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La Sfida del Falco
Il Sistema Originale di Bates nel Ventunesimo Secolo
A cura di Rishi Giovanni Gatti


Quando, nell’aprile del 1982, chiesi ingenuamente alla oculista di famiglia – che mi aveva appena prescritto lenti concave da mezza diottria – se non si potesse fare nient’altro che mettere gli occhiali, ed ella mi rispose “No.”, accettai quello spietato verdetto con la triste rassegnazione di tredicenne che doveva dar retta agli adulti, specialmente a quelli che avevano studiato, ma sentivo dentro di me che c’era qualcosa di storto, di sbagliato, anche perché quegli occhialetti, leggeri!, davano assai fastidio e distorcevano le cose, pur rendendole apparentemente nitide, e l’idea che bisognava abituarsi a quel fastidio aggiungeva solo una sensazione di fregatura in più, di sfortuna ingiusta aggiuntiva che non sentivo di meritare per nessuna ragione al mondo.
Navigai così i successivi anni della pubertà e dell’adolescenza dietro a false risposte che non solo crescevano di intensità, fino ad arrivare a cinque diottrie complessive di astigmatismo per occhio, ma anche di scomodità e impaccio, impedendomi di divertirmi nel modo più agevole e costringendomi a vedere ciò che avevo davanti attraverso schermi appannati. Finché, dopo soli quattro anni, come andava di moda e come tutti i quattrocchi aspiravano, presi la promettente strada delle lenti a contatto, dato che la miopia si era “stabilizzata”, e la mia voglia di felicità era diventata più forte.
Indossai negli occhi quegli stupidi pezzetti di plastica azzurrina semirigida gas-permeabile per tre anni e mezzo, prima di capire quanto fossi stato stolto, e quanto mentalmente miope ero diventato per non essermi accorto ben prima del mio errore. Mi diedero la “bastonata Zen” due libri presi ad una bancarella della Macro Edizioni, nell’estate 1989, il primo – che ora giudico mediocre – titolato “L’arte della vista”, di A. Huxley, in una edizione un po’ sospetta fatta da dei tizi che poi mi spiegarono che l’avevano dovuta fare così perché chi era titolare ufficiale dei diritti non voleva ristampare il volume, ed il secondo – che ora giudico assai scarso – titolato “Vedere bene senza occhiali”, di C. Mar-kert. Quelli erano il bastone, mentre il Maestro Zen che lo agitava era un certo oftalmologo americano di nome Bates, di cui i due scrittori menzionati tessevano grandi lodi.

Tolti occhiali e lenti, e rinunciato a molte cose che non potevo più fare con la mia vista difettosa, provai a sperimentare, acquistando qualche mese dopo il libro di Bates disponibile a quel tempo in italiano, titolato “Il metodo Bates per vedere bene senza occhiali” – che ora giudico scandaloso – e ricevendone una impressione tanto entusiasmante da un lato, quanto deludente dall’altro. Il fatto era che i tre libri nel loro complesso dimostravano chiaramente che qualcosa si poteva fare per migliorare o risolvere i problemi della vista, ma nello stesso tempo non davano quella profondità, quella sicurezza, quel supporto, necessarie affinché il lettore potesse ottenere qualcosa di più che un lieve miglioramento davanti alla tabella, seduti sulla sedia dell’oculista: dopo un anno di cattiva e mal consigliata pratica, la prescrizione era scesa di una diottria per occhio, cioè di circa il 20%. I libri, in una parola, mancavano di motivazione per fare scattare quella scintilla, come imparai a conoscere dieci anni dopo, che accende la verità che c’è in ognuno di noi e ci fa compiere la nostra vita più in armonia con l’Ordine naturale delle cose.
Negli Anni Novanta l’ascesa dei nuovi sistemi di comunicazione globale come Internet ha permesso, a noi che siamo persone intelligenti, di accedere direttamente alle fonti di informazione più adatte, ed è così che sono venuto a conoscenza, circa due anni fa, di molte realtà e molti fatti riguardo al ricupero della vista, prima fra tutte, e di importanza vitale, l’esistenza di un libro del 1920, dal titolo “Perfect sight without glasses” – l’unico vero libro scritto, e prodotto, dallo stesso W.H. Bates, – e l’esistenza di una serie di 133 numeri di una rivista mensile dal titolo “Better Eyesight” che lo stesso Bates, insieme ai suoi collaboratori più stretti, a cominciare dalla fedele assistente Emily C. Lierman, aveva pubblicato a New York dal 1919 al 1930.
Sono state queste due letture ad aprire gli occhi del mio spirito e a finalmente raggiungere quella motivazione e quella comprensione che mi mancavano per cominciare veramente a capire di che cosa questo Sistema Bates si voleva occupare, insegnandoci ad usare mente e occhi senza sforzo e con il massimo beneficio non solo per la visione ma anche e soprattutto per il benessere generale dell’organismo, a beneficio anche di quell’aspetto spirituale che in esso abita. Tanto grande era la forza di verità che trovavo nelle parole originali, vere, del fondatore Bates, quanto deboli, imprecise e fuorvianti erano le indicazioni, stupide e sbagliate nella quasi totalità dei casi, che si trovavano negli altri libri, scritti nel corso degli anni da oscuri e mistificanti epigoni del maestro, che ero andato acquistando nella speranza di chiarire le contraddizioni e le incongruenze, per non dire l’inconsistenza, che mi torturavano mentre cercavo di capire come mai non riuscivo a vederci bene non ostante fossi perfettamente convinto che questo era possibile.

La verità era che quei lampi di visione perfetta che avevo cominciato a sperimentare spontaneamente una volta tolti gli occhiali – parlo di visione assolutamente nitida e libera, centrale e ricca di contrasto, colore e dimensionalità – accadevano soltanto per caso, e non avevo controllo su di essi, tanto che presto sparivano così come erano apparsi, lasciandomi in uno stato di costernazione profonda e di sforzo aggiuntivo dato dal fatto che non ero in grado di replicarli a volontà. 
Leggendo invece i testi originali, che ora, insieme alla Juppiter Consulting Publishing Company, abbiamo orgogliosamente pubblicato in italiano nel formato originario impegnandoci a conservarne durante la traduzione lo spirito ribelle e la completa portata terapeutica, ho capito dapprima come replicare a volontà i momenti di visione nitida, e poi come accettare che essi si producano e si sostengano da soli, rendendomi capace di leggere i dieci decimi sulla sedia dell’ottico, o di guardare il sole senza disagio o di guidare di notte per molte ore di seguito senza accusare fatica e distrazioni. Solo nei testi originali si trova infatti quella motivazione e quella conoscenza che – a ben guardare! – consente a chiunque di capire cosa si deve fare, cosa non fare, e come procedere.
Il danno che è stato fatto in passato, e che noi con “il falco” vogliamo tentare di rimediare, è stato quello di edulcorare e mistificare gli obiettivi originari del lavoro di Bates, quando l’editore che è subentrato nel 1943 ha tagliato la metà dei contenuti del libro del 1920, sostituendo, in maniera criminale ed ingiusta, parole come “guarigione” e “cura” con “miglioramento”, dando l’impressione di una condizione di “vorrei dire ma non posso”, come se lo stesso Bates si vergognasse a dire che lui i suoi pazienti li guariva veramente dai problemi funzionali ed organici degli occhi, come se non fosse giusto e leale offrire alla popolazione di vista difettosa la possibilità di imparare come si può guarire senza l’uso degli occhiali, ma anzi approfittando di un trattamento di cura che non si limita a rimuovere sintomi e cause ma offre un vero e proprio percorso di crescita spirituale personale che regge il confronto con la meditazione, lo Zen, lo Yoga, il Tao, e tutte le altre discipline o scuole di pensiero orientale che la New Age e la Next Age ci hanno fatto conoscere in questi ultimi anni.

Le scoperte di Bates davano molto fastidio all’industria degli occhiali, allora, e danno molto fastidio all’industria delle operazioni chirurgiche oggi, ma di più davano e danno fastidio a chi dimostra di aver sepolto la propria intelligenza sotto tonnellate di conformismo, paura e rassegnazione. È il caso dei cosiddetti “insegnanti del Metodo Bates”, altrimenti detti “educatori visivi”, o “visual trainer”. Sono queste le persone che hanno affossato definitivamente – a partire dagli Anni Quaranta appunto – la verità scoperta da Bates e ne hanno ucciso il pensiero. Quando nel 1989/90, agli inizi della mia ricerca, partecipai ad un “corso sul Metodo Bates” e vidi l’insegnante presentarsi con gli occhiali, ebbi subito un tonfo nel cervello, che mi riportò proprio a quella sensazione sgradevole che mi procurò il “No.” della oculista di famiglia, e spense quella debole luce di speranza che avevo allora, nell’immaginare che potessero esistere persone che il metodo lo conoscevano davvero e che potevano aiutarmi seriamente. 
Nel corso degli anni ho potuto verificare che queste persone non esistono, o se esistono sono molto discrete e non si palesano, proprio come fanno i veri illuminati, quelli che te li devi andare a cercare con il lanternino, come faceva Diogene, l’uomo della lampada, che insieme al suo cane fermava i passanti e gli gettava un fascio di luce sul viso e rispondeva “Cerco l’Uomo” a chi gli domandava il motivo del suo bizzarro comportamento. Come Diogene, abbiamo gettato luce sui visi di codesti professionisti, per scoprire che si dividono in due categorie: a) coloro che erano gravemente colpiti dalla vista difettosa, che hanno fatto un qualche “corso” gestito da altri personaggi simili, e che sono migliorati di qualche grado, ma che sono ancora ben difettosi dal punto di vista indicato da Bates; b) quelli che di “problemi visivi non ne hanno mai avuti”, che non portano occhiali e non ne hanno mai portati, ma che se interrogati sulla loro capacità di superare gli standard minimi, come Bates richiedeva per i suoi insegnanti, o di guardare il sole senza disagio, o leggere caratteri microscopici senza imbarazzo, evitano di rispondere, e se interrogati sugli aspetti più importanti delle scoperte di Bates, circa l’abilità di silenziare il dolore ricordando perfettamente un piccolo punto nero dondolante nella mente, non sanno proprio di che cosa si sta parlando.

Sono questi i fatti e le persone che hanno impedito alla gente di formarsi una opinione giusta su come si deve intervenire personalmente con l’auto-trattamento mediante i metodi di rilassamento dei centri visivi del cervello sviluppati da Bates. E chiedere aiuto a persone che non hanno compreso questi fatti o a libri che trattano la questione solo con pressapochismo e superficialità, è inutile e controproducente. Con “il falco”, la presente rivista, noi preferiamo ripartire dall’inizio, a cent’anni di distanza dalle prime pubblicazioni, e costruire fedelmente un percorso personale che abbia chiari due requisiti essenziali: 
1) se Bates ha ragione, come in realtà è, non c’è motivo per cui uno non possa guarire il suo difetto, qualsiasi esso sia, in durata e gravità, e proseguire con il trattamento per raggiungere standard visivi superiori al “normale”;
2) il fatto che il trattamento possa sembrare “difficile”, lungo, tedioso ed incerto, dimostra solo che la comprensione che ne abbiamo di esso è sbagliata, imprecisa, non dimostrata, astratta, e bisogna agire di conseguenza per correggere queste aberrazioni.

Di nuovo, ciò che si deve coltivare è una motivazione, basata su dati di fatto che devono essere dimostrati personalmente dal soggetto – ma veramente, non per sentito dire o per averne meramente letto sui testi o su Internet – che troverà in certi casi comodo se non essenziale usufruire dell’aiuto di qualcuno che abbia già raggiunto una visione normale o perfetta, o che l’abbia conservata e coltivata intatta non ostante le sorgenti di sforzo e di tensione che la società in cui viviamo, l’educazione, la cultura, ci sottopongono.
Con “il falco”, vogliamo rendere disponibili a tutti i lettori questi “ferri del mestiere”, e cioè la possibilità di leggere le vere parole del Dott. Bates e del suo staff originario – vere parole non mediate da alcuna influenza successiva, che le ha censurate, travisate e camuffate in modo indegno – ma anche fare da punto di riferimento ufficiale, da veicolo giornalistico legato all’attualità, per raccontare i progressi che molti di noi praticanti dei metodi originari di Bates fanno quotidianamente, e le guarigioni già raggiunte, in modo da incentivare e stimolare quella motivazione a prendersi cura della propria facoltà visiva seguendo semplicemente il buon senso, i modi della Natura, per scoprire che in realtà il lavoro di ricerca personale basato sulla vista è un vero e proprio percorso di guarigione spirituale, dai significati ancora in gran parte non realizzati né immaginati.

Rishi Giovanni Gatti è il direttore responsabile de “il falco”. Cura con interesse e spirito critico la divulgazione delle formidabili scoperte di W.H. Bates, attraverso la Casa editrice da lui fondata, con l’obiettivo di presentarle nel modo più efficace, per consentire a chiunque di comprenderle ed utilizzarle come in realtà esse veramente meritano.

Per ulteriori informazioni:
Rishi Giovanni Gatti
E-mail: direttore@sistemabates.it
sistemabates.it


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