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Orafi sull’orlo di una crisi di nervi
di Eugenio Benetazzo - 10 dicembre 2007

Chi l'avrebbe mai detto che il tessuto imprenditoriale orafo di Vicenza sarebbe stato una vittima (inaspettata) della globalizzazione: per decenni la città del Palladio è stata la capitale mondiale dell'artigianato orafo, mentre adesso detiene il simbolico primato italiano di maggior numero di locali per lap dance entertainment, a dissacrante dimostrazione che qualcos'altro tira sempre più del metallo giallo ! Il crollo della produzione orafa non lascia tanto spazio all'immaginazione, letteralmente dimezzata dalle oltre 500 tonnellate di alcuni anni fa: si è assistito ad un autentico ridimensionamento del tessuto imprenditoriale, anche se più di selezione naturale, come vorrebbe definirla qualcuno, a mio avviso si tratta di una preoccupante decimazione.

Cosa è successo in così poco tempo da stravolgere un intero settore, portandolo da qualche significativa nicchia di eccellenza a numerose centinaia di situazioni di default finanziario ? Le cause sono molteplici, ma cercherò di analizzarle con il mio solito stile inquisitorio. Partiamo, quindi, proprio dalla globalizzazione, intesa come stadio terminale del turbocapitalismo, una pericolosa miscela di capitali presi a prestito a bassi tassi di interesse e risorse umane sfruttate laddove il costo della manodopera è più conveniente. Ebbene anche la produzione di monili e artefatti d'oro ha subito la insana concorrenza di nuove aree emergenti (come la Turchia e l'India) che in poco tempo hanno replicato un modello di business proprio del Made in Italy di Vicenza.

Il tipico imprenditore vicentino si è scontrato con un mutamento di scenario trovandosi completamente impreparato: da un mercato di concorrenza tradizionale siamo passati ad un mercato di pura competizione, in cui riesce a sopravvivere solo chi è imprenditore nel vero senso della parola, quindi un attento conoscitore delle dinamiche di evoluzione dei mercati, e non un operaio o un dipendente improvvisato, che si è messo a scimmiottare il suo ex datore di lavoro, licenziandosi ed assumendo qualche dipendente che lo aiuti e lo assista. Proprio nel tessuto vicentino ve ne sono a iosa di situazioni similari, aziende, si fa per dire a chiamarle così, nate dall'improvvisazione di qualche ex operaio orafo, che sono funzionate fin tanto che la torta era grande per tutti e la concorrenza era gestibile. Adesso in seguito all'evoluzione del mercato, o vendi e fai fatturato, oppure chiudi e ti cerchi un altro mestiere, ammesso che non ti sia indebitato per tentare di stare in piedi, quando non capivi che vento tirava. Questa è una caratteristica del nostro paese, specialmente del nord est, vi è tanta vocazione imprenditoriale, ma poca capacità imprenditoriale.

Nel frattempo il mercato ha già selezionato i players che hanno gestito l'azienda in termini manageriali, affidandola a professionisti della gestione di impresa e non al cognato o al fratello di turno. Chi riesce a difendersi ed ostentare una posizione dominante lo ha fatto investendo nel brand o in mercati di nuovi contenuti, vedasi il business dell'acciaio satinato, soppiantando completamente la preziosità e ricercatezza dei materiali con l'immagine mediatica di oggetti ornamentali di tendenza (per esempio il pendente in acciaio della tal marca famosa di turno). Di fatto questi materiali, per il loro esiguo costo, consentono di mantenere i prezzi degli stessi articoli su fasce più abbordabili, non si deve dimenticare a tal fine l'impatto economico in termini di potere d'acquisto dell'avvento dell'euro sulle tasche dei consumatori.

Non di meno, a quanto abbiamo sinora rappresentato, possiamo scordare lo scenario macroeconomico che si è delineato sul prezzo dell'oro, il quale ha causato non poche vittime a causa di una limitata comprensione dell'evoluzione del prezzo dell'oro e dello scenario macroeconomico ad esso collegato, scenario che sconta tutt'oggi la crisi di sfiducia del pianeta contro gli USA e soprattutto contro la loro valuta, il dollaro americano. Gli USA sono infatti il paese più indebitato del mondo, con un debito sul PIL di oltre il 300 %, un paese che, al di là delle grandi corporations quotate sui listini americani, ha severamente compromesso la sua credibilità finanziaria, soprattutto da quando nella primavera del 2006 il governo federale decise di non rendere disponibile alle comunità finanziarie internazionali il controvalore monetario circolante in dollari, letteralmente il controvalore di banconote stampate e circolanti nel mondo.

Oro e dollaro americano sono stati per decenni due variabili economiche una antitetica all'altra, quindi non vi è nulla da stupirsi se qualcuno (governi, banche centrali e fondi di investimento) abbia deciso in silenzio di ridare all'oro la sua funzione originaria ovvero quella di bene rifugio per eccellenza. Chi avesse letto i miei libri si ricorda molto bene di come ancora nel 2005 profetizzavo il prezzo del metallo giallo a oltre i 650 $ l'oncia: adesso la soglia psicologica dei 1000 $ è diventata il prossimo naturale target di prezzo. Questo trend, tuttavia, non è destinato a sgonfiarsi, come invece molti si aspettano, visto che non si tratta più di speculazione, quanto di mutamento di scenario, dovuto a ristrutturazione di riserve valutarie su tutto il pianeta e di accantonamenti a riserva d'oro per tutelare e difendere la propria stabilità ed il proprio patrimonio mobiliare: in buona sostanza si sta investendo a lungo termine sull'oro fisico a fronte di uno scenario economico sull'intero pianeta tutt'altro che rassicurante.

In questo contesto di prezzo dell'oro al rialzo si deve inserire la carneficina di imprese orafe causata da una sconsiderata gestione delle operazioni di finanziamento alla produzione effettuate attraverso l'istituto del prestito d'uso. Per chi non fosse esperto della materia, il prestito d'uso è un prestito materiale di metallo giallo che effettua la banca ad un artigiano orafo a condizioni, in termini di tasso di finanziamento, molto convenienti. La prassi bancaria vuole che l'oro sia impiegato per la realizzazione della produzione orafa (quindi monili, anelli, catene e così via) ed una volta venduto ed incassato il controvalore della produzione, si provvede ad estinguere il debito contratto con la banca: tale debito ammonta al controvalore di mercato dei kg d'oro prestati in aggiunta all'interesse su base annua convenuto.

Dal 1999 al 2003 il prezzo dell'oro è rimasto abbastanza stazionario, oscillando intorno ai 300 $ l'oncia, e questa constatazione ha portato molti imprenditori orafi a sfruttare impropriamente il prestito d'uso per finanziare l'azienda o esigenze personali ad un tasso quindi molto conveniente. L'architettura dell'operazione prevedeva infatti che una volta ricevuto in prestito d'uso il metallo giallo, quest'ultimo veniva rivenduto su un mercato parallelo, creando istantaneamente una disponibilità finanziaria che veniva utilizzata per scopi non direttamente connessi alla produzione orafa (e perciò con dinamiche di rientro completamente diverse).

Questa opportunità si è dimostrata tale sin tanto che il prezzo del metallo giallo si è mantenuto sostanzialmente stazionario, ma quando, come negli ultimi anni, si è assistito per le ragioni che abbiamo affrontato prima, ad un lento e silenzioso rally, le conseguenze sono state drammatiche. Il debito infatti in termini di restituzione della quota capitale si è più che raddoppiato (anche considerando l'apprezzamento del cambio euro/dollaro), mettendo in ginocchio aziende ed imprenditori impossibilitati nella restituzione. Nonostante la salita delle quotazioni, inesorabile e costante nel tempo, molti imprenditori si sono autoconvinti che il pericolo non sussisteva in quanto il prezzo sarebbe successivamente sceso proprio come avvenne dopo la speculazione del 1979. Peccato che questa volta il prezzo dell'oro sia soggetto a problematiche macroeconomiche strutturali e non a semplici istanze speculative.

Non posso esimermi a questo punto dal parlare del sistema bancario e del suo comportamento nei confronti del tessuto imprenditoriale orafo: fin tanto che la vacca da latte è stata in salute gli istituti di credito non si sono persi d'animo comportandosi come autentici esattori di interesse, ma non appena hanno iniziato a delinearsi le prime difficoltà nel settore, si sono trasformati in conigli con la coda bagnata, ridimensionando i fidi ed esigendo il rientro forzato degli sconfinamenti. Alla faccia di tutti quegli ingenui imprenditori che pensavano di trovare in una banca italiana un partner alleato che li avrebbe sostenuti durante il loro percorso di crescita oppure innanzi alle difficoltà del settore. Alla fine ancora una volta il sistema bancario italiano ha dato ulteriore dimostrazione della sua consistenza: non finanziando idee e capacità, ma solo garanzie e fideiussioni. Si è salvato da questa inquietante selezione del mercato chi ha proiettato l'azienda in una dimensione snella, quasi on demand, puntando su materiali alternativi come l'argento e l'acciaio o chi è stato assistito e consigliato non dal solito commercialista contabile passacarte del fisco, quanto piuttosto da un preparato consulente di direzione aziendale che ha saputo traghettare l'azienda da un mercato concorrenziale ad uno di spietata competizione.

Eugenio Benetazzo
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