E’
arrivato il momento tanto atteso.
Il presidente degli Stati Uniti George Walker Bush junior è arrivato in
Italia per partecipare, assieme alla moglie Laura, Colin Power e alla
consigliera Condoleeza, all’anniversario della «liberazione» dal
nazifascismo.
Un viaggio, osannato da una parte (governo e alleati) e criticato
dall’altra (sinistra & C.), protetto da uno spiegamento di forze
che non ha paragoni: oltre diecimila tra agenti e militari, cecchini,
elicotteri, caccia militari e addirittura una aereo spia «prestato»
per l’occasione dalla NATO. Il tutto patriotticamente addebitato
sulle nostre già prosciugate tasche.
Ma come sappiamo bene la «liberazione»
ha il suo prezzo. Eccome se lo ha!
Rimaniamo in tema di «liberazione» e «costi», perché a questo punto
è necessario sapere qualcosina in più sul finanziamento al
nazionalsocialismo tedesco. Pochi ne sono al corrente, ma i primi tre
cartelli industriali di Weimar (primi beneficiari dei piani di
ricostruzione postbellica degli Stati Uniti) carbone e acciaio (Vereinigte
Stahlwerke), elettricità (AEG e Osram) e chimica (IG Farben) sono stati
tutti e tre finanziati nientepopodimenoché da Wall Strett; e tutti e
tre, a loro volta, figurano tra i sostenitori di Adolf Hitler.
Avete capito come funziona il giochetto del «Divide et Impera»?
Siamo stati liberati da un regime nazifascista assolutamente deleterio -
e questo nessuno lo nega - ma di chi erano i soldi che hanno permesso a
tale regime di nascere e organizzarsi militarmente? Ognuno a questo
punto tragga le proprie considerazioni…
Tornando ai festeggiamenti in Italia,
devo dire che sono stati rovinati dalle immagini di Papa Giovanni Paolo
II che «accoglie» il presidente statunitense con gli stessi onori (e
scambio di doni) del Dalai Lama. Ora non è il caso di sottolineare le
differenze tra l’ultima incarnazione di Budda e l’ultima
incarnazione dell’oligarchia petrolmilitare statunitense; ma onorare
la visita di colui che ha voluto e realizzato la guerra in Iraq mi
sembra abbastanza grave. Una guerra criminosa assolutamente ingiusta,
basata sulla falsità e l’arroganza, che ha generato oltre diecimila
morti tra i civili, che sta devastando un intero paese mediorientale, e
che ha aumentato, invece di ridurlo, il terrorismo mondiale.
Con quale responsabilità
civile, morale e religiosa, la massima autorità cristiana ha accettato
un simile incontro ufficiale? Stiamo parlando della stessa autorità che
ha criticato i soprusi, le ingiustizie e le angherie di questa guerra, e
che si proclama per la pace mondiale «senza sé e senza ma». Perché
allora il Papa, o chi per esso, non ha rifiutato di incontrare l’«apostolo»
prediletto della guerra preventiva? Quell’«angelo caduto» in Texas
che manda i suoi fedelissimi a catturare il dittatore Saddam Hussein (la
«pecorella» smarrita che aveva iniziato nel 2000 a scambiare il
petrolio in euro)
e che poi per bontà divina si ritrova a controllare tutte le riserve
petrolifere del secondo produttore mondiale dell’O.P.E.C. (gli USA,
guarda caso, acquistavano oltre la metà del greggio irakeno)
Detto questo, occupiamoci un momento dell’OPEC perché in questi
giorni da varie parti ha ricevuto enormi pressioni. L’OPEC è
ufficialmente l’organizzazione dei paesi produttori (ed esportatori)
di petrolio ed è composta da undici membri: Arabia Saudita, Iran,
Venezuela, Algeria, Libia, Kuwait, Nigeria, Iraq, Indonesia, Emirati
Arabi Uniti e Qatar.
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La produzione attuale
giornaliera di questi paesi membri è di 23,5 milioni di barili! Eppure,
nonostante questa altissima cifra, che rende bene l’idea dei costi
della società industrializzata, il mondo occidentale chiede, per non
dire ordina, all’OPEC di aumentare la produzione.
Perché? Semplicissimo, secondo l’AIE – l’Agenzia internazionale
per l’energia –, la domanda di petrolio è cresciuta toccando quota
82,5 milioni di barili di petrolio al giorno!
Il mondo - quello benestante - in questo preciso momento per andare
avanti ha bisogno di «bruciare» quasi 1000 barili di petrolio al
secondo. Per intenderci: mentre leggete solamente questa riga, almeno
5000 barili di oro nero sono stati estratti da qualche parte nel mondo.
Sembra incredibile, ma i dati ufficiali non lasciano spazio a dubbi.
Questo incremento di richiesta, che apre scenari decisamente
preoccupanti, è dovuto all’emergere sul palcoscenico mondiale di
nuove potenze «consumatrici» come Cina (secondo importatore mondiale
di greggio) e India.
Le
minacce sono servite: dal vertice di Beirut l’OPEC ha annunciato che
aumenterà la produzione di 2 milioni di barili da luglio e di un
ulteriore mezzo milione da agosto, per arrivare a quota 26 milioni di
barili al giorno.
Ora sorge un problema: gli undici paesi del cartello stanno estraendo
– a quanto si dice - quasi al 90% delle loro possibilità; quindi il
margine futuro di estrazione è piccolo.
Cosa succederà, quando la richiesta mondiale (in continua e
inesauribile crescita) supererà la massima produzione dell’OPEC &
C.?
Se fino ad oggi si sono fatte le guerre per impossessarsi della risorsa
energetica numero uno (Afghanistan e Iraq sono gli ultimi esempi
calzanti), non è che in futuro si faranno le guerre invece per impedire
addirittura di usare il petrolio?
Potremo vedere gli Stati Uniti - uno stato a caso - muovere guerra alla
Cina, non perché rappresenta l’ultima potenza «rossa» in
circolazione, ma per la pericolosa concorrenza energetica. Quando parlo
di guerra non si deve pensare alle armi atomiche o all’esercito:
esistono oggi nuove forme di attacco molto di più subdole e minacciose:
guerra climatica (vedi H.A.A.R.P.), guerra economica (vedi S.A.R.S.),
ecc.
Prima che si verifichino tali scenari apocalittici, non è forse
arrivato il momento di puntare verso quei sistemi energetici che non
dipendano dalla risorsa più inquinante e costosa del pianeta, il
petrolio? Sistemi quali l’idrogeno, la fusione fredda, l’energia
solare, ecc.
Per
concludere, alla benedizione che il pontefice oggi ha fatto al suo gradito
ospite straniero: «Dio salvi l’America», mi permetto di
aggiungere: «pure il pianeta».
Per approfondire www.disinformazione.it/fonticomunismo.htm
«Il Sole 24 Ore», lunedì 29 marzo 2004
Dal sito ufficiale dell’OPEC: www.opec.org/
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