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Orafi sull’orlo di una crisi di
nervi
di
Eugenio Benetazzo
Chi l'avrebbe mai detto che il tessuto imprenditoriale
orafo di Vicenza sarebbe stato una vittima (inaspettata) della
globalizzazione: per decenni la città del Palladio è stata la capitale
mondiale dell'artigianato orafo, mentre adesso detiene il simbolico
primato italiano di maggior numero di locali per lap dance
entertainment, a dissacrante dimostrazione che qualcos'altro tira sempre
più del metallo giallo ! Il crollo della produzione orafa non lascia
tanto spazio all'immaginazione, letteralmente dimezzata dalle oltre 500
tonnellate di alcuni anni fa: si è assistito ad un autentico
ridimensionamento del tessuto imprenditoriale, anche se più di
selezione naturale, come vorrebbe definirla qualcuno, a mio avviso si
tratta di una preoccupante decimazione.
Cosa è successo in così poco tempo da stravolgere un
intero settore, portandolo da qualche significativa nicchia di
eccellenza a numerose centinaia di situazioni di default finanziario ?
Le cause sono molteplici, ma cercherò di analizzarle con il mio solito
stile inquisitorio. Partiamo, quindi, proprio dalla globalizzazione,
intesa come stadio terminale del turbocapitalismo, una pericolosa
miscela di capitali presi a prestito a bassi tassi di interesse e
risorse umane sfruttate laddove il costo della manodopera è più
conveniente. Ebbene anche la produzione di monili e artefatti d'oro ha
subito la insana concorrenza di nuove aree emergenti (come
Il tipico imprenditore vicentino si è scontrato con un
mutamento di scenario trovandosi completamente impreparato: da un
mercato di concorrenza tradizionale siamo passati ad un mercato di pura
competizione, in cui riesce a sopravvivere solo chi è imprenditore nel
vero senso della parola, quindi un attento conoscitore delle dinamiche
di evoluzione dei mercati, e non un operaio o un dipendente
improvvisato, che si è messo a scimmiottare il suo ex datore di lavoro,
licenziandosi ed assumendo qualche dipendente che lo aiuti e lo assista.
Proprio nel tessuto vicentino ve ne sono a iosa di situazioni similari,
aziende, si fa per dire a chiamarle così, nate dall'improvvisazione di
qualche ex operaio orafo, che sono funzionate fin tanto che la torta era
grande per tutti e la concorrenza era gestibile. Adesso in seguito
all'evoluzione del mercato, o vendi e fai fatturato, oppure chiudi e ti
cerchi un altro mestiere, ammesso che non ti sia indebitato per tentare
di stare in piedi, quando non capivi che vento tirava. Questa è una
caratteristica del nostro paese, specialmente del nord est, vi è tanta
vocazione imprenditoriale, ma poca capacità imprenditoriale.
Nel frattempo il mercato ha già selezionato i players che
hanno gestito l'azienda in termini manageriali, affidandola a
professionisti della gestione di impresa e non al cognato o al fratello
di turno. Chi riesce a difendersi ed ostentare una posizione dominante
lo ha fatto investendo nel brand o in mercati di nuovi contenuti, vedasi
il business dell'acciaio satinato, soppiantando completamente la
preziosità e ricercatezza dei materiali con l'immagine mediatica di
oggetti ornamentali di tendenza (per esempio il pendente in acciaio
della tal marca famosa di turno). Di fatto questi materiali, per il loro
esiguo costo, consentono di mantenere i prezzi degli stessi articoli su
fasce più abbordabili, non si deve dimenticare a tal fine l'impatto
economico in termini di potere d'acquisto dell'avvento dell'euro sulle
tasche dei consumatori.
Non di meno, a quanto abbiamo sinora rappresentato,
possiamo scordare lo scenario macroeconomico che si è delineato sul
prezzo dell'oro, il quale ha causato non poche vittime a causa di una
limitata comprensione dell'evoluzione del prezzo dell'oro e dello
scenario macroeconomico ad esso collegato, scenario che sconta tutt'oggi
la crisi di sfiducia del pianeta contro gli USA e soprattutto contro la
loro valuta, il dollaro americano. Gli USA sono infatti il paese più
indebitato del mondo, con un debito sul PIL di oltre il 300 %, un paese
che, al di là delle grandi corporations quotate sui listini americani,
ha severamente compromesso la sua credibilità finanziaria, soprattutto
da quando nella primavera del 2006 il governo federale decise di non
rendere disponibile alle comunità finanziarie internazionali il
controvalore monetario circolante in dollari, letteralmente il
controvalore di banconote stampate e circolanti nel mondo.
Oro e dollaro americano sono stati per decenni due
variabili economiche una antitetica all'altra, quindi non vi è nulla da
stupirsi se qualcuno (governi, banche centrali e fondi di investimento)
abbia deciso in silenzio di ridare all'oro la sua funzione originaria
ovvero quella di bene rifugio per eccellenza. Chi avesse letto i miei
libri si ricorda molto bene di come ancora nel 2005 profetizzavo il
prezzo del metallo giallo a oltre i 650 $ l'oncia: adesso la soglia
psicologica dei 1000 $ è diventata il prossimo naturale target di
prezzo. Questo trend, tuttavia, non è destinato a sgonfiarsi, come
invece molti si aspettano, visto che non si tratta più di speculazione,
quanto di mutamento di scenario, dovuto a ristrutturazione di riserve
valutarie su tutto il pianeta e di accantonamenti a riserva d'oro per
tutelare e difendere la propria stabilità ed il proprio patrimonio
mobiliare: in buona sostanza si sta investendo a lungo termine sull'oro
fisico a fronte di uno scenario economico sull'intero pianeta tutt'altro
che rassicurante.
In questo contesto di prezzo dell'oro al rialzo si deve
inserire la carneficina di imprese orafe causata da una sconsiderata
gestione delle operazioni di finanziamento alla produzione effettuate
attraverso l'istituto del prestito d'uso. Per chi non fosse esperto
della materia, il prestito d'uso è un prestito materiale di metallo
giallo che effettua la banca ad un artigiano orafo a condizioni, in
termini di tasso di finanziamento, molto convenienti. La prassi bancaria
vuole che l'oro sia impiegato per la realizzazione della produzione
orafa (quindi monili, anelli, catene e così via) ed una volta venduto
ed incassato il controvalore della produzione, si provvede ad estinguere
il debito contratto con la banca: tale debito ammonta al controvalore di
mercato dei kg d'oro prestati in aggiunta all'interesse su base annua
convenuto.
Dal 1999 al 2003 il prezzo dell'oro è rimasto abbastanza
stazionario, oscillando intorno ai 300 $ l'oncia, e questa constatazione
ha portato molti imprenditori orafi a sfruttare impropriamente il
prestito d'uso per finanziare l'azienda o esigenze personali ad un tasso
quindi molto conveniente. L'architettura dell'operazione prevedeva
infatti che una volta ricevuto in prestito d'uso il metallo giallo,
quest'ultimo veniva rivenduto su un mercato parallelo, creando
istantaneamente una disponibilità finanziaria che veniva utilizzata per
scopi non direttamente connessi alla produzione orafa (e perciò con
dinamiche di rientro completamente diverse).
Questa opportunità si è dimostrata tale sin tanto che il
prezzo del metallo giallo si è mantenuto sostanzialmente stazionario,
ma quando, come negli ultimi anni, si è assistito per le ragioni che
abbiamo affrontato prima, ad un lento e silenzioso rally, le conseguenze
sono state drammatiche. Il debito infatti in termini di restituzione
della quota capitale si è più che raddoppiato (anche considerando
l'apprezzamento del cambio euro/dollaro), mettendo in ginocchio aziende
ed imprenditori impossibilitati nella restituzione. Nonostante la salita
delle quotazioni, inesorabile e costante nel tempo, molti imprenditori
si sono autoconvinti che il pericolo non sussisteva in quanto il prezzo
sarebbe successivamente sceso proprio come avvenne dopo la speculazione
del 1979. Peccato che questa volta il prezzo dell'oro sia soggetto a
problematiche macroeconomiche strutturali e non a semplici istanze
speculative.
Non posso esimermi a questo punto dal parlare del sistema
bancario e del suo comportamento nei confronti del tessuto
imprenditoriale orafo: fin tanto che la vacca da latte è stata in
salute gli istituti di credito non si sono persi d'animo comportandosi
come autentici esattori di interesse, ma non appena hanno iniziato a
delinearsi le prime difficoltà nel settore, si sono trasformati in
conigli con la coda bagnata, ridimensionando i fidi ed esigendo il
rientro forzato degli sconfinamenti. Alla faccia di tutti quegli ingenui
imprenditori che pensavano di trovare in una banca italiana un partner
alleato che li avrebbe sostenuti durante il loro percorso di crescita
oppure innanzi alle difficoltà del settore. Alla fine ancora una volta
il sistema bancario italiano ha dato ulteriore dimostrazione della sua
consistenza: non finanziando idee e capacità, ma solo garanzie e
fideiussioni. Si è salvato da questa inquietante selezione del mercato
chi ha proiettato l'azienda in una dimensione snella, quasi on demand,
puntando su materiali alternativi come l'argento e l'acciaio o chi è
stato assistito e consigliato non dal solito commercialista contabile
passacarte del fisco, quanto piuttosto da un preparato consulente di
direzione aziendale che ha saputo traghettare l'azienda da un mercato
concorrenziale ad uno di spietata competizione.
Eugenio Benetazzo
www.eugeniobenetazzo.com/tour.html
www.youtube.com/eugeniobenetazzo