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Caso
Moro – morire di Gladio
Simone
Falanca - Gennaio 2005
Quella
del gladiatore G.71 è una storia scomoda, per anni tenuta sotto
silenzio. Una storia tipicamente italiana, fatta di spie, imprevedibili
retroscena, rivelazioni importanti e supportate da documenti. Una
vicenda talmente scomoda che anche quando, per frammenti, è arrivata
sulle pagine di alcuni giornali nazionali, non ha causato alcun
sommovimento politico: il solito muro di gomma l'ha fatta tornare
nell'ombra. E’ la storia di Antonino Arconte, 47 anni
di Cabras, che fin dal 1997 ha affidato al web il racconto della sua
vita all'interno dell'organizzazione Gladio. Agente di una struttura
militare segreta facente capo al Sid, Arconte è stato protagonista di
operazioni che si sono svolte in mezzo mondo: dal Vietnam alla Russia,
dalla Cecoslovacchia al Libano, dagli Stati Uniti all'Africa. Dalla sua
testimonianza è emersa una struttura profondamente diversa da quella
svelata in Parlamento da Giulio Andreotti il 2 agosto
del 1990: non una rete ideata per fronteggiare una possibile invasione
da parte delle truppe del Patto di Varsavia (la “Stay Behind”), ma
una struttura informativa e operativa che agiva esclusivamente
all'estero. La storia ha cominciato a emergere dall'ombra lentamente e a
fatica. L'allora ministro della Difesa Sergio Mattarella,
rispondendo a un'interrogazione del senatore di Rifondazione Giovanni
Russo Spena sulla struttura supersegreta alla quale apparteneva
Arconte, si è limitato a rispondere burocraticamente: «Dagli atti del
Servizio non sono emerse evidenze in ordine a...». Risposta
assolutamente insoddisfacente. Ma il racconto di Arconte non si ferma
qui e qualche mese più avanti infittisce di nuovi particolari alcuni
dei misteri italiani. Il "caso Moro" in particolare. G.71 ha
infatti svelato che, nel marzo del 1978, venne inviato in missione in
Libano per consegnare un documento al gladiatore G.219. Si trattava del
colonnello Mario Ferraro, passato poi al Sismi, morto
misteriosamente nel luglio del 1995, «suicidato», come si dice in
gergo militare, visto che è stato ritrovato impiccato alla maniglia
della porta del bagno benché fosse alto 1 metro e 90. Nel documento
"a distruzione immediata" (Arconte non ha mai distrutto il
documento e lo ha esibito alla magistratura inquirente, dalla quale
attendiamo ancora un giudizio certo sull'autenticità) viene ordinato di
«cercare contatti con gruppi del terrorismo mediorientale, al fine di
ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione
dell'onorevole Aldo Moro». L'aspetto inquietante di
questa missione è che il documento è datato 2 marzo 1978. Cioé 14
giorni prima del rapimento del presidente della Dc. Qualcuno, quindi,
sapeva che Moro sarebbe stato rapito.
GLADIO
& CENTURIE
Facciamo qualche passo indietro. Gladio è il nome dato in Italia ad
una struttura segreta, collegata con la Nato e istituita nel dopoguerra
con la denominazione "Stay Behind" (stare indietro), che aveva
il compito di attivare una resistenza armata in caso di invasione
sovietica. L'esistenza di questa struttura segreta venne scoperta nel
1990 e successivamente confermata pubblicamente, nel febbraio del 1991,
dall'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Secondo quanto
riferito in quell'anno dall'ex primo ministro italiano, la Gladio
"Stay Behind" sarebbe stata composta da 622 membri civili i
quali avevano il compito di svolgere operazioni dentro il territorio
nazionale riguardanti attività informative a carattere difensivo e
sotto le direttive della Nato. Quella che racconta Antonino Arconte nel
suo memoriale, invece, è tutta un'altra storia. Accanto alla cosiddetta
Gladio "civile", infatti, sarebbe stata istituita nel nostro
Paese una struttura armata dei servizi segreti militari, tenuta per 50
anni nascosta, che avrebbe operato al di là dei confini italiani
attraverso un'attività regolata da direttive nazionali e non dalla
Nato. Nel memoriale, Arconte spiega che Gladio era in realtà divisa in
tre centurie. «La Prima Centuria era chiamata Aquile, erano cioé
aviatori, alcuni paracadutisti della Folgore - scrive Arconte - la
Seconda Centuria era chiamata Lupi, io appartenevo a questa, composta da
quelli provenienti dalla Marina e dall'Esercito. Poi c'era la Terza
Centuria detta Colombe. Non era composta da militari ma da civili, anche
donne, che dovevano fare da supporto per le informazioni». Per conto
dello Stato italiano, il "gladiatore" G-71 avrebbe partecipato
a diverse operazioni estere: dalle repubbliche dell'Est comunista al
Nord Africa, dal Sahara spagnolo al Vietnam. Arconte rivela, tra
l'altro, del ruolo svolto dai nostri agenti segreti armati in Maghreb
per la destituzione del presidente Burghiba. G-71 racconta anche di aver
ricevuto un riconoscimento formale da parte di Bettino Craxi il quale lo
avrebbe invitato, come si evincerebbe da documenti, a tacere per il bene
del Paese. L'attività di questa Gladio si svolgeva presso il ministero
della Difesa, direzione generale Stay Behind-personale militare della
Marina e la mobilitazione dei gladiatori avveniva tramite Consubin
(comando subaquei incursori di La Spezia). Un'attività segreta così
come quella degli Ossi (operatori speciali servizio informazioni, alle
dipendenze di Gladio) che operavano armati e i cui compiti sono stati
ritenuti “eversivi dell'ordine costituzionale” da due pronunciamenti
della magistratura.
DA
ARCONTE A MORO
Arconte è forse depositario di alcuni dei segreti che formano il
filo nero che ha cucito e legato il potere dello Stato allo Stato
occulto, attraverso il terrorismo nazionale e internazionale, attraverso
insabbiamenti e “suicidi” misteriosi. Il libro di Arconte,
pubblicato qualche anno fa negli Stati Uniti (ottenendo peraltro un
discreto successo e diventando oggetto di studio), ha aperto nuovi,
inquietanti scenari sulla Gladio segreta. Vi compare anche l’immagine
del documento top secret sul caso Moro. In quel documento si legge che
il 2 marzo 1978 - e cioè 14 giorni prima del rapimento di Moro e
dell'uccisione della sua scorta - la X Divisione "S.B." (Stay
Behind) della direzione del personale del Ministero della Marina, a
firma del capitano di vascello, capo della divisione stessa, inviava
l'agente G71 appartenente alla Gladio "Stay Behind" (partito
da La Spezia il 6 marzo sulla motonave Jumbo M) a Beirut, per consegnare
documenti all'agente G 129, ivi dislocato, dipendente dal capocentro,
colonnello Stefano Giovannone, affinchè prendesse contatti con i
movimenti di liberazione nel vicino Oriente, perchè questi
intervenissero sulle Brigate Rosse, ai fini della liberazione di Moro.
Il nome del "gladiatore" G-71, Antonino Arconte, non figura
nella lista dei 622 resa nota in Parlamento, lista risultata, comunque,
"del tutto inattendibile". «Non è vero - ha scritto più
volte Falco Accame, ex presidente della commissione difesa - che il
"gladiatore" Arconte sia un "signor Nessuno": lo può
testimoniare un altro agente di Gladio che operava come civile, il cui
nome di battaglia è "Franz». Nel 1997 "Franz" si fece
ricevere a Tunisi da Craxi e portò la lettera di Arconte e di un altro
gladiatore, Tano Giacomina (ucciso in circostanze misteriose a Capoverde)
che chiedeva al leader socialista di rendere pubblica la storia della
"Gladio delle Centurie". Secondo "Franz", Craxi
aveva chiesto di essere ascoltato dalla Commissione Stragi (cosa che era
stata concessa al generale Maletti) e intendeva riferire in quella sede
sulla Gladio, ma l'incontro con la commissione non fu mai possibile.
L'ipotesi di una Gladio “segreta” che operasse all'estero con
modalità di guerra non-ortodossa non è affatto peregrina, anzi, è in
linea con modelli operativi ispirati a quelli della Cia. I contatti con
la Cia sono documentati fin dall'inizio della nascita di Gladio, negli
anni '50, e si svilupparono con il memorandum di Roma del 20 dicembre
'72, di cui parla nel suo libro il generale Serravalle, capo
dell’organizzazione dal '71 al '74”. Di Gladio come "scuola di
eversione" aveva parlato, nel dicembre 1991, Antonio Maria Mira in
un articolo sull'Avvenire, in relazione all'Operazione Delfino e a «uno
strano documento di Gladio che - scriveva Mira - sta preoccupando i
magistrati padovani e romani, il Comitato di controllo sui Servizi e la
Commissione Stragi. E' datato aprile '66 e riguarda un'esercitazione
denominata "Delfino" che si svolse nella zona di Trieste dal
15 al 24 aprile 1966, e che doveva procedere ad un programma di
"attività provocatorie" coordinate dai servizi segreti ed in
accordo con la Cia, che prevedevano la partecipazione delle unità di
Gladio». Sull'argomento interveniva Antonio Garzotto nel '92,
scrivendo: «La "Delfino" altro non sarebbe che un
"vademecum per la guerriglia", messo a punto dalla Cia e
concepito dal generale Westmoreland, il comandante Usa in Vietnam. Si
trattava di un vero e proprio manuale di strategia della tensione:
agenti della Gladio avrebbero dovuto infiltrarsi sia nelle file e nelle
manifestazioni del Pci, ma pure nelle frange della sinistra estrema per
provocare "azioni violente, moti di piazza, uccisioni". Fare,
insomma, "insorgenza", in modo tale da sollecitare una forte
reazione, la "controinsorgenza", e legittimare un intervento
di "stabilizzazione del potere" da parte dell'Autorità di
Governo».
GRADOLI
STRASSE
Recentemente
è sempre Falco Accame, in qualita' di presidente dell'Associazione
nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei
caduti, a sollecitare la commissione parlamentare d'inchiesta sul
dossier Mitrokhin, per approfondire gli elementi riguardanti la vicenda
Moro, che non si esauriscono con le dichiarazioni di Arconte. Nel
silenzio generale, infatti, alle affermazioni di Arconte (ricordiamo,
sempre supportate dal documento “a distruzione immediata” ancora da
valutare), si sono aggiunte negli ultimi mesi anche le dichiarazioni di
un altro dei gladiatori che operava all'Est in maniera segreta,
Pierfrancesco Cangedda, il quale ha più volte dichiarato di aver
ricevuto, mentre operava nella Repubblica democratica tedesca durante i
55 giorni del sequestro Moro, una informazione che proveniva dalla
Stasi, contenente un'indicazione specifica sulla base dei brigatisti in
via Gradoli. Una base che era situata in “Gradoli Strasse”. Questa
informazione, come risulta anche da alcune inchieste ancora in corso
alla Procura di Roma, venne raccolta dal “terminale” della
struttura, l'ufficiale dei servizi segreti Tonino La Bruna, l'uomo che
avrebbe reclutato personalmente lo stesso Arconte. Le due “metà”
della storia sembrano combaciare perfettamente. Vista la portata di
queste dichiarazioni, e le importanti conseguenze che potrebbero avere
qualora ottenessero ulteriori riscontri, è giusto cominciare a fare
chiarezza da subito senza tenere lontano i riflettori dei media
nazionali dalla vicenda. Siamo a un bivio nella ricostruzione della
storia italiana degli anni '70 e '80, a partire dalla genesi del
terrorismo rosso fino al caso Moro. O i due gladiatori sono dei
cialtroni mitomani, e vanno perseguiti dalla magistratura; oppure si
dovrà tener conto di quello che dicono e finalmente si arriverà ad
aprire un varco nel “muro di gomma”.