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- Dopo
        l'11 settembre 2001
        - Nuovo Ordine Mondiale
Neoimperialismo
        di
        Ignacio Ramonet, «Le Monde Diplomatique», Paris, n. 590
        (traduzione dal francese di José F. Padova) – tratto da www.osservatoriomonopoli.it
        Presa senza neppure consultare i membri fantasma della «coalizione»,
        questa decisione di nominare un ufficiale superiore per gestire un Paese
        vinto ricorda spiacevolmente le antiche pratiche del tempo degli imperi
        coloniali. Come non pensare a Clive che governa l’India, a Lord
        Kitchener che comanda in Sud Africa o a Lyautey che amministra il
        Marocco? E dire che si credeva questi abusi fossero condannati per
        sempre dalla morale politica e dalla storia.
        Tutto questo non c’entra, ci si dice, occorre piuttosto confrontare
        questa «transizione in Iraq» con l’esperienza del generale Douglas
        McArthur in Giappone dopo il 1945.
        Non è ancora più inquietante? Non c’erano volute le distruzioni
        atomiche delle città di Hiroshima e di Nagasaki, insomma quasi
        un’Apocalisse, perché l’America decidesse di nominare un generale
        quale amministratore di una potenza rivale vinta? In un’epoca nella
        quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) non era ancora in
        funzione.
        Adesso l’ONU esiste, almeno in teoria (2). E l’invasione dell’Iraq
        da parte delle forze americane (con i loro complementi britannici) non
        conclude in nessun modo una qualsiasi terza o quarta guerra mondiale…
        A meno che il presidente George W. Bush e il suo entourage non
        considerino gli attentati dell’ 11 settembre 2001 come l’equivalente
        di un conflitto mondiale…
        Certo il generale Garner ha fatto capire che questa occupazione non
        sarebbe eterna: «Resteremo per il tempo necessario, ha
        affermato, e partiremo il più rapidamente possibile (3)». Ma la
        storia ci insegna che questo «tempo che ci vorrà» può durare a
        lungo. Dopo aver invaso le Filippine e Porto Rico nel 1898, con il
        pretesto altruista di “liberare” quei territori e le loro
        popolazioni dal giogo coloniale, gli Stati Uniti passarono molto in
        fretta a sostituire l’antica potenza dominante. Dopo aver represso i
        resistenti nazionalisti, non lasciarono le Filippine che nel 1946,
        continuando sempre ad intervenire negli affari del nuovo Stato e
        sostenendo, ad ogni elezione presidenziale, il candidato di loro scelta,
        fra cui il dittatore Ferdinando Marcos, che rimase al potere dal 1965 al
        1986… E continuano ad occupare Porto Rico… Perfino in Giappone e in
        Germania, cinquant’anni dopo la fine della guerra, la presenza
        militare americana resta imponente.
        Vedendo sbarcare a Bagdad questo generale Garner e il suo gruppo di 450
        amministratori, non ci si poteva impedire di pensare che gli Stati
        Uniti, in questa fase neo imperiale, riprendevano a loro carico quello
        che Rudyard Kipling ha chiamato «il fardello dell’uomo bianco».
        O che le grandi potenze, dal 1918, qualificavano come «missione
        sacra di civilizzazione», riferendosi a popoli incapaci «di
        dirigere sé stessi nelle condizioni particolarmente difficili del mondo
        moderno (4)».
        Il neo imperialismo degli Stati Uniti rinnova la concezione romana di un
        dominio morale – fondato sulla convinzione che libero scambio,
        mondializzazione e diffusione della civiltà occidentale vanno bene per
        tutti -ma anche militare e mediatico, esercitato su popoli considerati
        più o meno come inferiori (5).
        Dopo il rovesciamento dell’odiosa dittatura, Washington ha promesso di
        stabilire in Iraq una democrazia esemplare, la cui influenza, sotto
        l’impulso del nuovo Impero, porterà alla caduta di tutti i regimi
        autocratici della regione. Ivi compreso, assicura James Woolsey (6), ex
        direttore della CIA e vicino al presidente Bush, quelli dell’Arabia
        Saudita e dell’Egitto…
        È credibile una simile promessa? Evidentemente no. Donald Rumsfeld,
        ministro della Difesa, si è d’altra parte affrettato a precisare che
        «Washington rifiuterà di riconoscere un regime islamico in Iraq,
        anche se fosse il desiderio della maggioranza degli iracheni e
        riflettesse il risultato delle urne (7)». È una vecchia lezione
        della storia: l’Impero impone la sua legge al vinto.
        Tuttavia ce n’è un’altra: chi di Impero vive di Impero perisce.
        
        (1) Inventato alla fine della guerra 1914-18, il regime del «mandato»
        sostituì quello del «protettorato», termine considerato dal
        presidente americano Woodrow Wilson come troppo colonialista…
        (2) Anche se alcuni dei «falchi» più fanatici di Washington, quali
        Richard Perle, ne annunciano già la «caduta».
        (3) El Pais, Madrid, 22 aprile 2003
        (4) Cfr. Yves Lacoste, Dictionnaire de géopolitique, Flammarion,
        Paris, 1993, p. 964
        (5) Riguardo a ciò l’atteggiamento di Francia e Germania, che si
        oppoenvao alla guerra contro l’Iraq, ha permesso di evitare che, in
        seno alle opinioni pubbliche arabe questo conflitto apparisse come
        l’espressione di uno «scontro di civiltà».
        (6)
        International Herald Tribune,
        Paris, 8 avril 2003
        (7) El Pais, op. cit.