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Secondo una ricerca della John Hopkins, sarebbero 600mila le vittime della guerra in Iraq
Contabilità
dell'orrore
Christian Elia – tratto da
PeaceReporter
www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=6461
E’ pesante
come un macigno il risultato di uno studio della scuola medica Bloomberg,
della prestigiosa università John
Hopkins di Boston, reso pubblico dal quotidiano Usa
New York Times. La guerra in Iraq, dal marzo
Numeri
sconvolgenti.
Il dato è
inatteso. Fino a oggi, secondo le stime più attendibili, quelle dell’Iraq
Body Count (Ibc), un network di ricercatori universitari Usa,
si parlava di un massimo di 48.693 vittime civili del conflitto. Lo
studio pubblicato dalla John Hopkins è invece frutto del lavoro di otto
medici iracheni, che lavorano tutti presso l’Università Mustansiriya
di Baghdad e i dati raccolti si riferiscono al periodo tra il 20 maggio
e il 10 giugno scorsi, esaminando un campione di 1.849 famiglie,
composte in media da sette membri, in 47 zone differenti dell’Iraq. Le
zone prese in esame sono state scelte con particolare riguardo alla
densità della popolazione e non in base agli episodi di violenza o ai
combattimenti che si sono verificati nell’area. Ogni individuo,
intervistato dai medici, ha riferito dei lutti che hanno colpito la sua
famiglia nei 14 mesi precedenti la guerra e nel periodo successivo.
Questo elemento ha fornito ai ricercatori un parametro di comparazione
secondo il quale, prima del conflitto, si avevano 5,5 morti ogni mille
persone e dopo la guerra 13,3 ogni mille. Il rapporto analizza nel
dettaglio la tipologia delle vittime: il 56 percento è dovuto
alle ferite da arma da fuoco, il 13 percento all’esplosione di
autobombe o ad altri ordigni e un altro 31 percento è stato causato dai
bombardamenti o dalle operazioni delle forze di Coalizione. L’enorme
differenza tra le cifre di questo studio e quelle di Iraq Body Count è
dovuta alla specificità dei parametri di ricerca.
Numeri
controversi di una dura realtà. Ibc
infatti, adotta il criterio del censimento delle vittime in base agli
elenchi degli obitori iracheni. Un fitta rete di medici, patologi,
infermieri e giornalisti sul campo registrano accuratamente tutti i
cadaveri che vengono portati nelle morgue delle città irachene. Il dato
però, per forza di cose, elimina una larga parte delle vittime, in
quanto sono tante le famiglie che in casi specifici, come per
l’assedio di Falluja o per la battaglia di Najaf, hanno seppellito i
loro morti in giardino, come accadeva nella Bosnia degli anni Novanta,
per timore dei cecchini e delle violenze in generale. Altro elemento che
manca alle cifre dell’Ibc è quello delle vittime civili che sono però
state registrate come combattenti. E il caso della
confessione del soldato Bacos, il quale ha ammesso qualche
giorno fa l’abitudine di travestire da miliziani i civili uccisi senza
ragione per evitare polemiche e accuse. Resta escluso anche il numero
delle vittime sepolte nelle fosse comuni che, ogni giorno che passa,
diventano più numerose, in particolare a causa del conflitto
interreligioso tra sunniti e sciiti. Manca anche in ultima analisi il
dato dei corpi distrutti dalle bombe, che non possono essere ricomposti
e quindi identificati in ospedale. Il dato dell’Ibc è accurato, perché
cita solo vittime civili certe, delle quali è stato rinvenuto e
identificato il cadavere, ma non può essere completo.
Lo studio
della John Hopkins invece, parte da uno studio di densità abitativa e
di statistiche rispetto alle vittime. D’altro canto il campione in
esame è stato ampliato, anche in seguito alle critiche del 2004 da
parte della prestigiosa rivista medica inglese The
Lancet, che riteneva che il campione di circa 1000 famiglie
analizzate all'epoca comportasse un margine di errore troppo ampio.
Critiche che forse a The Lancet paiono
superate visto che pubblica lo studio in apertura.
Sembra quindi che il dato di circa 50mila morti civili di Ibc sia
approssimato per difetto. Certamente la ricerca della John Hopkins
riceverà critiche in senso opposto. In entrambi i casi resta una realtà
drammatica per la popolazione civile irachena.