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L’Opus Dei e il dopo Giovanni Paolo II
di Rita Pennarola – “La Voce della Campania” – Aprile 2005
www.lavocedellacampania.it

Hanno scelto l’eutanasia, quella definita “passiva”, per porre fine al pontificato di Giovanni Paolo II. A giustificare questa scelta, solo la breve nota di venerdì mattina, 1 aprile, nella quale l’entourage vaticano del pontefice informava la comunità internazionale che il papa, nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, aveva chiesto di non essere trasportato al Policlinico Gemelli e desiderava rimanere nel suo appartamento. Fino a che punto questa precisa e decisiva volontà sia stata realmente espressa da Karol Woytila è e resterà un punto decisamente impossibile da dimostrare. Di sicuro sta proprio nell’attribuzione di quella scelta (al pontefice, oppure ai cardinali che lo circondavano come Ratzinger, Ruini, Sodano) il significato politico che dobbiamo attribuire al dopo Wojtyla nel suo complesso. E’ evidente infatti che in una condizione di aggravamento repentino – come quello verificatosi il 30 marzo, pur nelle già precarie condizioni generali – e soprattutto avendo a disposizione una apposita struttura attrezzata al Gemelli, l’indicazione medica “nel segno della vita” doveva essere quella di trasferire immediatamente il pontefice in ospedale, dove le cure rianimative sono di gran lunga diverse rispetto a quelle che è possibile praticare in un appartamento vaticano. Si è scelta invece l’eutanasia passiva. Alcuni documenti mostrano come possa risultare difficile attribuire questa decisione a Giovanni Paolo. A cominciare dalle parole che pronunciò l’11 febbraio 2004 in occasione della Giornata del malato: «Nessuno ha il diritto di sopprimere la vita di un paziente a causa della sofferenza. La sofferenza è sempre una chiamata a praticare l’amore misericordioso. Chi soffre non sia mai lasciato solo». O l’enciclica Evangelium vitae del 1995: «Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante "perversione" di essa: la vera "compassione", infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. [...] Si raggiunge poi il colmo dell'arbitrio e dell'ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. [...]. Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone». Infine il messaggio quaresimale del 2005: «Il comandamento divino "non uccidere!" vale pure in presenza di malattie, e quando l’indebolimento delle forze riduce l’essere umano nelle sue capacità di autonomia».

Sempre a poche settimane fa risale il messaggio rivolto dal pontefice ai lavori dell’assemblea annuale della Pontificia Accademia per la Vita, quando ricorda che il termine «“qualità di vita” è oggi interpretato come efficienza economica, consumismo sfrenato, bellezza e piacere della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde dell’esistenza, come quelle interpersonali, spirituali e religiose. Nella società del benessere, la nozione di qualità della vita viene ridotta ad una capacità di godere e di sperimentare il piacere». Per la stessa ragione proprio il presidente della Pontificia Accademia della Vita, monsignor Elio Sgreccia, solo pochi giorni fa aveva condannato la decisione di staccare le macchine che tenevano in vita Terry Schiavo perché «può essere considerata una persona umana viva, privata di una coscienza piena, i cui diritti giuridici devono essere riconosciuti, rispettati e difesi». Secondo il prelato, inoltre, in questo caso la sonda gastrica di alimentazione non può essere considerata un “mezzo straordinario”, né uno strumento terapeutico. Monsignor Sgreccia ritiene che la decisione della giustizia nordamericana, che ha stabilito che la sonda venisse staccata, «è una morte provocata in modo crudele. Non è un atto medico. Si tratta di togliere acqua e cibo per provocare la morte».

Eutanasia passiva
E qui entra la sottile distinzione fra eutanasia diretta e passiva, cui forse hanno fatto ricorso i cardinali presenti accanto al papa nelle sue ultime ore. Secondo il Catechismo ufficiale, infatti, la Chiesa cattolica rifiuta il cosiddetto “accanimento terapeutico”: «Si intende che può essere legittima l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate ai risultati sperati. In questo modo non si vuole provocare la morte; si accetta il fatto di non poterla impedire. In questi casi la decisione deve essere presa dal paziente, se ha la competenza e la capacità per farlo; in caso contrario da quanti hanno diritti legali, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». Era precisamente questa la situazione clinica nella quale versava il papa quella mattina del 31 marzo, quando si decise di non ricoverarlo nei suoi appartamenti protetti del Policlinico per cercare di tenerlo in vita? E come si poteva prevedere, in quel momento, che le cure adottate in ospedale potessero configurarsi come un “accanimento terapeutico”? Lungo questa linea di confine tra la scelta personale di accettare la morte, o la consapevole decisione di sottrarlo alle cure ospedaliere tese a prolungarne la fragile esistenza, si muovono gli interrogativi sulle ultime ore di pontificato dell’uomo che ha cambiato il corso della storia. Ed è da questi interrogativi che bisogna partire per comprendere “quale” Chiesa avremo ora. E cosa sia fin qui avvenuto, quali lotte per il potere stiano ora avvenendo nelle segrete stanze vaticane, al riparo dei media. Uno scenario che potrebbe assomigliare in maniera impressionante a quello che precedette le tragiche ore del 13 maggio 1981, quando Ali Agca attentò alla vita del papa ferendolo gravemente con un colpo di pistola che perforò l’intestino. Un episodio sul quale il libro di Giovanni Paolo II Memoria e Identità, uscito poco più di un mese fa, aveva aperto la strada a nuove rivelazioni: «Ali Agca, come tutti dicono – scrive il pontefice – è un assassino professionista. Questo vuol dire che l’attentato non fu un’iniziativa sua, che fu qualcun altro a idearlo, che qualcun altro l’aveva a lui commissionato». Chi?

Emanuela e il ricatto
Un primo elemento di riflessione su questo punto lo offre la probabile riapertura, proprio negli ultimi mesi, dell’inchiesta giudiziaria sulla scomparsa di Emanuela Orlandi per iniziativa del penalista napoletano che affianca la famiglia, l’avvocato Massimo Krogh. A gennaio Krogh aveva consegnato ai magistrati della capitale titolari dell’inchiesta stralcio, il procuratore capo Italo Ormanni ed il pm Simona Maisto, un corposo dossier contenente fra l’altro gli esiti di alcune indagini svolte all’estero. I documenti proverebbero la tesi sostenuta dalla famiglia Orlandi secondo cui la giovane sarebbe stata rapita nell’estate dell’83 come ostaggio da scambiare con Mehmet Ali Agcà, l'attentatore del Papa, nel timore che questi rivelasse i presunti mandanti dell'attentato. Spiega Sandro Provvisionato, giornalista del Tg5 e curatore del sito Misteri d’Italia: «Agca insiste da tempo sul terzo segreto di Fatima, che peraltro il papa stesso aveva rivelato nel 2000, spiegando che in esso era contenuta la visione dell’attentato che avrebbe subito. Allora le cose sono due: o Agca sa qualcosa e manda messaggi attraverso le richieste di rivelare il segreto di Fatima, oppure in esso c’è il riferimento ai veri mandanti di quel tentato omicidio». E proprio sui mandanti, Provvisionato aggiunge: «La pista bulgara portata avanti da alcuni magistrati, come sappiamo, non ha retto in tribunale. Ma ora sono al lavoro altri giudici che secondo me potrebbero riuscire a trovare la vera pista, quella interna alle stanze del Vaticano». Due le anime che si contrappongono – ora, come al tempo del breve pontificato di papa Albino Luciani – all’interno della Chiesa: da un lato la potente Opus Dei, che proprio da Wojtyla ottenne il riconoscimento della prelatura personale. Sul fronte opposto i gesuiti, tradizionali depositari del potere politico fra i cattolici. Un episodio recentemente accaduto in Perù e rimasto nascosto alle grandi cronache la dice lunga sulla portata di questo scontro. Riguarda il cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima, di stretta osservanza Opus Dei. Intervistato a luglio 2004 da John Allen del National Catholic Reporter, Cipriani ha vuotato il sacco, raccontando gli attacchi ricevuti da altri vescovi, alcuni dei quali in Vaticano, a colpi di false lettere al papa, veleni, bugie. Nel 1999 viene addirittura accusato di aver ucciso il suo predecessore, il cardinale e gesuita Augusto Vargas Alzamora, morto per emorragia cerebrale. Tutta la vicenda è sfociata in un’inchiesta della magistratura peruviana promossa dallo stesso Cipriani il quale, nonostante i tentativi di “mediazione” avanzati da alcuni cardinali ed in particolare da Gian Battista Re, prefetto della congregazione dei vescovi, così concludeva l’intervista: «Preferiscono scopare lo sporco sotto il tappeto, pur di non guardare in faccia la verità. Ma non riusciranno a bloccare il tutto, anche se ci provano».

Anche in Perù, come in molte parti del mondo, la maggioranza dei vescovi è di area Opus Dei. Dall’altra parte, i gesuiti portatori della teologia della liberazione come Luis Armando Bambarén Gastelumendi, ma anche francescani. Ad esempio l´arcivescovo di Trujillo, Héctor Miguel Cabrejos Vidarte «che - racconta il giornalista Sandro Magister – si reca spesso a Roma e ha referenti in Vaticano. Ai quali fa descrizioni allarmate delle spaccature nella gerarchia peruviana, provocate, a suo dire, proprio da Cipriani». Uno spaccato locale che lascia intravedere analoghi conflitti interni nell’intera Chiesa cattolica e, soprattutto, nel conclave del dopo Wojtyla. In prima fila, naturalmente, proprio l’Opus Dei, che aspira a mantenere col nuovo papa le posizioni di privilegio fin qui raggiunte. 
Due i cardinali considerati papabili fra i tanti che fanno riferimento al santo Escrivà: lo stesso Gian Battista Re ed il potentissimo Camillo Ruini, vicario di Giovanni Paolo II per la diocesi di Roma e presidente della conferenza episcopale italiana. Ottantaquattromila persone nei cinque continenti della terra si richiamano alle rigide prescrizioni di quest’ala del cattolicesimo conservatore fondata nel 1928 a Madrid da Josemaria Escrivà de Balaguer, elevato all’onore degli altari proprio durante il pontificato di Giovanni Paolo II con una cerimonia solenne cui presero parte esponenti politici anche del centrosinistra, come Valter Veltroni e Cesare Salvi. Il portavoce dell’Opus, Giuseppe Corigliano, è stato il primo a partecipare alla diretta di Rai 1 condotta da Davide Sassoli nelle ore immediatamente successive all’annuncio della scomparsa del papa, la notte fra il primo e il due aprile. Non è un caso. Così come non casuale resta la diretta matrice opusdeista di Joaquin Navarro Valls, trait d’union fra Wojtyla e la stampa mondiale durante i lunghi anni del pontificato.

Opus in Business
Una autentica multinazionale della fede, l’Opus Dei, che solo pochi mesi fa, a gennaio 2005, ha aggiunto un importante tassello alla imponente geografia del suo patrimonio immobiliare in ogni angolo del pianeta: il nuovo polo oncologico annesso al Policlinico del Campus Biomedico (una delle due università dell’Opus nella capitale), costato oltre 7 milioni di euro «messi a disposizione – precisano i comunicati ufficiali – dalla Regione Lazio e da un pool di donatori». Ignoti i loro nomi, così come segrete restano le lunghe liste degli affiliati e la nomenklatura interna, ad eccezione del vertice massimo, il prelato Javier Echevarría, e del suo stretto entourage. A fine dicembre, intanto, era stata varata un’intesa di cooperazione scientifica ai massimi livelli tra l'Università Campus Biomedico, il Weizmann Institute France Europe of Science e la Fondazione per le Bioscienze. Tre i progetti messi in campo, per un valore iniziale di tre milioni di euro. Il patto era stato sottoscritto a Palazzo De Carolis, sede di Capitalia, e presentato da Giancarlo Elia Valori, presidente di Confindustria Lazio e della Fondazione per le Bioscienze, alla presenza, fra gli altri, di Francesco Cossiga, del presidente del Campus Paolo Arullani e di Massimo Vari, vice presidente emerito della Corte Costituzionale. 
Con il sistema bancario l’Opus ha per tradizione sempre intrattenuto stretti rapporti. A cominciare dalla parentela che esisterebbe fra Mariano Fazio, rettore dell’altro ateneo opusdeista nella capitale, la Pontificia Università della Santa Croce (con facoltà di Teologia, Diritto Canonico, Filosofia e Comunicazione Sociale Istituzionale) ed Antonio Fazio, recentemente nominato da Silvio Berlusconi presidente “a vita” della Banca d’Italia. Ritroviamo Antonio Fazio fra i leader di un’altra “creatura” tutta business & chiesa: si tratta della fondazione Sorella Natura, che si ispira alle prescrizioni evangeliche del poverello di Assisi per fondare una Banca etica, acquistare e ristrutturale immobili come la Chiesa di Santa Croce ad Assisi, stringere intese con partner come la Popolare di Lodi, ma anche colossi del calibro di Unicredito, Sanpaolo Imi, Monte Paschi di Siena e Banca Sella, per citarne solo alcuni (vedi box).

Intanto, mentre qualcuno ricorda che la data della morte di Giovanni Paolo II, sabato 2 aprile, si lega in qualche modo alla terza apparizione della Madonna di Fatima ai pastorelli (la Vergine promette a chi segue i riti di devozione mariana da gennaio a maggio che verrà a prenderlo nel primo sabato di uno dei 5 mesi per portarlo in cielo), la stampa internazionale prova a scandagliare le alchimie geopolitiche e religiose del conclave per ipotizzare il nome del successore. In prima fila l’anziano cardinale Joseph Ratzinger, 27 anni fa capo della delegazione opusdeista che elesse Karol Wojtyla sul soglio di Pietro. 
Ma milioni di persone, cattolici e non, che piangono la sua scomparsa e portano nel cuore il suo messaggio, si domandano piuttosto quale potrebbe essere il successore che Giovanni Paolo avrebbe preferito. Una risposta indiretta possiamo trovarla nelle pagine finali del libro che Karol Wojtyla ci ha lasciato come sommo testamento spirituale. Memoria e identità si chiude con l’intenso dialogo fra il papa e Stanislaw Dziwisz. Lo stesso uomo al quale il pontefice confida per la prima volta che all’ombra di Alì Agca si muovevano i veri mandanti. Lo stesso arcivescovo che ha voluto accanto a sé anche negli ultimi istanti della sua vita terrena.

Vieni in Sorellanatura.org
Con sedi ad Assisi e a Roma, in via Sistina, oltre a delegazioni sparse in tutto il mondo, la Fondazione Sorella Natura è presieduta da Roberto Leoni, suo fondatore nel 1991, divenuto in questa legislatura consigliere per le relazioni internazionali presso il ministero dell’Istruzione retto da Letizia Moratti. Nell’organigramma troviamo inoltre l’amministratore delegato Alfio Caporali, dirigente di Cityfinancial, Franco Guzzi, vertice di Cohn & Wolfe, l’alto dirigente della berlusconiana Mondadori Fiorella Pagani, e Luciano Zocchi, segretario generale di Confimmobiliare. Il comitato scientifico è presieduto dal numero uno Cnr Enrico Garaci. Fra i “soci benemeriti” in prima fila monsignor Giovan Battista Re, presente nella nomenklatura Opus Dei e dunque, in qualche modo, portatore di alleanze con gli interessi terreni del mondo francescano cui fa riferimento Sorella Natura. Non mancano le sorprese (e le strane commistioni politiche) scorrendo l’elenco dei soci benemeriti laici: si va dal sindaco di Milano Gabriele Albertini al primo cittadino della capitale Valter Veltroni. Nè fanno mancare la loro presenza leader di colossi del credito come il governatore Bankitalia Antonio Fazio e il presidente dell’ABI Maurizio Sella. Con loro, Gianpiero Fiorani, amministratore delegato del Gruppo Popolare di Lodi, il presidente di BPM Roberto Mazzotta e il numero uno dello Ior Angelo Caloia.

Direttamente dal governo arrivano il sottosegretario all’Istruzione Guido Possa, il capo di gabinetto al ministero per l’Ambiente Paolo Togni ed il segretario generale della Farnesina Umberto Vattani. Folto lo stuolo di giornalisti e opinion maker, che comprende personalità strategiche come il direttore del Sole 24 ore Ferruccio De Bortoli e quello del Corriere della Sera Paolo Mieli. Ancora, l’ex direttore del Sole Guido Gentili e l’opinionista Ernesto Galli della Loggia. Nel parterre di Sorella Natura figurano inoltre l’imprenditore Diana Bracco, dell’omonimo colosso farmaceutico, il presidente del Conai Gianfranco Faina, ma soprattutto il comandante generale delle Fiamme Gialle Roberto Speciale ed il presidente emerito della Corte costituzionale Antonio Baldassarre. Tre i delegati in Campania: Enzo Ghidini, Valeria Bosso e Bruno Palmieri. 
Oltre alle iniziative nel segno della «corretta cultura ambientale» portate avanti in questi anni (la creazione di un Giurì per l’ambiente, il Premio Sorella Natura per lo sviluppo sostenibile e l’istituzione di un Ente di certificazione etico-ambientale), la Fondazione ha dato vita ad Eticamente, una linea di prodotti finanziari che comprende obbligazioni, carte di credito, conti correnti, libretti di assegni e di risparmio. I bilanci non sono disponibili per la consultazione nel pur ampio sito internet www.sorellanatura.org, ma, viene precisato, «sono a disposizione degli aventi diritto – soci fondatori – nell’area loro riservata».


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