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- Pagina dopo l'11 settembre

Il vero motivo della presenza italiana a Nassiriya
Di Elio Veltri e Paolo Sylos Labini – tratto da www.democraziaelegalità.it
Visto su «Orizzonti Nuovi» nr.5 marzo 2004

Lo scopo di questo articolo non è quello di ribadire la posizione che abbiamo sostenuto durante la guerra e contro l’invio del contingente italiano in Iraq. Né di polemizzare con gli amici del «triciclo», anche se riteniamo che avrebbero fatto bene a votare contro. Ci interessa, invece, informare i lettori e commentare un fatto che riteniamo di grande rilevanza. Nel libro «La guerra del petrolio» (Editori Riuniti), l’autore, Benito Li Vigni, entrato all’ENI con Mattei e rimasto nel gruppo fino al 1996, ricoprendovi posizioni di grande responsabilità, a proposito di Nassiriya scrive: «La presenza italiana in Iraq, al di là dei presupposti ufficialmente dichiarati, è motivata dal desiderio di non essere assenti dal tavolo della ricostruzione e degli affari. Questi ultimi riguardano soprattutto lo sfruttamento dei ricchi campi petroliferi.  
Non a caso il nostro contingente si è attestato nella zona di Nassiriya dove agli italiani dell’ENI il governo iracheno, pensando alla fine dell’embargo, aveva concesso – fra il 1995 e il 2000 – lo sfruttamento di un giacimento petrolifero, con 2,5-3 miliardi di barili di riserve: quinto per importanza tra i nuovi giacimenti che l’Iraq di Saddam voleva avviare a produzione
». Per completare l’informazione, va detto che contratti analoghi il regime iracheno aveva sottoscritto con Francia, Russia e Germania, contrarie alla guerra. Il contratto con l’ENI era particolarmente favorevole all’Italia per due ragioni: i costi di estrazione che la società di bandiera avrebbe dovuto affrontare sarebbero stati scontati con la produzione del petrolio estratto; una volta ammortizzati i costi, la produzione seguente, sarebbe stata divisa a metà tra ENI e Governo Iracheno. L’Operazione era importante a tal punto che uno dei più autorevoli giornali americani, commentandola, aveva scritto che se fosse andata in porto, l’ENI sarebbe diventata la più grande compagnia petrolifera del mondo.

Resta da capire perché, dopo aver concluso la trattativa durata cinque anni, l’ENI non abbia cominciato a trivellare i pozzi. La risposta è legata alla decisione di Saddam di attendere la fine dell’embargo, per la quale aveva chiesto l’aiuto e l’intervento italiano, francese e tedesco presso la presidenza degli Stati Uniti, dichiarandosi anche disponibile, ciò che fece, a immettere sul mercato due milioni di barili al giorno per evitare l’aumento del prezzo del greggio. A questo punto qualche domanda è d’obbligo e riguarda l’attuale governo:  

1)     Era a conoscenza del contratto ENI-Saddam? Essendo il presidente dell’ENI, Poli, persona molto vicina al Cavaliere, non ci sono dubbi che il governo sia stato informato;
2)     Gli americani, che sono i veri dòmini della situazione in Iraq e decidono chi deve partecipare agli affari, hanno confermato al nostro governo l’impegno iracheno cui campi petroliferi di Nassiriya?
3)     Se così fosse, è lecito chiedere in cambio di cosa?
4)     Forse, in cambio dell’impegno del governo di sostenere l’intervento americano in Iraq e di inviare e mantenervi i nostri soldati?
5)     La Francia che pure ha interessi analoghi ai nostri, non si è fatta tentare, perché tiene alla sua autonomia più di ogni inconfessabile interesse: perché noi siamo tanto subalterni?

Non sarebbe utile che il centro sinistra chiedesse al governo di parlarne (…) alla Camera? Augurandoci che il governo faccia piena luce sull’argomento, anche per il rispetto che tutti dobbiamo ai 19 morti di Nassiriya (…)

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Ulteriori conferme della presenza dell'ENI a Nassiriya ci arrivano da un'Ansa del 22 marzo 2003!

Iraq: la mappa del petrolio, forte Total, fuori USA e GB
Ansa 22 marzo 2003 ore 15:10

ROMA - Riserve di petrolio certe e probabili per 130 miliardi di barili, che mettono l'Iraq al terzo posto per importanza dopo quelle di Arabia Saudita e Russia. Una ricchezza dalla quale sono, per ora, escluse le grandi compagnie anglo-americane e che vede, invece, tra quelle meglio piazzate, la franco-belga Totalfinaelf. Ma, ovviamente, la guerra potrebbe cambiare questa situazione. L'Eni e' in tratattive, insieme alla spagnola Repsol, per il giacimento di Nassiriya. A fare la mappatura del petrolio iracheno e' uno studio del Royal Institute of International Affairs, pubblicato dalla Staffetta petrolifera.
Secondo lo studio, che sara' presentato ufficialmente al Rome Energy Meeting di giovedi' 27 marzo, l'anno scorso l'Iraq ha estratto 2,5 milioni di barili di petrolio, il 2% della produzione mondiale. Ma questa quota potrebbe raddoppiare e arrivare in 5-10 anni fino al 6-7% una volta eliminate le sanzioni Onu e a condizione che si riuscisse a fare investimenti per piu' di 20 miliardi di dollari.
Totalfinaelf e' una delle compagnie piu' attive nel paese e ha firmato con Baghdad accordi preliminari per lo sfruttamento di giacimenti per un totale 10 miliardi di barili, in grado di raddoppiare le riserve a disposizione del gruppo. Presente la Russia, ma le sue societa' hanno avuto problemi, come e' successo alla Lukoil, per la cooperazione energetica con gli Usa. Piu' avvantaggiate le compagnie giapponesi e di paesi come Cina, Vietnam, Turchia e Siria. Per quanto riguarda l'Italia lo studio cita il giacimento di Nassiriya per il quale ha avviato negoziati insieme alla spagnola Repsol.
Ecco la mappatura degli accordi e dei contratti in atto o che le diverse compagnie stanno negoziando per i giacimenti iracheni, con le riserve di ciascuno in miliardi di barili:

GIACIMENTO RISERVE COMPAGNIA
Majnoon                       10-30          Totalfinaelf
West Qurna Phase II     15               Lukoil/Zarubezhneft
                                                     Mashinoimport
Nahr Bin Omar              6                Totalfinaelf
Nassiriya                   1,9             ENI/Repsol
Halfaya                     2,5-4,6          Bhp,Cnpc,South Korean
                                                    Korean Consortium
Ratawi                       1-3,1            Shell/Nexen/Petronas
                                                    Crescent
Suba-Luhais                2,2             Mashinoimport/Salvneft
Tuba                        0,1-1,5          Ongc/Sonatrach/Reliance
                                                   Pertamina
Gharaf                         1              Tpao/Japex
Khurmala                     1              Stroyexport/Bow Canada
Rafidain                   0,3-0,68
Al-Ahdab                     0,2            Cnpc
Amara                     0,2-0,48         PetroVietnam
West Qurna Phase 1      0,4            Zarubezneft
West Qurna Ds6            0,2            Bashneft
Western Desert Bloc 3      2             Pertamina
South Rumalia Mishrif     0,4            Tatneft
North Rumalia Mishrif     0,4            Mashinoimport
Hemrin                          0,2            Stroyexport/Bow Canada
Zubair Mishrif                 0,2            compagnie locali. 


22/03/2003 15:10
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Eni, si apre la via ai pozzi iracheni

Questo il titolo di un articolo apparso sul SOLE 24 ORE dell’8.02.2003
“Il pieno sostegno del Governo Berlusconi alle posizioni degli USA e della GB sulla Guerra all’Iraq …. potrebbe generare importanti ricadute economiche a favore dell’ENI (di cui il Ministero del Tesoro decide ancora dirigenti e politiche, essendo proprietario del 30% delle azioni) ….se la guerra si dovesse fare – prosegue l’autore dell’articolo - si porrebbero le condizioni per l’ingresso del cane a sei zampe in territorio iracheno.
L’eventuale caduta di Saddam aprirebbe la strada ad una collaborazione delle grandi compagnie, secondo uno schema già collaudato in altri Paesi produttori. In questo quadro troverebbe spazio anche l’Eni.”.
E’ chiaro a tutti che uno dei motivi principali (non il solo) di questa guerra è il petrolio.
Un quantitativo enorme di petrolio.
Con opportuni investimenti l’Iraq è in grado di produrre l’equivalente di 5 milioni di barili al giorno, con questo si porrebbe al quarto posto dei produttori mondiali di petrolio, dopo l’Arabia Saudita (8,5 milioni), USA (8 milioni) e Russia (8 milioni), e davanti a Paesi come Iran, Messico, Norvegia e Venezuela.
Una grande ricchezza da dividere fra i vincitori della Guerra.
Il Governo Berlusconi e i vertici dell’Eni sono sicuramente  interessati all’affare.
L’Eni in quell’area è presente in tutti i Paesi che affacciano sul Mar Caspio.
E’ presente in  Iran, con un progetto da 2 Miliardi di dollari per lo sviluppo di un giacimento di gas e condensati, in Azerbaijan, nel Governatorato dell’Astrakhan (Russia Meridionale),  in Kazakhstan, dove coopera allo sviluppo del giacimento supergigante di Karachaganak o nelle acque poco profonde dell’offshore kazako, dove è in fase avanzata di perforazione il promettente giacimento di Kashagan dove l’ENI è operatore unico (1,2 milioni di barili al giorno nel 2005, secondo l’Eni stessa), in Turkmenistan, dove partecipa ad un blocco esplorativo ereditato dalla Lasmo (società inglese acquisita dall’Eni nel dicembre 2000).
Un’eventuale presenza dell’Eni a Baghdad insieme alle supermajor (Exxon Mobil,Chevron Texano, Bp Amoco, Shell, TotalFinaElf), completerebbe dunque la mappa delle relazioni tessute dal gruppo Eni in questa parte del mondo.    
La guerra non va fatta anche in nome e per conto della più grande azienda petrolifera italiana             

No alla guerra del petrolio
Fuori l’Italia dalla guerra

 
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