ha meno di quarant’anni può iniziare a preoccuparsi.
La
“torta” dell’energia – ossia la ripartizione dell’energia per
fonti (a grandi linee) – è semplicissima: 5% cadauno per
l’idroelettrico ed il nucleare, 25% ciascuno per carbone e gas ed il
restante 40% al re petrolio. Se avanza qualche decimale possiamo
assegnarlo alle energie rinnovabili, che nell’attuale panorama non
contano praticamente niente.
Quei 3.250 miliardi di dollari l’anno, per cinquant’anni di futura
estrazione, fanno la bella cifretta di 162.500 miliardi di dollari. Per
mettere insieme 162.500 miliardi di dollari i cinesi devono lavorare per
circa 20 anni, gli americani circa 15, ma per gli americani non c’è
problema: ci pensa papà Bernanke a stampare dollari (di carta) per
comprare petrolio (vero) che serve per riscaldarsi e viaggiare in
automobile, mentre con la carta si va poco lontano. Finché dura la
cuccagna. E, attenzione: lavorare tutto quel tempo solo per pagare
l’energia.
Qualunque
sia il nostro orientamento politico, di quella bella cifretta non
riusciamo nemmeno ad individuare una corrispondenza in beni: 325
milioni d’appartamenti a Manhattan? 3 milioni di caccia F-16 o
Su-27? 15.000 portaerei? Niente da fare, sono cifre da capogiro.
Anche
il carbone – però – fa la sua parte, ed il 25% dell’energia
prodotta nel pianeta viene ricavata dal carbon fossile: circa 3.500
milioni di tonnellate di carbone sono bruciate ogni anno nelle centrali
termoelettriche per produrre energia[2].
Il carbone costa assai di meno del petrolio: se una tonnellata di
petrolio costa circa 500$, per il carbone ne basta circa la metà, ossia
250$, comprendendo anche le cosiddette “carbon tax” per l’alto
inquinamento che comporta l’uso di questa fonte.
Agli
attuali ritmi di consumo, quanto carbone c’è nel pianeta?
In questa previsione non possiamo essere molto precisi, giacché il
termine carbon fossile comprende una panoplia di prodotti assai diversi:
si va dalle più pregiate antraciti (8.000-9-000 Kcal/Kg) alle meno
pregiate ligniti (5.000 Kcal/Kg) – passando per parecchie categorie
intermedie – mentre il petrolio ha un potere calorifico di circa
10.000 Kcal/Kg.
Insomma, il carbone ha una resa minore e costi d’estrazione maggiori,
ma agli attuali ritmi ne rimane ancora per 200 anni: due secoli di
locomotive a vapore? Se lo facessimo, sarebbe la condanna alla camera a
gas planetaria.
Ciò nonostante, il carbone è una potenziale risorsa energetica. Se il
consumo annuo è di circa 3.500 milioni di tonnellate e ne rimane per
200 anni, le riserva ammontano a 700.000 milioni di tonnellate, che al
prezzo medio attuale corrispondono ad altri 175.000 miliardi di dollari:
aggiunti ai 162.500 di petrolio e gas portano il valore delle riserve di
fossili alla iperbolica cifra di 337.500 miliardi di dollari.
Per
produrre ricchezza pari a 337.500 miliardi di dollari i cinesi
dovrebbero lavorare forse per mezzo secolo, solo per l’energia, gli
USA 30 anni: questa è l’importanza delle riserve strategiche
d’energia. Con una simile cifra potreste comprarvi una portaerei a
testa per voi ed i vostri figli, parenti ed amici ed usarla per le
vacanze, cambiandola ogni anno per un centinaio di generazioni.
Preferite acquistare in blocco l’Italia? Che so io…qualche migliaio
di Louvre…mah, fate voi…
Inutile andare a cercare il pelo nell’uovo in questi calcoli, poiché
i conti si fanno agli attuali prezzi dell’energia e con i
consumi di oggi: domani il conteggio potrebbe essere ancora
diverso; d’altro canto, domani un appartamento a Manhattan od un
caccia F-16 potrebbe costare di più o di meno, chi lo sa?
Già, domani tutto potrebbe costare un po’ di più od un po’ di
meno: un appartamento – a causa della speculazione – potrebbe valere
700.000 dollari invece che 500.000, mentre i caccia – se scoppiassero
delle guerre (e alla Mac Donnell Douglas pregano, oh quanto pregano…)
– potrebbero salire di prezzo.
Se,
però, pagassimo caccia ed appartamenti in euro risparmieremmo, poiché
con un rapporto di cambio pari a circa
Maledizione a chi ha inventato questo perfido Monopoli! Almeno – nel
gioco – chi ha il Parco della Vittoria sa che qualcuno da
“spennare” prima o dopo ci casca!
Il “Parco della Vittoria” attuale – nel quale tutti dobbiamo
forzatamente passare – si chiama ENERGIA.
Nel
preciso istante nel quale abbiamo premuto sul pulsante d’accensione
del computer per leggere questo articolo, siamo entrati nel “Parco
della Vittoria” dell’economia planetaria: la stessa cosa avviene
quando ruotiamo la chiavetta d’accensione dell’automobile oppure
cuciniamo un uovo al tegamino. Niente da fare: appena usiamo
dell’energia siamo dentro al perfido quadratino del Monopoli e c’è
qualcuno che sogghigna, che attende d’incassare. «Spendi
spandi, spandi spendi effendi!» cantava uno splendido Rino Gaetano
in anni lontani.
Ovviamente non incassano solo i barbuti efendiah
in caffettano, ma i caudillo venezuelani, i compassati sov…pardon…russi
e poi norvegesi, nigeriani ed indonesiani…man mano che però si scende
nella “scala” d’importanza di quei paesi cambia la ripartizione
della torta fra governi e holding dell’energia, e questo è un altro
aspetto del problema.
Se,
invece, qualcuno vuole tenersi il prezioso conto in banca dei propri
giacimenti e sfruttarlo poco – affinché duri per molti decenni –
avrà di che vivere senza problemi per molte generazioni. Il prezzo,
estraendo poco, salirà, ma questi sono problemi dei paesi consumatori,
mica di chi costruisce moschee sui laghi di petrolio. Proprio per
entrare in punta di piedi in questo ovattato mondo – dalle moquette
delle banche svizzere ai cuscini degli harem di Ryad – lo faremo in
modo discreto, con una favola, così come le “Mille e una notte”
hanno cercato di raccontare l’epoca aurea dei grandi califfati.
Il
buon sovrano di Petrolahbad
C’erano una volta due paesi che avevano tanto petrolio,
tantissimo: potevano farci il bagnetto ogni mattina oppure decidere di
correre in auto tutto il giorno spendendo un’inezia.
Un bel giorno, uno dei due paesi decise di vendere grandi quantità del
suo petrolio ai commercianti di lontani paesi: il buon re era sensibile
alle richieste delle sue molte mogli, che desideravano sempre – nella
penombra dell’harem – vestire Valentino e profumarsi con Chanel n.
5. Non c’era bisogno di copiare i modelli politici di quei lontani
commercianti – parlamenti, governi, presidenti – perché erano
inutili: su tutti regnava il buon re Saud ed i sudditi festanti
plaudivano alla sua saggezza ed al suo buon cuore.
Purtroppo,
nel paese accanto regnavano oscuri individui, avidi, gretti, ombrosi:
agitavano molto le spade e poco il Corano, affermavano che tutti
dovevano lavorare ed avere un reddito – sancendolo come un diritto –
ed estraevano poco petrolio, quel tanto che basta per mandare avanti la
baracca.
Un bruttissimo giorno, un certo Hussein – capo della masnada dei
miscredenti – iniziò ad acquistare tante armi perché meditava di
diventare il nuovo Saladino, colui che avrebbe unificato sotto un solo
stendardo tutte le popolazioni di Petrolahbad.
I commercianti stranieri giunsero dal buon re e lo pregarono
d’aiutarli a scongiurare quel pericolo: se il feroce Saladino fosse
divenuto il supremo Califfo di Petrolhabad, avrebbe “stretto” i
rubinetti del petrolio e le sue belle mogli sarebbero state costrette ad
acquistare i profumi nel discount sotto casa…pardon…sotto la reggia.
Detto
fatto: furono tagliate le ali al feroce Saladino ed il buon re
accondiscese con grazia a pagare i buoni commercianti che avevano
provveduto – inviando aerei, navi e soldati – a salvare le carte di
credito delle sue belle mogli.
Il buon re era miope e forse non s’accorse – quando firmò il
contratto – della cifra: si sa che gli zeri non contan nulla, ma se
seguono una cifra qualsiasi assumono valore; meraviglie della
matematica, ma il buon re era più avvezzo ai versi dei poeti che alle
aride cifre.
Fu così che, per pagare i commercianti stranieri che lo avevano difeso,
dovette estrarre ancor più petrolio e svuotare le casse dello stato: la
notte tornava nell’harem e nel vedere le belle mogli coperte d’oro e
profumate con grazia sospirava: sì, ho fatto la scelta giusta, Allah mi
sarà benigno.
Anche
le buone famiglie, però, covano sempre una serpe in seno: chi non
ricorda nelle proprie ascendenze un lontano zio nullafacente od una
bisnonna che amava solo il ballo ed i divertimenti?
Era stato tutto inutile: aveva inviato quel figlio di lontani cugini a
studiare in Europa, gli aveva acquistato casse d’ottime vesti, camicie
all’ultima moda occidentale, auto di lusso ma niente: il giovane Bin
voleva fare affari come i commercianti occidentali, era quasi diventato
come uno di loro, avido, interessato più ai numeri che ai versi dei
poeti.
Non si faceva problemi ad accusare il buon re di sperperare la ricchezza
della nazione estraendo tanto, troppo petrolio, che così costava poco e
gli unici ad arricchirsi erano i facoltosi commercianti occidentali.
Per toglierselo di torno gli proposero una vacanza premio, un viaggio
d’istruzione in Afghanistan, per imparare dagli imam locali come
doveva comportarsi un vero musulmano. Non l’avessero mai fatto! Anche
il giovane Bin meditò di diventare un Saladino e – dopo aver vinto
importanti battaglie contro gli infedeli del Nord – giunse a
pretendere il suo stesso trono, mogli comprese!
Ancora
una volta giunsero in aiuto i fedeli commercianti occidentali – che
avevano tentato d’accoglierlo nel loro grande suk – e che, in
lacrime, confessarono al buon re d’essere stati traditi dal suo
giovane nipote.
Per fortuna i buoni commercianti avevano tante navi ed aerei per
sconfiggere i due maligni Saladini, quello che da Baghdad continuava a
blaterare proclami insulsi ed il nuovo, giovane virgulto della stirpe
dei condottieri.
Cosa chiesero in cambio i buoni commercianti? Di poter estrarre anche il
petrolio del vicino paese, così anche le mogli dei visir di Bassora,
Falluja, Nassirya, Kirkuk e Mosul avrebbero ricevuto abiti e profumi in
quantità.
Al buon re la proposta sembrò accettabile, conveniente: in fondo era
l’unica praticabile, e quello fu il volere di Allah.
Morale
della favola
Le riserve di petrolio dei due paesi – Arabia Saudita ed Iraq –
erano così valutate nel 2002, prima della guerra irachena:
Paese |
Stima
delle riserve (miliardi di barili) |
Produzione
annua (milioni di barili) |
Anni
di futura estrazione ai ritmi dell’epoca |
Arabia
Saudita |
260 |
2.589 |
100 |
Iraq |
115 |
776 |
148 |
Come
si può notare, gli iracheni erano più “parchi” nell’aprire i
rubinetti del petrolio e, a lunga scadenza, sarebbero rimasti con ancora
petrolio nei giacimenti quando quelli sauditi sarebbero terminati.
Qui inizia il “giallo” delle riserve petrolifere irachene, perché
l’IEA (International Energy Agency) lancia un segnale:
“Il vero potenziale dell’Iraq potrebbe essere molto elevato, in
quanto il paese è relativamente inesplorato a causa di anni di guerre e
sanzioni dell’ONU, in particolare la regione del deserto occidentale
potrebbe contenere ulteriori risorse, forse altri 100 miliardi di barili”
[4].
Il
“giallo” è tale perché altre fonti indicano che la stima iniziale
di 115 miliardi di barili era molto, molto prudente e che le reali
riserve erano di circa 220 miliardi di barili.
C’è molta “confusione sotto il cielo”, ma restiamo con i piedi
per terra e contempliamo soltanto le riserve veramente accertate (115)
più quelle molto probabili – che si trovano nel deserto fra Nassirya
ed il confine siriano (ahi, la missione italiana di “pace”!) – ed
arriviamo a circa 215 miliardi di barili.
Ai prezzi attuali, le riserve irachene valgono 15.050 miliardi di
dollari, circa il 9% del totale mondiale: si può mobilitare il più
potente esercito del mondo per il 9% del petrolio del pianeta? Sì, si
può, si può…anzi, forse si deve.
Si
può e si deve perché quel petrolio rappresenta – in valore – più
di un anno di PIL USA!
E qui viene il bello.
Oro,
dollari, euro, conchiglie, caccia, palazzi…cosa compro?
Finché si tratta di comprare qualche cisterna di Chanel n. 5 non è il
caso di preoccuparsi troppo, ma quando – dopo aver acquistato i
palazzi della nobiltà francese e partecipazioni azionarie a iosa –
non si sa più dove cacciare i soldi è un bel problema. Noi (sic!) lo
sappiamo bene.
Il grave problema che si trovano a dover risolvere i buoni sudditi di
Petrolhabad è cosa acquistare in cambio del petrolio: valuta? No, già
con i dollari abbiamo fatto un cattivo affare: sempre più carta e meno
valore, bisogna cambiare rotta. Gli euro? E se facessero anch’essi la
fine del dollaro? Ferraglia militare? No, dopo trent’anni è da
buttare, se non ci pensano gli stessi “buoni commercianti” a
bombardare tutto.
Niente,
non c’è niente che vale di più di quel liquido oleoso e puzzolente
che sgorga dalla sabbia, perché è l’unica pietra filosofale in grado
di trasformare i minerali grezzi in metalli, il metallo in navi, le navi
in commercio, il commercio in altra ricchezza.
Già, però non si può conservarlo perché – a differenza dell’oro
– l’oro nero serve a tutti ed ogni giorno. Che fare?
Intanto s’inizia con il mantenere bassa la produzione, ossia non si
seguono i desideri dei “buoni commercianti”, i quali – dato
l’aumento della richiesta di petrolio di Cina ed India – vorrebbero
nuovi pozzi, oleodotti, raffinerie, ecc.
Se la produzione rimane costante od aumenta di poco, il prezzo sale:
saranno pure dollari svalutati, ma sono pur sempre – a parità di
barili estratti – sette volte quelli che a Petrolhabad s’incassavano
soltanto sei anni or sono.
In
definitiva – se consideriamo che l’energia è un bene indispensabile
che poche nazioni gestiscono in un regime d’oligopolio – i prezzi
non sono saliti: siccome si tratta di beni presenti nel pianeta in
quantità finite (proprio come l’oro), i combustibili fossili
interpretano – al variare del prezzo – il rapporto fra chi fornisce
l’energia e chi la consuma per produrre beni.
Chi possiede un giacimento petrolifero sa con certezza di possedere un
bene fruibile e fortemente ambito: finché il dollaro rappresentava una
moneta sicura – prima che fosse abolita la convertibilità in oro, ed
anche dopo, quando ancora rappresentava una certezza per la solidità
del sistema finanziario USA – il prezzo aveva oscillato di poco,
sempre (salvo brevissimi periodi) fra i 10 ed i 20 dollari/barile.
Gli alti prezzi raccontano allora un’altra vicenda: la disperazione di
possedere il bene più ambito nel pianeta e di doverlo scambiare –
ogni giorno che passa – con monete che, in definitiva, rappresentano
soltanto un puro valore d’imputazione, un “ci credo” collettivo.
Finché dura.
In
questa situazione – già molto critica – si sono andate ad
impiantare le guerre USA, con il timore che i patrimoni esteri dei paesi
produttori possano essere “congelati” dall’oggi al domani nel nome
della “guerra al terrorismo” (vedi Iran).
Come se ne esce? Sotto l’aspetto della teoria economica è assai
difficile trovare soluzioni: secoli di dibattiti sul valore dei beni –
da Ricardo a Marx, e da Keynes a Galbraith – non hanno fornito
risposte per assegnare un valore alle merci senza interpretarlo mediante
un “metro”, sia esso l’oro e, oggi, il petrolio.
Un maggior uso delle energie rinnovabili condurrebbe a “spalmare” su
più soggetti il privilegio di possedere il “metro” mediante il
quale si può misurare – e condizionare – l’economia mondiale, ma
non sarebbe una soluzione poiché continuerebbero ad esistere i
“Parchi della Vittoria”: se esistono simili paradisi, non
dimentichiamo che gran parte della popolazione del pianeta vive nel
Vicolo Corto e nel Vicolo Stretto.
Il vero problema è allora una nuova coscienza della ricchezza e del suo
uso – per arricchire pochi oppure per fini di promozione sociale
paritaria, fra tutti gli abitanti della Terra – ma questo è un altro
discorso: io, per prima cosa, ho gettato il Monopoli nella spazzatura.
Carlo
Bertani bertani137@libero.it www.carlobertani.it
[1]
TEP: Tonnellata Equivalente di
Petrolio, ossia l’energia contenuta – in media – in una
tonnellata di petrolio, qualunque sia la fonte energetica.
[2]
Considerando il minor potere
calorifico del carbone rispetto al petrolio, 7000 Kcal/Kg (una media
molto approssimativa) contro le circa 10.000 del petrolio.
[3]
A volte mi spaventa essere così
previdente: nel 2003 – quando scrissi Europa
svegliati! – affermai che il cambio euro/dollaro si sarebbe
stabilizzato intorno ad
[4]
Fonte:
International Energy Outlook 2004.