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- Pagina cambiamento climatico
Il
mutamento climatico dell’informazione
di Carlo Bertani - 20 maggio 2007
Lascio
poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere
bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù…le
quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade
troppo sovente tra compagni di sventura.
I polli di Renzo, da I
Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Non
passa giorno che l’informazione di regime non ci propini il solito
bollettino di guerra sul mutamento climatico: oggi la penuria d’acqua,
domani le previsioni apocalittiche sul prossimo secolo, dopodomani la
lista delle città che spariranno sott’acqua.
Prima d’entrare nel merito della questione, salta agli occhi (e puzza)
questo improvviso interesse per un fenomeno che – fino all’altro
ieri – veniva praticamente negato.
Stanno cercando di recuperare il tempo perduto, giacché sul Web se ne
discute da anni: troppo tempo trascorso a seguire il Festival di Sanremo
ha fatto loro sfuggire la grande notizia. Oggi trattano la cosa con lo
stile di sempre: scenderanno gli orsi polari! Saliranno le balene! Il
festival del mutamento climatico.
Forse, la “molla” che ha scatenato l’interesse dei media è stata
la scorsa stagione invernale: mesi nei quali temperature quasi
primaverili ha spodestato freddo e neve. E qui compiono il primo errore.
Il
prossimo inverno potrebbe rivelarsi rigido, ventoso e nevoso, ma non per
questo indicherebbe l’inesistenza del mutamento climatico: clima e
meteorologia sono legati, ma sono fenomeni distinti!
La confusione dell’informazione di regime ha mostrato tutta la sua
insipienza quando l’Insetto ha deciso d’affrontare l’argomento:
dopo aver invitato fior d’esperti, ha occupato mezza trasmissione a
setacciare le previsioni meteorologiche per la prossima estate.
C’è l’evidente necessità di non allarmare troppo la popolazione, e
allora si passa alla gestione “casereccia” del mutamento climatico:
signora, da lei fa caldo? Un caldo asfissiante, dottor Vespa. Eh sì,
c’è il mutamento climatico. Ha comprato un climatizzatore? Ne abbiamo
cinque, dottore. Eh, va beh…passerà anche questo mutamento
climatico…
Lasciamoli
sulla loro strada, che porta – come sempre – al deserto: nel deserto
c’è tanta sabbia, e la sabbia serve per coprire ciò che non fa
comodo rivelare…oh come serve…
La seria “querelle” del mutamento climatico parte da due posizioni:
chi lo ammette e chi lo nega. Chiariamo che nessuno è in grado di
dimostrare niente: non esistono modelli del clima in grado di definire,
senza ombra di dubbio, cosa capiterà al mutare di una variabile.
La scienza si nutre di certezze, non di mezze verità e, in questo
frangente, non ha una legge, equazione o modello dinamico
sufficientemente preciso per interpretare un sistema
chimico-fisico-biologico enorme e complesso come l’intero pianeta.
Tuttavia, ci sono alcuni “punti fermi” sui quali sarebbe meglio
riflettere: non sappiamo quali potranno essere gli effetti dello
scioglimento dei ghiacci polari, però quei ghiacci si stanno
sciogliendo ad una velocità che non è quella degli scorsi decenni.
Sappiamo
che alcuni gas, come l’anidride carbonica, riflettono la radiazione
infrarossa e ne impediscono la riflessione verso l’infinito: non
sappiamo fino a che punto questo fenomeno può influenzare il clima, ma
sappiamo che per 20 milioni di anni la concentrazione della CO2
nell’atmosfera è stata compresa fra 170 e 280 PPM[1],
mentre oggi è di 376 ed aumenta di 1,5 PPM l’anno.
Gli scienziati affermano, per l’Europa, che la tendenza per i prossimi
decenni sarà l’aumento delle precipitazioni nelle aree settentrionali
e la diminuzione in quelle meridionali. Alcuni dati sembrano confermare
l’affermazione: le recenti alluvioni nell’Europa Centrale, la
tempesta (o uragano) Kyrill dello scorso Gennaio è stata un fenomeno
nuovo e praticamente sconosciuto a quelle latitudini. Inoltre, la
carenza idrica italiana non è più “un’emergenza” – intendendo
con il termine un evento eccezionale – poiché da anni le sorgenti
stanno diminuendo le loro portate, segno che le falde acquifere sono
meno ricche d’acqua.
Ci
sono altri, innumerevoli segnali che qualcosa sta cambiando: l’aumento
dell’energia delle tempeste tropicali, lo sconvolgimento delle
migrazioni degli uccelli, delle mute del pelo negli animali…insomma,
un quadro d’indizi sui quali non si possono enunciare teorie, ma che
dovrebbe far riflettere.
Siamo abituati a ricevere dalla scienza risposte certe: oggi, non
digeriamo che la scienza possa tracciare delle ipotesi ma non riesca ad
andar oltre. Non per questo bisogna arrendersi: ricordiamo che – per
secoli – l’antitesi al pensiero scientifico fu il dogma. La scienza
sarà pure una strada piena di buche, ma l’alternativa è accettare
per oro colato le esternazioni di chi urla più forte.
Ci
sono però delle voci discordanti, poiché non ritengono –
correttamente – che il quadro degli indizi sia sufficiente per
sostenere che un mutamento climatico generato dall’uomo sia in atto.
E’ giusto ascoltare tutte le voci e dibattere, altrimenti torneremmo
ai tempi di Galileo.
Una “corrente” di pensiero afferma che il mutamento climatico esiste
ma non è da imputare all’uomo, bensì a cause naturali: secondo
queste ipotesi, due secoli d’anidride carbonica generata dalla
combustione dei fossili (carbone, petrolio e gas) non hanno significato,
poiché il ciclo del Carbonio naturale ha “numeri” enormi.
Sostengono inoltre – e a ragione – che
Sono
verità sacrosante: pensiamo alle glaciazioni od al molto probabile
adattamento d’animali tropicali – la tigre siberiana, ad esempio –
ai climi freddi.
Come i sostenitori del mutamento climatico d’origine antropica, anche
coloro che lo negano non possono dimostrare nulla: non si va oltre –
in entrambi i casi – ad un quadro d’indizi, e sappiamo quanto siano
forieri d’errori giudiziari i processi che si basano su indizi e non
su prove e testimonianze dirette.
Un marginale “mutamento” naturale – ipotizzando l’aumento del
livello dei mari di un metro, fatto quasi insignificante nello svolgersi
delle ere geologiche – porterebbe alla scomparsa di Manhattan, del
Bangladesh, dell’Olanda, di Venezia, ecc. In altre parole, un
mutamento – naturale o generato dall’uomo – che conducesse a
simili trasformazioni, metterebbe seriamente a rischio la sopravvivenza
della specie, perché sarebbe accompagnato – contemporaneamente –
dalla desertificazione d’ampie aree del pianeta.
Nessuno
può però negare che l’uomo, immettendo nell’atmosfera miliardi di
tonnellate d’anidride carbonica, compie un atto che modifica nella
stessa direzione gli eventi: il mutamento “naturale” e quello
“artificiale” andrebbero a sommarsi.
Ciò che insospettisce sono spesso le “soluzioni” prospettate per
non emettere CO2: il ritorno al nucleare.
Ora, il nucleare non è l’anticamera dell’Inferno, ma la stessa IEA[2]
afferma che la quantità d’Uranio disponibile nel pianeta è valutata
in 40-80 anni, secondo i costi d’estrazione e di raffinazione del
minerale, che determinano ovviamente differenti costi di produzione del
KW elettrico.
Stupisce osservare che, se da un lato si scomodano ere geologiche
lontane centinaia di milioni di anni per sostenere che
Inoltre,
come non considerare che negli ultimi due secoli abbiamo estratto e
bruciato l’energia immagazzinata nei fossili in milioni d’anni?
Carbone, petrolio e gas sono – in definitiva – energia solare
“condensata” naturalmente durante intere ere geologiche. Il carbone
– durante il Carbonifero – era foresta: come cresce una foresta?
Grazie all’energia del Sole.
Affermare che l’aumento di 1,5 PPM l’anno della CO2 sia
un evento del tutto naturale – dopo “l’indigestione” degli
ultimi due secoli – ci sembra alquanto azzardato anche se, e questo
vale per tutti, ci muoviamo sempre in un quadro d’indizi.
Forse – se siamo ancora in tempo per trovare una soluzione – sarebbe
meglio attuare rapidamente piani di risparmio energetico ed attrezzarci
per ricavare l’energia che ci serve dal mondo naturale: le tecnologie
ci sono, basterebbe attuarle. In altre parole, l’elementare principio
di prudenza dovrebbe avere il sopravvento sulla gazzarra delle
previsioni basate su semplici indizi.
Un’altra
posizione sostiene invece che l’intero sistema solare si sta
riscaldando, e porta come prove lo scioglimento delle calotte polari di
Marte e l’innalzamento della temperatura su Plutone.
Contemporaneamente, affermano che la radiazione solare è diminuita del
22% negli scorsi decenni – altre fonti sostengono che è rimasta
costante – e ne deriva un quadro assai contraddittorio.
Pur ammettendo che questa ipotesi dovrebbe essere approfondita e
studiata con attenzione, sorge un dubbio: incontriamo enormi difficoltà
per stabilire se il riscaldamento della Terra sia d’origine antropica
o naturale, e vogliamo sostenere che è l’intero sistema solare a
riscaldarsi?
Non siamo in grado di stendere un modello climatico convincente per il
nostro pianeta e ci azzardiamo a definirlo per gli altri? Non sappiamo
nemmeno – con certezza – se le calotte polari di Marte siano
composte d’anidride carbonica o ghiaccio, conosciamo assai poco
Plutone e spariamo sentenze?
E
poi, chi fornisce i dati?
C’è
poi chi sostiene che il mutamento climatico non esiste o è
trascurabile, e tutto il clamore che si sta creando attorno ad esso
deriva dalle mire geopolitiche delle grandi potenze. L’argomento è
interessante e merita d’essere approfondito, anche se è tutto fuor
che una novità.
La tentazione di governare gli equilibri maltusiani è forte: sono le
teorie “proibite” d’alcuni settori scientifici “vicini” ad un
darwinismo estremo e mal interpretato (Darwin fu amico di Marx!), ma è
soprattutto il “sogno nel cassetto” delle ex potenze coloniali.
Società con un’età media molto elevata, come quelle europee,
osservano di malgrado i loro dirimpettai africani ed asiatici con nugoli
di figli, vitali e volonterosi. Se ci riescono, li catturano e li
rendono schiavi: come? Fomentando ad hoc mille piccole guerre
dimenticate, che carpiscono come sanguisughe le già scarse ricchezze di
quei luoghi.
Quando,
infine, quei giovani si stancano di sopravvivere in posti dove puoi
soltanto sperare di giungere vivo al giorno seguente – senza ammalarti
privo di cure, senza morire “sparato”, accoltellato, massacrato in
mille modi – e fuggono sui barconi il gioco è fatto: basta modificare
il nome delle navi – da “vascello negriero” a “barcone carico
d’extracomunitari” – e si scodellano migliaia di schiavi da
utilizzare nei lager della morte che chiamiamo “cantieri edili”,
oppure nelle piantagioni di cot…pardon, di pomodori, che definiamo
“agricoltura estensiva”.
Il gioco riesce bene soprattutto con l’Africa e con qualche paese
asiatico e sudamericano, ma non dappertutto la ciambella nasce con il
buco.
Da qualche parte, quei maledetti extracomunitari si radicano, scacciano
gli squadroni della morte e cercano di vivere normalmente.
“Normalmente”, significa lavorare e produrre beni. In qualche posto
iniziarono già decenni or sono, costruendo bambole di pezza e
giocattoli di legno: “cineserie”, e ci ridevamo sopra.
A
forza di vendere bamboline, trovarono i soldi per mandare i figli a
scuola – e quelli a scuola ci vanno seriamente, mica come i nostri
che, siccome sanno che una “Velina” guadagna cento volte lo
stipendio di un ricercatore, non s’ammazzano certo sui libri – e
prese forma la loro classe dirigente.
L’istruzione è alla base di questi processi: un amico missionario mi
raccontò personalmente come andò la de-colonizzazione della Tanzania.
Quando gli inglesi se ne andarono, nel paese c’erano 8 laureati: 7
medici ed un letterato. V’erano inoltre circa 150 diplomati, quasi
tutti maestri elementari: non c’era nel paese un solo farmacologo, un
geometra, un chimico, un ragioniere…niente. Se si “richiamavano” i
maestri elementari per le cariche di governo ed amministrative, veniva a
mancare l’importantissima istruzione nei villaggi: non una “coperta
corta”, una coperta inesistente.
In
alcuni grandi paesi, invece, l’istruzione era ampia e generalizzata:
nella meritocratica e stalinista Cina, ma anche nell’India che seppe
amalgamare il meglio dei sistemi scolastici inglese e sovietico.
Improvvisamente, un bel mattino, l’Europa – che si beava della
sconfitta dell’Orso russo – si svegliò inondata da prodotti
tessili, metallurgici ed elettronici costruiti in Oriente. E
funzionavano pure. Negli USA, la “novità” condusse milioni di
lavoratori al salario minimo sindacale, che supera di poco i 6 dollari
l’ora.
Dalla Flint raccontata da Michael Moore, alle nostre ex capitali del
tessile e del metallurgico – che chiunque di noi può raccontare –
fu un susseguirsi di crolli, di capannoni abbandonati, di ex grandi
strutture che diventavano il paradiso dei topi. E le popolazioni
s’impoverivano, perché quella del “terziario avanzato” è una
colossale frottola, buona soltanto per chi se la vuole bere. Ovviamente,
chi progetta beni innovativi e tecnologicamente avanzati avrà qualche
possibilità in più, ma – senza una vera industria – si finisce
inevitabilmente in una sorta di novella “guerra dei poveri”, nella
quale gli attori sono ex ricchi decaduti. I nostri padri sono stati in
grado di crescerci con sufficienti agi e (soprattutto) ampie sicurezze:
possiamo affermare che stiamo offrendo ai nostri figli le stesse
opportunità?
La
tentazione di “raddrizzare” il naturale svolgersi di un fenomeno
vecchio come il mondo – società giovani e dinamiche che s’impongono
su quelle vecchie e decadenti – passa anche per il mondo scientifico e
politico. Alla finanza no: ai banchieri, fare soldi in Cina, in Romania
od in Francia non muove un capello, sempre soldi sono. L’imprenditoria
segue a ruota la finanza, anche se è meno “duttile”, poiché
l’imprenditore deve valutare anche altri aspetti, soprattutto quelli
legati all’essere umano (inteso come “risorsa umana” efficiente)
ed alla logistica.
La “forzatura” del fenomeno è tutta qui: se riusciamo a governare
gli equilibri maltusiani, mandiamo all’aria tutti i progetti egemonici
di Cina ed India oggi, dell’Iran e del Brasile domani. Per ottenere il
risultato, tutto fa brodo: dalla paventata deflagrazione del pianeta a
causa dell’incremento demografico (mai avvenuta), al mutamento
climatico, ma c’è di peggio.
Edward
Luttwak, consigliere di Bush (figlio), verso la metà degli anni ’80
fece un’affermazione sinistra: l’Africa (a quel tempo) ha circa
mezzo miliardo d’abitanti, ma per far funzionare le industrie
estrattive necessarie all’Occidente basterebbe una popolazione pari ad
un decimo. E gli altri? Li dobbiamo mantenere con gli aiuti
internazionali. Proprio in quegli anni, l’AIDS scopriva i denti e
mostrava quanto era pericolosa. Cosa balenò in mente a Luttwak?
Beh…visto che ce li dobbiamo mantenere…se l’AIDS ci dà una
mano…
In Italia, l’intervista fu pubblicata dal mensile RID e scoppiò una
breve e sopita polemica su quelle esternazioni. Oggi, la situazione
nigeriana ci mostra quanto sia esplosiva la convivenza fra le holding
energetiche – la solita mentalità da rapina tardo-coloniale – e le
popolazioni del luogo.
Le
teorie di Luttwak trovarono seguito? Sul piano formale, ovviamente,
silenzio assoluto, ma fin quando un’azienda farmaceutica indiana non
ruppe il monopolio occidentale dei farmaci anti-AIDS – ed il governo
sudafricano di Mandela appoggiò quella via, giungendo ad affermare che,
se le esorbitanti royalties richieste dall’Occidente per quei farmaci non fossero
state drasticamente abbassate, le avrebbero semplicemente eluse – gli
africani morirono a milioni, come mosche, senza farmaci per difendersi
dall’infezione “del secolo”.
Oggi le cose vanno un po’ meglio, ma in Africa si continua a morire
d’AIDS, come per decine d’altra malattie che da noi si curano con
un’Aspirina.
Chi
ha questa mentalità – schiavista e razzista – si serve di tutto ciò
che trova sul mercato: il mutamento climatico può giovare alla causa?
Diamoci dentro.
Nascono allora “verdissime” associazioni per la salvaguardia del
pianeta che – guarda a caso – non si curano molto di comunicare che
gli USA – a fronte del 5% della popolazione mondiale – consumano il
40% delle risorse disponibili. Utilizzano quell’energia per produrre?
Poco e male, giacché gli USA rappresentano oramai una quota inferiore
al 20% del commercio mondiale: in altre parole, producono poco e
consumano tanto. E s’indebitano.
Le
novelle “dame di San Vincenzo” dell’ecologia puntano il dito,
invece, sulla Cina, colpevole d’inquinamento selvaggio,
dell’assassinio del pianeta.
Ora, è verissimo che i cinesi inquinano, ma sono anche coscienti che
dovranno ridurre le loro emissioni nel volgere di poco tempo:
altrimenti, soffocheranno da soli. I piani energetici cinesi prevedono,
infatti, enormi investimenti – ripartiti equamente – in due settori:
nucleare ed eolico (risorsa che possiedono in abbondanza, soprattutto
nelle aree settentrionali scarsamente abitate).
Il
paradosso è che i cinesi si stanno muovendo nella giusta direzione,
mentre gli americani continuano a correre nei loro SUV-panzer, che sono
delle idrovore d’energia. Un ulteriore (ed amaro, per noi occidentali)
paradosso sarà costatare che i cinesi – quando si metteranno a
costruire pannelli solari ed aerogeneratori – li faranno probabilmente
migliori dei nostri ed a costi dimezzati. Chiuderemo altre botteghe.
Utilizzare il mutamento climatico per ridefinire gli equilibri
maltusiani è un doppio errore: di prassi, poiché si compie
un’inferenza non valida, e di scarso pragmatismo, giacché i cinesi
non si lasceranno di certo incantare dalle sirene di Al Gore.
Asserire
che il mutamento climatico non esiste – ed è solo una “creazione”
dei novelli maltusiani – è falso: i “nazi-maltusiani”
continueranno a cercare altre vie per perseguire i loro scopi. In questo
caso, confondiamo degli aspetti scientifici – non sufficientemente
provati, forse, ma seri e documentati – con le esigenze delle elite
politiche che vorrebbero scatenare il terrore sul mutamento climatico
per i loro, miseri scopi di bottega.
In questo modo, finiamo nella palude dei “neo-maltusiani” e perdiamo
di vista la potenziale pericolosità del mutamento climatico.
Sull’altro versante, qualcuno ritiene che, un paese come
Durante
l’ultima visita del presidente cinese negli USA, Hu Jin Tao stette ad
ascoltare annoiato le sicumere di un Bush scaduto, sconfitto,
evanescente e lo degnò dello sguardo che si offre soltanto ad un
miserabile. Mostrò, invece, maggior interesse per Bill Gates e per
Microsoft: soldi e tecnologia meritano interesse – sembravano narrare
i suoi occhi – gli improperi di Bush, beh…
Nemmeno l’Iran riescono più a toccare, qualcuno – veramente –
crede che gli USA s’azzardino a “toccare”
L’unica soluzione sensata della quale non si deve assolutamente
parlare è di cambiare radicalmente il nostro sistema
d’approvvigionamento energetico: quello no, non si deve dire. O
meglio, se ne deve discutere come si narra d’un mito irraggiungibile,
di una chimera evanescente.
Eppure
– se siamo ancora in tempo – sarebbe l’unico modo per cercare di
“raddrizzare” la situazione: captando energia solare, sottrarremmo
energia al “sistema-Gaia” ed eviteremmo d’immettere gas che
determinano sicuramente la riflessione della radiazione
infrarossa. Scusate, ma questa non è un’ipotesi: è una certezza
ampiamente dimostrata.
Invece, in Italia, un ex ministro dell’ambiente – Carlo Ripa di
Meana, presidente di “Italia Nostra” – gira lo Stivale per
difenderlo dall’invasione degli aerogeneratori, terrorizzando la
gente: vi costruiranno un orripilante mulino a vento proprio accanto
alla vostra, amata abbazia dell’Annunziata!
Non racconta, per citare un solo esempio, che lo spartiacque
ligure-piemontese-emiliano dista dalle spiagge 10-
Oggi,
Rubbia è tornato a lavorare in Italia – e forse si riuscirà a far
partire il solare termodinamico – ma quanti anni abbiamo perduto per
le ingerenze (mascherate, ma non troppo) di ENEL ed ENI?
La realtà – che spaventa – è un’altra: il passaggio al sole ed
al vento ridisegnerà inevitabilmente la mappa geopolitica del pianeta.
Un paese come il Ciad, dove il 99% degli abitanti non sa probabilmente
cosa sia una doccia, potrebbe diventare un “gigante” energetico:
ricchezza al posto di deserto e morte per denutrizione.
Invece, si punta sul petrolio del Sudan e si tenta di destabilizzare il
governo di quel paese – che ha certamente delle responsabilità sul
fronte umanitario – per tentare l’ennesima “operazione di
polizia” occidentale: immaginiamo quanto siano toccati dai profughi
del Darfur ai piani alti dell’ENI, e quanto dal petrolio che c’è
sotto terra.
L’unica
chance che ancora hanno le holding energetiche è tentare fino
all’inverosimile il “congelamento” dell’attuale situazione,
energetica e geopolitica, fintanto che nuovi equilibri consentiranno la
“spartizione” di sole e vento. Oggi, con le “turbolenze”
generate dalla politica statunitense, non c’è un quadro d’accordi
sufficiente per definire l’enorme spartizione che deriverebbe dalla
ristrutturazione planetaria del “sistema energia”.
Mettiamoci però bene in testa una cosa: hanno già iniziato con la
privatizzazione dell’acqua, saranno disposti a lasciarci sole e vento?
Meglio, allora, suscitare ogni forma di dubbio sul mutamento climatico:
dal riscaldamento del sistema solare ai meteorologi di Vespa, dalle
chimere del nucleare ai sofisticati tranelli maltusiani.
A noi – ossia a coloro ai quali vorrebbero far pagare anche l’aria
che respirano – non rimane che sbugiardarli ogni volta che ne abbiamo
la possibilità, mostrando le loro incongruenze, le falsità, le
contraddizioni.
Discutiamo pure su queste teorie, ma non caschiamoci come polli, perché quelli che hanno pronto il girarrosto li conosciamo bene: sono le solite facce che cercano d’imbonirci dal teleschermo.
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__mutamenti_climatici.php?pn=103
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