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L’obbligo delle impronte
Di Marco Giusti 5 aprile 2004 tratto da www.reporterassociati.org

Il programma che impone agli stranieri di essere fotografati e di farsi prendere le impronte digitali all'ingresso negli Stati Uniti è stato esteso ai viaggiatori provenienti dai Paesi che sono fra i più stretti alleati degli Stati Uniti, fra cui l'Italia, che inizialmente erano stati esclusi. La decisione, che ieri è stata annunciata ufficialmente, è contestuale a una richiesta al Congresso di rinviare di due anni l'introduzione dei passaporti biometrici, che doveva scattare il 26 ottobre. La richiesta è stata inoltrata dal segretario di Stato Colin Powell e dal responsabile della sicurezza interna Tom Ridge, dopo avere constatato le difficoltà di molti Paesi, fra cui gli stessi Stati Uniti, di rispettare la scadenza. La doppia decisione, hanno detto, in una conferenza stampa, il numero due di Ridge, Asa Hutchinson, e il responsabile degli affari consolari al dipartimento di Stato Daniel Smith, è stata presa "dopo discussioni e contatti" con i 27 Paesi interessati, alle cui rappresentanze diplomatiche sono state fornite - è stato detto - tutte le spiegazioni necessarie.
Le decisioni riguardano i cittadini di 27 Paesi, fra cui appunto l'Italia, ma anche la Gran Bretagna e numerosi Paesi dell'Ue e della Nato, e ancora l'Australia e il Giappone, che attualmente possono entrare e restare negli Stati Uniti senza un visto per 90 giorni e senza sottoporsi alle procedure d'identificazione richieste agli altri. In base alle norme che entreranno in vigore il 30 settembre, anche i cittadini dei 27 Paesi che finora ne erano esentati dovranno dunque sottoporsi, all'ingresso negli Stati Uniti, attraverso uno qualsiasi dei 115 aeroporti internazionali e dei 14 porti, alle procedure introdotte dopo gli attacchi terroristici dell'11 Settembre 2001 e in vigore dal 5 gennaio.

Dal 30 dicembre le nuove norme si applicheranno anche ai principali posti di confine terrestre. Le procedure d'identificazione comportano l'impronta elettronica digitale dei due indici e una foto con mini-camera digitale. Quando sarà a regime - e ora non lo è - il sistema prevede inoltre un controllo all'uscita, per sapere chi lascia il Paese e per verificare se chi lo lascia sia la stessa persona entrata con quel passaporto. Gli italiani e i cittadini degli altri 26 Paesi devono già sottoporsi alle procedure previste se entrano negli Stati Uniti con un visto per soggiorni di lavoro o superiori ai 90 giorni. Ogni anno, si calcola, entrano negli Stati Uniti 13 milioni di viaggiatori esenti da visto e 19 milioni che ne hanno bisogno. I responsabili delle frontiere statunitensi pensano di potere gestire l'aumento di lavoro senza creare disagi e lunghe attese alle frontiere. Per questo, dice Hutchinson, non sono state previste ulteriori assunzioni.
A questo punto, solo i cittadini canadesi, per i quali valgono le intese particolari Usa-Canada, i lavoratori messicani frontalieri e i diplomatici potranno entrare negli Stati Uniti senza dovere lasciare le impronte degli indici e senza essere fotografati. C'è naturalmente l'ipotesi, che i responsabili americani tendono però a minimizzare, che alcuni Paesi adottino, come ha già fatto ad esempio il Brasile, misure equivalenti verso i cittadini statunitensi che si presentano alle loro frontiere. Hutchinson e Smith, nella loro conferenza stampa, hanno molto insistito sull'importanza che Washington attribuisce ai rapporti con i Paesi ora colpiti e al desiderio di mantenere il flusso di visite e di contatti, ferma restando la priorità delle esigenze di sicurezza degli Stati Uniti.
I 27 Paesi interessati al provvedimento sono: Andorra, Australia, Austria, Belgio, Brunei, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Islanda, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Singapore, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera.

Marco Giusti (Giornalista, "America Oggi")

 
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