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A Bologna la «Laurea honoris causa» a Noam Chomsky. E il suo intervento diventa un atto d'accusa ai media Usa
La
grammatica del pensiero critico
Linda Chiaramonte
- Il
Manifesto 5 aprile 2005
Noam
Chomsky arriva in un'aula Magna piena come un uovo di studenti e quando
entra scatta un lungo, lunghissimo applauso. Il linguista, classe 1928,
considerato una delle figure intellettuale di riferimento della sinistra
americana, è stato invitato per tenere una lezione su Mass media e
terrorismo alla facoltà di Psicologia di Bologna. La stessa che nel
pomeriggio gli ha conferito la Laurea ad Honerem. Nel 1968 la stessa
aula Magna ospitò un altro intellettuale scomodo: Jean Paul Sartre.
Parla a braccio, Chomsky. «Gli Usa sono uno dei principali paesi
terroristi - esordisce senza mezzi termini - ma nessuno può perseguirli
per atti di terrorismo internazionale». A proposito di Iraq ricorda che
«nel 1982 il paese fu tolto dalla lista dei paesi minaccia per gli
Stati Uniti; all'epoca gli Usa mandavano aiuti militari all'Iraq per
supportare l'industria bellica di Saddam, quando l'Iraq fu tolta da
quella lista restava un buco e nell'elenco fu messa Cuba che aveva tutte
le potenzialità per farne parte. Gli aiuti degli Usa all'Iraq
continuarono anche quando Saddam compiva atrocità contro i curdi. Nel
2002 - continua - fu deciso l'attacco all'Iraq perché stava sviluppando
armi di distruzione di massa e malgrado il governo abbia ammesso che non
era vero metà della popolazione americana continua a crederci, questo
dimostra l'efficacia dei media. Il motivo per cui gli Usa creano
attraverso questi mezzi una situazione di continua minaccia, è perché
negli ultimi 25 anni il potere salariale è diminuito, e il solo modo
per far accettare tutto questo alla gente è farla sentire continuamente
minacciata, distratta dalle sue preoccupazioni».
Parole pesanti come macigni, che non risparmiano neanche gli
intellettuali europei («in questi giorni - sostiene - sono rimasto
colpito nel vedere quanto siano subordinati gli intellettuali europei
rispetto agli Usa»). Parla di violazioni di diritti umani, tema a lui
caro, da parte del suo paese preoccupato per la difesa della cultura
della vita e che ha cavalcato mediaticamente la vicenda Terry Schiavo,
senza però preoccuparsi dei bambini che muoiono per malnutrizione.
Dopo questo intervento nel pomeriggio si è svolta la cerimonia
ufficiale per il conferimento della laurea in Psicologia. Poi, in un
incontro «ravvicinato», Chomsky ha acconsentito di commentare la morte
del Papa. Gli viene ricordato che durante la visita romana di Bush lo
scorso giugno il Papa usò toni fermi per esprimere la sua contrarietà
alla guerra in Iraq. Ma poco si è saputo se Bush ha cercato di «giustificare»
con il suo elettorato questa forte condanna del Papa. «In realtà a
Bush non interessava assolutamente, o interessava poco il consenso del
Papa alla guerra. Le critiche del Vaticano sono state pressoché
ignorate dai media statunitensi. In realtà gran parte di ciò che il
Papa ha detto durante il suo pontificato non è stato pubblicato negli
Usa, perché le sue prese di posizioni sono state giudicate troppo
critiche nei confronti del capitalismo. Voglio dire che quando critica
il comunismo va bene e lo pubblicano, ma spesso nei suoi messaggi oltre
a criticare il comunismo fa appelli per la libertà e critica anche il
consumismo, il materialismo, il capitalismo, la barbarie. Questo fa sì
che sia stato praticamente escluso dai media statunitensi».
Dunque, il primo problema negli Stati uniti è il controllo dei media.
Ma c'è una qualche differenza tra la realtà statunitense e quella
europea? «L'Europa e gli Stati Uniti - afferma Chomsky - non sono poi
molto diversi. Negli Usa la maggior parte dei media sono essenzialmente
aziende, corporation, o parte di corporation ancora più grandi. I loro
omologhi in Europa, i principali quotidiani internazionali, sono in gran
parte aziende che vendono un pubblico privilegiato ad altre aziende e
non è sorprendente se l'immagine del mondo che presentano riflette
l'interesse degli acquirenti, dei venditori. Ci sono altri fattori, ad
esempio i forti legami con il governo. C'è un grande interscambio tra
il governo, i media, il mondo economico, il mondo accademico. Esiste una
sorta di classe politica in tutti i paesi, circa il 20% della
popolazione, attivamente coinvolta in una qualche forma di gestione,
politica, economica o accademica dei media e nell'ambito di questa
classe ci sono più o meno gli stessi interessi. Voglio dire che
condividono ampiamente gli stessi interessi, quelli dei privilegiati che
sono al potere e le loro pressioni esterne sui media tendono a condurre
i mezzi di comunicazione in una certa direzione».
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